populismo massimo

Sul salario minimo l'opposizione ha scelto la via demagogica del M5s

Luciano Capone

Il Pd inseguendo i grillini ha finito per sventolare un numero miracolistico, 9 euro l'ora. Ma c'è spazio per un metodo riformista: far indicare la soglia a una commissione indipendente sulla base di standard europei

I recenti casi Delmastro, Santanchè e La Russa con le relative polemiche hanno monopolizzato il dibattito politico, che per appena una settimana circa era stato sfiorato da questioni più sostanziali. Insomma, la discussione sul salario minimo orario proposto dalle opposizioni (con l’eccezione di Italia viva) sembra già archiviata. La lotta politico-giudiziaria sembra appassionare di più.

Eppure sarebbe il caso di riprendere il filo di quel discorso, se si vuole dare qualche risposta che incida realmente sulla vita delle persone. Bisogna però capire prima se le opposizioni intendono fare una vera riforma oppure innalzare un vessillo da sventolare nella campagna elettorale per le europee del 2024. Tutto fa pensare che ci troviamo di fronte alla seconda ipotesi, sebbene ci siano i margini per tentare di percorrere la prima strada. Ma servirebbe un cambio radicale di metodo.

 

Il salario minimo legale esiste in quasi tutta Europa, con l’eccezione dei paesi scandinavi, dell’Austria e dell’Italia, ovvero i paesi che hanno una forte contrattazione collettiva che raggiunge lo stesso scopo. La direttiva europea non impone l’introduzione del salario minimo, proprio perché l’Italia con la sua ampia copertura dei Ccnl formalmente rispetta i criteri europei. Ma non c’è dubbio che negli ultimi anni la contrattazione si sia indebolita, che siano proliferati i cosiddetti “contratti pirata” e che esista un problema di paghe basse. E, in questa situazione, il salario minimo può certamente essere uno strumento utile allo scopo. Il problema sono, appunto, il metodo e i dettagli. La nuova misura, per come viene proposta, ricorda la parabola del Reddito di cittadinanza, non solo perché viene presentata semplicisticamente come si faceva con l’abolizione della povertà dal balcone, ma anche perché si parte dalla definizione propagandistica di una soglia da cui poi far discendere tutto (780 euro al mese per il Rdc e 9 euro l’ora per il salario minimo). La logica è la stessa e le storture che ne deriverebbero pure.

 

Il salario minimo non può essere considerato come la leva che fa salire tutti gli stipendi, perché la sua efficacia è limitata alle situazioni in cui il datore di lavoro riesce a pagare i lavoratori meno della loro produttività. In tal caso il salario minimo riequilibra il potere di mercato delle imprese e può far aumentare le buste paga senza distruggere posti di lavoro. Definire la soglia del salario minimo non è un dettaglio, ma la cosa più importante e delicata. Perché da un lato fissare un salario minimo a un livello troppo basso sarebbe inutile o comunque riguarderebbe pochi lavoratori, e dall’altro lato una soglia troppo elevata sarebbe controproducente per l’impatto negativo sull’occupazione e sulle imprese. E per l’Italia 9 euro l’ora sono pochi o troppi? E come si è arrivati a questo valore?

 

Il dato è oggettivamente elevato, se paragonato con gli altri paesi sviluppati. Il confronto non va fatto con valore assoluto, dato che in paesi come la Francia (11,5 euro) o la Germania (12 euro) è ben più alto, ma va rapportato al potere d’acquisto e alla produttività dell’economia. La stessa direttiva europea indica come criterio quello più utilizzato in letteratura: il 60% del salario mediano – ovvero il valore centrale della distribuzione dei salari. Nei paesi Ocse il livello del salario minimo è generalmente compreso in una fascia tra il 40% e il 60% del salario mediano: la media è il 55%. In Germania e in Regno Unito, due paesi in cui il salario minimo funziona, è stato inizialmente introdotto attorno al 45% del salario mediano e poi progressivamente leggermente alzato. In Germania è ancora oggi attorno al 50% del salario mediano e in Regno Unito l’anno prossimo, dopo 25 anni, dovrebbe arrivare al 60%.

 

Per l’Italia, come ha mostrato in audizione alla Camera l’economista dell’Ocse Andrea Garnero, 9 euro l’ora significano un salario minimo pari al 75% del salario mediano, il livello più elevato tra i paesi Ocse dopo la Colombia. Si tratta, ovviamente, di una media nazionale che in un paese con un’ampia divergenza territoriale di produttività vuol dire che le conseguenze negative peggiori ricadrebbero soprattutto sulle piccole imprese del sud dove i 9 euro sono pari al 90% del salario mediano. Come d’altronde evidenziano gli stessi estensori della proposta, i lavoratori sotto soglia in Italia sono oltre 2,8 milioni pari al 18% dei lavoratori del settore privato, quando la media Ocse dei lavoratori coperti dal salario minimo è inferiore al 10%. Se si persegue questa strada populista il salario minimo o non si farà mai o si farà male. Ma una via d’uscita c’è.

 

La stessa proposta delle opposizioni prevede l’istituzione di una Commissione indipendente, sul modello della Low Pay Commission britannica, per aggiornare periodicamente la soglia. Siccome la proposta di Giuseppe Conte, Elly Schlein, Carlo Calenda, Riccardo Magi e Nicola Fratoianni prevede che il salario minimo entrerà in vigore dopo il 15 novembre 2024, perché non usare questo tempo per depoliticizzare la questione affidando alla commissione anche il compito di indicare la soglia di partenza del salario minimo sulla base dei migliori standard europei? D’altronde, come ha osservato in audizione alla Camera Tito Boeri, uno dei massimi esperti sul tema, “c’è un vantaggio nell’essere uno degli ultimi paesi a introdurre il salario minimo: possiamo capitalizzare sull’esperienza degli altri”.

 

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali