il compromesso

La terza via sul salario minimo

Luciano Capone

Per superare il muro contro muro sui 9 euro l'ora, il governo e le opposizioni possono trovare un'intesa su una proposta della Relazione Orlando: un minimo sperimentale per i settori critici. Il compromesso può partorire una buona riforma

Il piccolo spiraglio aperto da Giorgia Meloni sul salario minimo sembra chiudersi di nuovo. Al momento il dialogo appare impossibile perché nessuno ha intenzione di fare passi indietro. Le opposizioni, trainate dal M5s di Giuseppe Conte, non hanno intenzione di offrire al governo un rinvio della discussione sulla proposta dei 9 euro l’ora. E per la maggioranza, invece, è complicato indietreggiare ritirando l’emendamento soppressivo. Tutti sono spinti a mantenere il muro contro muro, seguendo la logica della lunga campagna elettorale in vista delle elezioni europee.

Eppure, in questo contesto, un dialogo tra centrodestra e minoranze può portare a una soluzione di compromesso che potrebbe rivelarsi una buona riforma. Da un lato, è vero che l’opposizione può speculare politicamente su una bocciatura della sua proposta costruendo sul salario minimo la campagna elettorale per le europee, ma al prezzo di non ottenere nulla di concreto per tutta la legislatura. E, dall’altro lato, è vero che per il governo sarebbe una vittoria tattica quella di chiudere presto la partita parlamentare sul salario minimo, ma al costo di apparire completamente disinteressata alla questione salariale mentre l’inflazione continua a erodere il potere d’acquisto delle famiglie, in particolare quelle più povere.

 

Meloni ha capito bene qual è il rischio politico che corre, e da qui arriva la sua apertura al dialogo dei giorni scorsi che si distingue dalle stroncature dei suoi ministri che hanno definito il salario minimo assistenzialista (Musumeci) e soviettista (Tajani). Ma quali possono essere le soluzioni di compromesso accettabili per le opposizioni, o almeno per una parte? Per quanto in molti si stiano impegnando a manipolare i dati, il livello proposto di 9 euro l’ora è troppo elevato. 

 

La questione della soglia non è un dettaglio, ma la cosa più importante. Perché può far diventare il salario minimo una buona riforma o un disastro: se una soglia troppo bassa sarebbe poco utile, una soglia troppo elevata sarebbe dannosa: spingerebbe molti lavoratori verso la disoccupazione o il lavoro irregolare. E non c’è ombra di dubbio che, dal confronto internazionale, il livello proposto dalle opposizioni sia troppo alto: se nei paesi Ocse il livello del salario minimo è generalmente compreso in una fascia tra il 40 e il 60 per cento del salario mediano, i 9 euro l’ora per l’Italia corrispondono al 75 per cento del salario mediano. Il livello più alto in Europa, che può avere effetti devastanti soprattutto nel Mezzogiorno, dove i 9 euro l’ora sono pari al 90 per cento del salario mediano.

 

Quali possono essere allora le strade alternative politicamente percorribili? Ce ne sono un paio. Una può essere quella di affidare a una Commissione indipendente, sul modello di quelle esistenti in Regno Unito e Germania, la definizione della soglia seguendo i migliori standard europei. L’istituzione di una commissione del genere, con la funzione di adeguare periodicamente il salario minimo, è peraltro indicata nella proposta delle opposizioni. Affidarle il compito di indicare anche la soglia di partenza depoliticizzerebbe la questione e darebbe credibilità alla nascente commissione, evitando che in futuro la soglia diventi tema da propaganda elettorale anziché una decisione tecnica basata sui dati del mercato del lavoro.

 

Un’altra strada per trovare un accordo è riprendere una proposta presente nella Relazione sulla povertà lavorativa prodotta ai tempi del ministro del Lavoro Andrea Orlando, esponente di spicco del Pd di Elly Schlein. Tra le due strade dell’estensione dei contratti collettivi erga omnes (preferita da Meloni) e quella del salario minimo erga omnes (preferita da M5s-Pd-Azione-Avs), i tecnici di Orlando, guidati da Andrea Garnero, proponevano una terza via più riformista e pragmatica: l’introduzione di un salario minimo in via sperimentale e limitatamente ai settori dove le criticità sono più forti, per poi sulla base degli esiti valutare se e come estendere il modello.

 

È esattamente la strada che ha percorso, con buoni risultati, la Germania prima di introdurre il salario minimo. Qualora la indicasse il governo, difficilmente il Pd – cioè il partito dell’ex ministro Orlando – potrebbe rifiutarsi di prenderla in considerazione. Sarebbe una soluzione di compromesso,  forse non esaltante per fare propaganda politica, ma la migliore per fare una buona riforma.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali