Foto di Daniel Dal Zennaro, via Ansa 

l'analisi

Il Mef è pronto sborsare 4 miliardi di tasca propria per la rete di Tim

Mariarosaria Marchesano

Il governo Meloni non vuole rinunciare alla presenza rilevante dello stato sulla rete telefonica. A questo punto sul tavolo della compagnia c'è l'offerta di Cdp-Macquarie da una parte e Kkr dall'altra

Il controllo pubblico della rete Telecom o anche una presenza dello stato rilevante nell’assetto proprietario è un fatto irrinunciabile per il governo Meloni. Per raggiungere questo obiettivo il Mef, guidato da Giancarlo Giorgetti, sarebbe disposto a impegnarsi finanziariamente con un esborso che, secondo fonti finanziarie, potrebbe oscillare tra 3 e 4 miliardi a seconda che lo stato, attraverso la controllata Cassa depositi e prestiti (Cdp), assuma una quota di minoranza visibile (40 per cento) oppure il controllo (51 per cento) della Netco. 

 

È questa la novità più importante delle ultime ore dopo che nel weekend la cordata costituita da Cdp e il fondo australiano Macquarie ha formalizzato a Telecom un’offerta non vincolante per l’acquisto del 100 per cento della società tutta da costituire e che coincide con il perimetro gestionale e infrastrutturale della rete fissa, comprese le attività di FiberCop e la partecipazione in Sparkle. Tale offerta, sempre secondo indiscrezioni, valorizza la rete telefonica dell’ex monopolista circa 18 miliardi e a un primo sguardo sembrerebbe effettivamente più conveniente per Tim rispetto alla proposta avanzata dal fondo americano Kkr per la maggiore parte cash che implica. Ma c’è il rovescio della medaglia. 

 

Conti alla mano, l’offerta comporterebbe per Cdp un impegno finanziario che oscilla, appunto, in un range tra 3 e 4 miliardi. Una spesa che l’istituzione guidata da Dario Scannapieco sarebbe certamente in grado di affrontare con le sue risorse ma che finirebbe per eroderne i ratio patrimoniali, intoppo che si scopre essere stato fin dall’inizio il vero freno alla presentazione dell’offerta. Il nodo sarebbe stato sciolto proprio dal Mef che avrebbe messo nero su bianco in una lettera inviata alle parti la sua disponibilità a sostenere l’esborso di Cdp, anche se è ancora da chiarire quale sarebbe la struttura dell’operazione e come potrebbe essere valutata in sede europea in tema di aiuti di stato.

 

La Commissione ha dichiarato di non aver ricevuto notifica dell’offerta Cdp-Macquarie, i quali, però, evidentemente, ritengono di aspettare un secondo momento prima del confronto in sede europea, magari anche dopo che il cda di Tim, che si riunisce il 15 marzo, avrà espresso una prima valutazione sulla proposta. Va detto che i rilievi che la Commissione Ue potrebbe sollevare in tema di Antitrust – Cdp è anche il maggiore azionista di Open Fiber, altra società che opera nel mercato delle infrastrutture di rete telefonica – rappresentano un ulteriore scoglio che si può tentare superare solo rinunciando a creare una rete unica o dismettendo alcuni asset sovrapposti. 

 

A questo punto sul tavolo di Tim c’è l’offerta di Cdp-Macquarie, da un lato, e quella di Kkr, dall’altro, in una contesa che sta facendo bene al titolo dell’ex monopolista e che, dopo mesi di immobilismo, fa intravedere una via d’uscita per uno dei dossier più complessi che il governo Meloni si trova a gestire. Secondo alcuni analisti, occorre ancora capire il livello di coesione politica su questa operazione.

 

Ma in realtà l’idea che si è fatta largo al Mef è di replicare per Telecom uno schema come quello di Aspi, dove la presenza dello stato convive con due fondi d’investimento: Macquarie e Blackstone. Motivo per cui si è cercato in vari modi nelle ultime settimane di trovare un punto di convergenza tra le due offerte e tutt’ora fonti vicine alla cordata Cdp-Macquarie fanno capire che la porta per Kkr è sempre aperta. Il fondo americano, però, per il momento va avanti da solo nella convinzione che la sua offerta, comunque aperta alle istituzioni governative italiane, per come è strutturata sia più semplice da realizzare e meno complicata da far digerire all’Europa per l’assenza di criticità antitrust.  

 

E, si potrebbe aggiungere, meno dispendiosa per lo stato italiano. Se è vero che la rete telefonica rappresenta un asset strategico per l’Italia al punto che il governo potrebbe esercitare la golden power, è anche vero che la strada che si sta delineando per presidiare l’asset è spendere dei soldi facendo aumentare il debito pubblico. 

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