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il bivio

Salario, che fare? La necessità del governo di alzare i minimi e la difficoltà di farlo con i 9 euro l'ora

Marco Leonardi

Bilanciare rischi e benefici di una proposta vista con favore dall'elettorato ma che potrebbe avere ripercussioni sull'occupazione. Le possibili soluzioni per l'esecutivo

Giorgia Meloni da accorta politica ha capito che il salario minimo è popolare e per di più non sembra avere molte altre alternative altrettanto efficaci. E’ popolare perché a 9 euro l’ora è superiore alla retribuzione attuale di quasi 3 milioni di lavoratori italiani (ben più del 20 per cento dei lavoratori del settore privato). Quando sei al governo però la tua  proposta deve essere non soltanto popolare ma deve garantire anche che non distruggerà occupazione.

Se vuole metter mano a una legge sul salario minimo il governo ha due difficoltà. La prima è ovvia, il suo elettorato è sostanzialmente sempre stato contrario, tutte le associazioni datoriali e anche tutte quelle sindacali fino a poco tempo fa. Ma per un’altra parte dell’elettorato di Meloni, quello delle fasce sociali più popolari, il salario minimo viene visto con favore. La seconda difficoltà è tecnica: pensate alla Relazione tecnica (Rt) di accompagnamento a una legge che introducesse domani il salario minimo a 9 euro. Una Rt che prevede l’aumento del costo del lavoro per più del 20 per cento dei lavoratori non può non sottolineare i rischi di perdita di posti di lavoro, soprattutto nei settori dove l’aumento dei costi sarebbe elevato (l’agricoltura per esempio sta a 7 euro, e non importa che oggi la domanda stia tirando e ci possano essere condizioni di poca concorrenza tra datori di lavoro che spingono i salari in basso,  perché qualunque stima indicherebbe perdite di occupazione). E quale governo mai potrebbe approvare una legge che prevede un aumento della disoccupazione? A mia memoria successe solo nel 2018 con la Relazione tecnica del “decreto Dignità”, poi precipitosamente ritirata con forti strascichi politici di accuse a una fantomatica “manina”.

Mi risponderete che è previsto un fondo pubblico di compensazione per le imprese che devono adeguare i salari. Ma non si è mai visto un paese che oltre a considerare il salario variabile indipendente (9 euro sono una cifra di fantasia, indipendente da qualunque studio di realtà) considera anche di pagare un salario di stato; una relazione tecnica non può avvallare una compensazione di un solo anno e poi non tener conto che la perdita di posti di lavoro si avrebbe negli anni seguenti. Piuttosto si può fare come la Germania che nel 2015 introdusse il salario minimo a 8,50 euro l’ora (11 per cento dei lavoratori erano sotto soglia, non il 22 per cento) e nel periodo di transizione 2015-2017 estese erga omnes per le legge i salari di alcuni settori sotto il livello minimo in attesa che nel 2017 si adeguassero (macelleria, lavanderie, pulizie, consegne e molti altri). Un erga omnes temporaneo e limitato solo a quei settori che si trovavano sotto il minimo di legge appena introdotto.

 

La seconda cosa che verrebbe messa in evidenza in una Rt è che il salario minimo a 9 euro l’ora rischia di spiazzare 22 contratti firmati da Cgil, Cisl e Uil che stanno sotto i 9 euro. Proprio quello che finora i sindacati volevano evitare: un livello di salario minimo che spiazzasse i loro contratti. In tutto il mondo (proprio perché esiste in tantissimi paesi sarebbe i caso di imparare) il livello del salario minimo è stato tenuto più basso rispetto ai livelli della maggioranza dei contratti collettivi proprio per evitare spiazzamenti. Viene il dubbio che in Italia si voglia usare il salario minimo per sostenere la contrattazione collettiva che non arriverebbe mai a 9 euro. Ma con questa confusione di ruoli tra minimo e contrattazione si snatura lo strumento. Tra i contratti che stanno sotto ai 9 euro c’è ad esempio il multiservizi a 8,80 euro l’ora: è chiaro che si dovrebbe chiedere copertura per tutti quegli appalti pubblici di servizi e pulizia affidati oggi a imprese che usano il Ccnl multiservizi. 

In ultimo, la Rt potrebbe mettere in luce il vantaggio del salario minimo nell’emersione del nero (perché è un segnale chiaro di prezzo che mette in contrasto di interessi di lavoratori e imprese), ma anche i potenziali effetti sull’inflazione: un aumento così importante e con possibili effetti di trascinamento sui salari immediatamente superiori a 9 euro potrebbe avere un impatto sull’inflazione.

In conclusione l’opposizione ha fatto bene a unirsi su una battaglia di principio, ma siccome il salario minimo è una questione di primaria importanza  va trattata – almeno per chi è al governo – con la massima attenzione tecnica. Ora le strade sono due: o si costruisce il consenso su una proposta che possa funzionare e si sceglie la via principale di portarla alle prossime elezioni (e magari a quel punto la cifra di 9 è anche giusta, vista l’inflazione prevista nei prossimi anni), oppure il governo applica fin da ora in via sperimentale dei minimi di legge (erga omnes temporaneo) in alcuni settori fragili o per il lavoro orario. Quello che bisogna evitare è tornare a esplorare soluzioni pasticciate (come nel passato anche recente) pur di evitare di parlare di salario minimo.

 

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