l'analisi

La stortura della decontribuzione che può fare ridurre i redditi netti

Luciano Capone e Leonzio Rizzo

Per i lavoratori vicini alla soglia di 35 mila euro (2.692 euro al mese) un rinnovo contrattuale o uno straordinario possono fare svanire il taglio del cuneo del 6%, con una forte perdita del reddito disponibile. Una distorsione che va aggiustata, soprattutto se si vuole che lo sgravio diventi strutturale

Oggi per buona parte dei lavoratori è giorno di stipendio, ma molti potrebbero avere una non piacevole sorpresa. Un paio di settimane fa, sul Foglio del 12 luglio, avevamo fatto notare che la misura più importante del governo a favore dei dipendenti può rivelarsi una beffa: la decontribuzione, in casi tutt’altro che rari, può produrre una riduzione di reddito anziché un aumento. Il taglio del cuneo fiscale per i lavoratori con redditi inferiori a 35.000 euro, per come è disegnato, ha effetti fortemente distorsivi sull’offerta di lavoro. Ciò a causa del fatto che lo sgravio è assicurato solo a redditi sotto una certa soglia, creando delle importanti discontinuità sul reddito netto. In particolare, dopo 35.000 euro di reddito, potrebbe diventare non conveniente un aumento del proprio salario lordo perché si perderebbe improvvisamente il taglio del cuneo del 6%.

 

Tuttavia, è da notare che la legge stabilisce che l’eleggibilità per la decontribuzione viene calcolata mensilmente. Quindi il riferimento al reddito annuale come soglia potrebbe essere fuorviante nel caso in cui ci si trovi di fronte a soggetti il cui guadagno non è uniforme nel corso dell’anno. In particolare, la legge dice che è garantito un taglio del 7% dei contributi per redditi mensili inferiori a 1.923 euro e un taglio del 6% per redditi mensili inferiori a 2.692 euro. Questo meccanismo potrebbe essere particolarmente svantaggioso, ad esempio, per i lavoratori che cumulano redditi elevati in pochi mesi e poi non guadagnano nulla. Oppure potrebbe disincentivare dagli straordinari lavoratori che sono vicini alla soglia dei 2.692 euro, poiché nel mese in cui fanno degli straordinari oppure ottengono un bonus perderebbero l’agevolazione fiscale.

 

In molte aziende i redditi dei lavoratori sono intorno ai 2.500 euro lordi, vicino alla soglia, e ovviamente la criticità è destinata ad aggravarsi con i rinnovi contrattuali. Il problema è più evidente per alcune categorie, come ad esempio i metalmeccanici che hanno appena rinnovato il Ccnl ottenendo a giugno un incremento medio in busta paga di 123,40 euro, pari al 6,6%, legato all’inflazione dei prezzi al consumo. Per molti di questi lavoratori, il rinnovo contrattuale comporta il superamento della soglia mensile di 2.692 euro e, di conseguenza, la perdita dello sgravio contributivo: in pratica, il reddito netto resta uguale, come se l’aumento contrattuale non ci fosse stato. Non si tratta di poche persone, perché i 35.000 euro annui, per settori come l’industria rappresentano la soglia di maggiore densità dei redditi dei dipendenti.

 

Il problema si presenta analogo, sebbene con un margine di incertezza maggiore, per chi resta di poco sotto la soglia. Ebbene, per centinaia di migliaia di lavoratori sapere quanto riceveranno di stipendio è come indovinare un terno al lotto, perché molto dipende dalle voci variabili della busta paga. Se l’azienda obbliga a fare un sabato bisogna aggiungere 180 euro (12 euro l’ora per 8 ore più 50% di maggiorazione) che possono far superare la soglia mensile: in tal caso chi fa lo straordinario guadagnerà meno di chi non lo fa.

 

Altra variabile: nelle aziende che erogano il salario “fisso” della contrattazione aziendale con maxi rate (14esima, premio di risultato, etc.) nei mesi in cui non ricevono questi pagamenti i lavoratori prendono lo sgravio (anzi, lo prendono sempre se il premio di risultato è stato pagato ad aprile e la 14esima a giugno, ovvero prima dell’entrata in vigore del decreto Lavoro del governo Meloni), e lo prendono anche se il lordo annuo supera di molto i 35.000 euro. Nelle aziende, invece, che pagano tutto ogni mese i lavoratori rischiano di non ricevere mai lo sgravio se il lordo supera ogni mese la soglia. In pratica, a parità di salario la tassazione è nettamente diversa.

 

Ad esempio, un operaio turnista con uno stipendio lordo di base di 2.500 euro al mese, se nei prossimi sei mesi lavora due sabati prende 288 euro in più al mese, lo stipendio lordo diventa 2.788 euro, superiore alla soglia mensile di 2.692 euro e per questo non ha diritto alla decontribuzione. Se nei sei mesi precedenti ha fatto meno ore di lavoro, prendendo mensilmente 2.253, arriverebbe a un reddito annuo di 32.500 euro, comprensivo di tredicesima. Un operaio che invece guadagna gli stessi 32.500 euro all’anno, ma uniformemente distribuiti sulle 13 mensilità (ovvero 2.500 euro al mese), ha invece diritto alla decontribuzione sull’intera somma, poiché ogni mese guadagnerà meno di 2.692 euro.

 

Un altro caso potrebbe essere quello di un lavoratore stagionale che lavora per soli sei mesi (in genere per più di otto ore al giorno), percependo uno stipendio mensile lordo di 2.800 euro: il lavoratore non otterrà nessuno sgravio sui contributi, sebbene abbia un reddito annuale di 16.800 euro, inferiore a 25.000 euro. Chi invece, guadagna la stessa cifra annuale di 16.800 distribuita uniformemente su 13 mensilità (ovvero 1.292 euro al mese), otterrà lo sgravio contributivo del 7% ogni mese, perché sotto la soglia di 1.923 euro/mese (pari a 25.000 euro/anno). Quindi nel primo caso il lavoratore che fa gli straordinari, rispetto al collega che guadagna lo stesso reddito lordo senza straordinari, consegue un reddito netto annuo inferiore di 704 euro. Nel secondo caso, il lavoratore stagionale, rispetto a uno non stagionale con lo stesso reddito lordo annuo, ottiene un reddito netto inferiore di 739 euro.

 

Insomma, è una sorta di lotteria che costringerà ogni mese i lavoratori a complicati calcoli per verificare se conviene fare straordinari, lavorare nei festivi, cambiare turno, etc. Si tratta di storture rilevanti da correggere soprattutto se il governo, insieme ai sindacati che avevano chiesto questa decontribuzione e alle stesse opposizioni, vuole rendere strutturale lo sgravio. Che può entrare in conflitto con altre misure del governo, pure queste chieste dai sindacati, come la detassazione dei premi di produttività e degli straordinari.

 

La distorsione nell’allocazione temporale dell’offerta di lavoro rende ancora più forte l'idea proposta sul Foglio di sostituire la decontribuzione con un trasferimento basato sul livello di Isee, un po’ sul modello che è risultato efficiente dell’Assegno unico per i figli. Se invece proprio si vuol lasciare la decontribuzione solo per alcune fasce di reddito, si dovrebbe garantire lo sgravio su una soglia di reddito lordo su base annuale e con uno scivolo che eviti salti così bruschi delle aliquote marginali. Così si eviterebbero ingiustificate discriminazioni tra lavoratori che guadagnano lo stesso reddito mensile ma con una diversa cadenza temporale e non si disincentiverebbero l’offerta di lavoro e gli aumenti dei prossimi rinnovi contrattuali.