Flavio Cattaneo (Ansa)

Il profilo

In che consiste il metodo Cattaneo per risollevare Enel

Stefano Cingolani

La lunga rincorsa del nuovo ad sponsorizzato da Salvini e nominato da Meloni. Dagli studi alla Bocconi ai numerosi incarichi ricoperti nel corso della vita, ora sembra riuscire a mettere tutti d’accordo

Come si fa a mettere d’accordo Ignazio La Russa e Matteo Salvini, Mediobanca e Caltagirone, Montezemolo e Berlusconi, Milano e Roma, le relazioni amicali e il taglio delle teste, i salotti che contano e il duro lavoro? Per un comune mortale è ai limiti delle umane possibilità, per Flavio Cattaneo è il percorso di una vita. Voleva fare l’architetto e per questo ha studiato al Politecnico di Milano, ma quando ha capito che non sarebbe mai arrivato nell’empireo delle archistar ha scelto di diventare top manager, in uno star system diverso, ma non per questo meno importante, basta vedere la girandola dei loro appannaggi e la corsa delle aziende ad accaparrarsi non solo i migliori, ma quelli che fanno più notizia o, perché no, spettacolo, modello Sergio Marchionne, Andy Jassy (Amazon), Jamie Dimon (JP Morgan), Fabrizio Freda (Estée Lauder). E lì i suoi multipli talenti sono maturati in fretta.

 

Nato a Rho nel 1963, Cattaneo si specializza alla Bocconi in gestione aziendale nel settore immobiliare e a 26 anni apre una impresa edile. È il momento in cui Milano si trasforma, si chiudono le fabbriche e si schiudono i centri commerciali, l’industria lascia il posto ai servizi, nasce un nuovo ceto sociale e professionale, gli immobiliaristi (Cabassi, Zunino, Coppola). Il loro re è Salvatore Ligresti con il quale aveva un rapporto strettissimo il padre di Ignazio La Russa, Antonino, nato anch’egli a Paternò, segretario nel 1940 del Partito nazionale fascista e nel Dopoguerra senatore del Msi. Lo ha raccontato il figlio, già presidente del Senato, nel novembre scorso, presentando la biografia di Ligresti scelto da Enrico Cuccia come ponte con il mondo politico milanese e soprattutto con Bettino Craxi.

 

Troviamo così la spiegazione per una delle antinomie in apparenza misteriose con le quali abbiamo cominciato l’articolo. Il giovane Cattaneo si forma nella Milano degli anni Novanta travolta da Tangentopoli, schivando i macigni sul suo cammino. Nel 1997 comincia il percorso a cavallo tra politica e impresa. A Lecco gli immobili dell’Iacp (il vecchio Istituto per le case popolari) vengono trasferiti a una nuova società della quale Cattaneo viene nominato amministratore delegato. L’operazione, decisa dalla regione Lombardia, dà vita a una serie di iniziative, si aprono cantieri, rivive l’edilizia residenziale pubblica e il manager, ancora alle prime armi, si mette in luce tanto che già un anno dopo è vicepresidente della Aem, l’Azienda elettrica meneghina, passaggio ponte per arrivare alla Fiera di Milano. È il grande palcoscenico per il debutto, sostenuto da Luigi Roth, il manager formatosi nella Pirelli, mente strategica del progetto che ha contribuito a cambiare il volto di Milano. L’ente va trasformato in società per azioni, l’ingresso in Piazza degli Affari è un successo e il commissario s’installa come presidente e amministratore delegato fino al 2003, dove si presenta ben altra fiera, una fiera della vanità e del potere chiamata Rai. Al governo c’è Silvio Berlusconi, Cattaneo ha rapporti diretti soprattutto con il fratello Paolo, mentre La Russa è capogruppo di Alleanza nazionale accanto a Gianfranco Fini del quale ha sposato la svolta di Fiuggi; alla Fiera si sono stretti anche i legami con la Lega di Umberto Bossi. La vittoria del centrodestra nel 2001 è ampia e la Rai è una postazione decisiva visto che Berlusconi, capo del governo, è anche il fondatore e proprietario di Mediaset. La scelta del direttore generale è particolarmente delicata. Nel 2003 la spunta Cattaneo per il quale garantiscono non solo le relazioni milanesi, ma anche i risultati. È un salto che potrebbe rivelarsi professionalmente mortale, come è accaduto a molti suoi predecessori, invece diventa una consacrazione e una svolta anche personale.

 

Sono due anni roventi dove passioni, sentimenti, intrighi si incrociano e talvolta si confondono. Con Sabrina Ferilli è amore forse non a prima vista, ma intenso e duraturo. Per lei, Cattaneo lascia la prima moglie Cristina Goi con la quale ha due figli, e nel 2011 convola a giuste e agognate nozze con Sabrina. Quel milanese di bella presenza si romanizza nei modi e nei rapporti. Un successo tira l’altro e dopo un anno “va in onda l’utile” come titola il Sole 24 Ore, per la prima volta in decenni, forse nella storia della tv di stato (se ne dibatte ancora). Aumentano i ricavi e la pubblicità: più 12 per cento, mentre il mercato fa segnare più 10 per cento, ma la cosa clamorosa è che resta indietro Mediaset con un 9 per cento di aumento. Ma come, Cattaneo non era stato messo lì per tutelare il Biscione, non è forse vero che doveva berlusconizzare non solo la tv, ma l’informazione intera? È la tesi che appare in una inchiesta di Repubblica firmata da Giuseppe D’Avanzo: si parla di una Struttura Delta che fa capo a Deborah Bergamini, ex assistente del Cavaliere, focosa viareggina che nel 2002 viene nominata alla Rai vicedirettore del “marketing strategico” (niente meno!). Doveva piazzare gli uomini giusti al punto giusto, controllare l’informazione e soprattutto (perché le notizie volano nel vento, mentre i quattrini entrano nelle tasche) badare che l’azienda pubblica non violasse il duopolio accaparrandosi più pubblicità, principale alimento per Mediaset. E invece…

 

“Cattaneo non è capace, ci vuole uno pronto a sporcarsi le mani”, sbotta la Bergamini captata in una delle tante intercettazioni telefoniche dell’inchiesta sulla “fabbrica del consenso”. Parla con una persona non identificata che lavora in Rai. Sperano che il Consiglio di amministrazione faccia fuori Cattaneo. “Lui è l’essere più meschino che ho conosciuto, pensa solo a stesso. Non si preoccupa del contesto, di quello che gli si può richiedere. È brutto quell’uomo lì”. E ancora: la sua nomina “è stata una svista”, dice l’interlocutrice, “sì una leggerezza e poi non ci si rende conto ora di quanti danni ha fatto. Va cercato con il lanternino uno peggio”. Leale alla Rai e non a Mediaset? Il direttore generale da quel che si capisce era finito tra l’incudine e il martello, ma aveva imparato a schivare i colpi e a scivolare tra i paletti. In viale Mazzini non era amato, non lo è stato né lo sarà mai nessun direttore generale. Ma carta canta e Cattaneo lascia al successore un tesoretto di tutto rispetto reinvestito nel palinsesto; nello sviluppo dei contenuti digitali; nei grandi eventi sportivi (Europei di calcio e Olimpiadi). Intanto Berlusconi perde le elezioni contro Romano Prodi (per la seconda volta) e alla Rai si cambia, come d’abitudine.

 

Cattaneo resta a Roma, per lui c’è una poltrona senza dubbio più tranquilla, anche se non priva di ostacoli al vertice di Terna, la società pubblica che gestisce la rete elettrica. È un mercato protetto, non c’è concorrenza, però bisogna razionalizzare, investire, fare utili. E il manager resta ben nove anni, porta a termine il proprio compito arrivando brillantemente alla fine del terzo mandato. Nel 2010 viene nominato numero uno in Italia e quinto in assoluto nel settore energetico. Terna è una reginetta della Borsa e distribuisce bei soldoni nella casse dello stato. Arriva al governo Matteo Renzi e nomina Matteo Del Fante, non ci sono posti per Cattaneo nelle partecipazioni statali, ma si spalancano le porte di Italo o meglio della società Ntv, il principale concorrente di Trenitalia nel trasporto ferroviario, i cui azionisti sono Banca Intesa, Generali, i francesi di Sncf (le ferrovie francesi), Diego Della Valle e Luca Cordero di Montezemolo.

 

Si apre un periodo di veloci cambiamenti. Telecom Italia per un rapido passaggio tra il 2016 e il 2017, con una buonuscita da 26 milioni di euro, poi di nuovo Italo, mentre si stringe un legame importante con Francesco Gaetano Caltagirone. Entra nella Cementir e nel consiglio di amministrazione delle Assicurazioni Generali. Intanto diventa anche imprenditore nel 2021 con Itabus, società privata di trasporto su gomma a lunga percorrenza, della quale è fondatore e azionista di controllo insieme a Montezemolo, Giovanni e Lucio Punzo, Angelo Donati e Isabella Seragnoli. La battaglia delle Generali contro Mediobanca va male, Cattaneo resta a presidiare la minoranza guidata da Caltagirone. Finché non arriva il toto-nomine di Giorgia Meloni. E qui entra in scena la “compagnia del tranello” guidata questa volta da Salvini. Il “Capitano” aveva messo in campo Cattaneo persino come sindaco di Roma nel 2020, ma Meloni aveva scelto l’improbabile Enrico Michetti. Vinse Roberto Gualtieri.

 

Tuttavia il manager milanese è pur sempre una riserva se non della Repubblica quanto meno della destra milanese, riserva ormai soprattutto leghista perché i rapporti con La Russa si sono raffreddati e la Meloni se l’è presa quando ha dato forfait alla convention milanese di Fratelli d’Italia lo scorso anno. La presenza il 9 marzo alla festa del cinquantesimo salviniano, insieme alla sua sposa, aveva suscitato ulteriore irritazione tanto che non figurava in nessuna rosa. Finché nella concitata riffa del 12 aprile spunta a sorpresa la coppia Scaroni-Cattaneo al vertice dell’Enel dove la premier avrebbe voluto Stefano Donnarumma. Meloni fa un passo indietro, cede alla fronda Salvini-Berlusconi per difendere la scelta di Roberto Cingolani a Leonardo e non toccare due caselle chiave: quella dell’Eni con Claudio Descalzi e delle Poste con Matteo Del Fante. Non sembra che la decisione sia maturata in base a un progetto strategico per l’Enel, ma wait and see. La Lega non ha mai amato la strategia di Starace: rinnovabili a tutto spiano ed espansione estera di quella che è diventata una delle maggiori compagnie elettriche sul mercato mondiale. I leghisti vorrebbero che l’Enel tornasse a casa il più presto possibile. Intanto occorre ridurre un debito da 60 miliardi di euro, portando avanti la vendita di partecipate estere avviata già dal predecessore e aggiungendone altre. Oltre a sole e vento, si può pensare al gas liquefatto che arriva nella spagnola Endesa, magari pestando un po’ i piedi all’Eni. Poi c’è il nucleare con un progetto anch’esso diverso da quello di Descalzi (la tecnologia di quarta generazione invece della fusione magnetica che l’Eni sta sperimentando). E poi chissà, riciccia un matrimonio tra i due gruppi energetici per creare un campione nazionale, anzi internazionale. Ma è troppo presto per progetti tanto ambiziosi ed è meglio evitare voli pindarici. Cattaneo, del resto, è uno con i piedi ben piantati per terra e il lavoro, certo, non gli mancherà; all’Enel o altrove.

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