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Il Tesoro nella rete Telecom (con Kkr) se scioglie il nodo aiuti di stato

Mariarosaria Marchesano

L’ingresso del Mef nella newco è un’ipotesi sempre più concreta: nonostante i dubbi, potrebbero esserci margini per una trattativa con l'Unione europea. Resterebbe poi da capire da dove il ministero può prendere le risorse necessarie all'operazione 

Se ne era già parlato la scorsa primavera (vedi Foglio del 6 marzo 2023), ma l’ingresso del Mef nella newco che potrebbe rilevare la rete Telecom è un’ipotesi sempre più concreta a due mesi dalla scadenza del termine per la presentazione dell’offerta vincolante da parte del fondo americano Kkr (30 settembre). A Palazzo Chigi, dunque, l’opzione è sul tavolo da qualche tempo, ma se prima il ruolo del dicastero guidato da Giancarlo Giorgetti veniva inquadrato più come garante per l’impegno finanziario che avrebbe dovuto assumere Cassa depositi e prestiti (Cdp), nelle ultime settimane sarebbe cresciuto il consenso per una partecipazione diretta dello stato italiano attraverso un veicolo finanziario di nuova costituzione. Tale partecipazione potrebbe costare alle casse del Tesoro una cifra compresa tra 1 e 2 miliardi di euro per rilevare circa il 15 per cento del capitale della newco di cui Kkr avrà il controllo e che conterrà l’infrastruttura di rete del gestore telefonico, considerata a tutti gli effetti un asset strategico dal governo Meloni. 

“Ci chiediamo se possa comportare problemi in termini di regolamentazione sugli aiuti di stato”, hanno osservato gli analisti di Intesa Sanpaolo in una nota di ieri aggiungendo di vedere come più praticabile la soluzione di scorporare dal perimetro della rete la società Sparkle (settimo operatore al mondo e secondo in Europa per il routing Internazionale) “per placare le potenziali preoccupazioni del governo sulla sicurezza nazionale”. Un’obiezione sensata anche se, trattandosi di una quota di minoranza, i margini di una trattativa con l’Unione europea potrebbero esserci in virtù del fatto che altri paesi, negli ultimi due anni, hanno realizzato vere nazionalizzazioni in settori considerati strategici (come la Francia con il gruppo energetico Edf). Il fatto è che l’ingresso diretto del Mef nella società che gestirà la rete telefonica nazionale potrebbe emrgere come l’unica strada – tra quelle analizzate finora –  in grado di assicurare al Mef un peso nella governance in modo da garantire il rispetto degli interessi pubblici. In effetti, dopo aver vagliato i pro e contro di un coinvolgimento di Cdp nell’operazione, si sarebbe arrivati alla conclusione di escludere questa ipotesi per evitare problemi di antitrust visto che la Cassa controlla un altro operatore di rete (Open Fiber). Confermata sarebbe, invece, la presenza del fondo infrastrutturale italiano F2i che, da solo, però, non sarebbe sufficiente a rappresentare gli interessi dello stato in quest’affare. 

Alla scadenza del termine dato dal cda di Telecom a Kkr per mettere sul piatto un’offerta vincolante non manca molto considerato il periodo estivo e negli ambienti vicini al fondo americano si respira una certa fiducia che alla fine l’acquisto della rete telefonica italiana possa andare in porto proprio grazie all’impegno diretto del governo Meloni. Restano da chiarire, però, almeno tre punti, oltre alla questione aiuti di stato sollevata dagli analisti di Intesa. 

Il primo è dove il Mef prenderà le risorse per una partecipazione in termini di equity. Uno o due miliardi non rappresentano una cifra impossibile da recuperare nel bilancio pubblico, ma bisognerà pur tagliare o rinunciare a qualche altra spesa. Il secondo è dove prenderà i soldi il Mef quando un domani, come è sicuro che accadrà, Kkr vorrà monetizzare il suo investimento e uscire dalla rete, rivendendo il suo pacchetto di controllo allo stesso governo italiano e se questo non sarà nelle condizioni di ricomprarselo dovrà accettare che lo faccia qualcun altro. Il terzo punto è la posizione di Vivendi, socio di controllo di Tim, che si è sempre opposta alla vendita della rete promettendo battaglia in sede di assemblea. I francesi cambieranno idea di fronte alla ferma volontà del governo italiano?

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