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L'analisi

Domanda interna e ingerenze statali. Come leggere il +4,5 della Cina

Giorgio Arfaras

La crescita dell'economia di Pechino non è una sorpresa: i numeri sono stati trainati soprattutto dagli investimenti in infrastrutture e dalle esportazioni. Ma la ripresa si scontra con i limiti strutturali di un sistema autocratico

L’economia cinese nel primo trimestre di quest’anno è cresciuta, in rapporto al primo trimestre dello scorso anno, del 4,5 per cento. Contro un’aspettativa del mercato di un 4 per cento e contro un obiettivo annuale del governo del 5 per cento. La crescita mostrata nel premio trimestre non è così un qualcosa di inatteso, un qualcosa che possa destare meraviglia, perché, alla fine, è vicina a quanto stimano le molte “forchette”. Al di là del numero finale di crescita del pil, quel che conta è il contributo delle voci che lo compongono. La crescita di quest’anno è stata trainata soprattutto dagli investimenti in infrastrutture e dalle esportazioni, i due motori dell’economia cinese degli ultimi decenni. Uscendo la Cina dai rigori del Covid, e con la ripresa della domanda mondiale, anch’essa post Covid, si ha che alcuni investimenti che si erano fermati siano stati ripresi, così come si ha una ripresa delle esportazioni.

 

Il punto dolente è offuscato dalla ripresa dei succitati motori storici. Secondo l’Istat cinese, infatti, la ripresa non può essere considerata solida fin tanto che la domanda interna non diventi adeguata. Con ciò si intende una crescita della domanda domestica che accresca i consumi delle famiglie (e quindi che riduca l’eccesso di risparmio di queste ultime che si trasforma in “troppi” investimenti in infrastrutture ed esportazioni) e che in sede di investimenti si concentri molto meno i quelli in infrastrutture (fra cui l’edilizia che ha costruito più di quanto sia stato domandato, e che è andata in grave crisi, perché ha continuato a costruire a debito non avendo venduto o affittato a sufficienza). La crescita dei consumi delle famiglie è cresciuta molto negli ultimi tempi, ma va messa in rapporto alla caduta degli stessi legata ai vincoli imposti dal controllo del Covid dello scorso anno. L’auspicio per i consumi è di conseguenza quello di una ripresa costante e non un “rimbalzo” che tipicamente avviene dopo un periodo di depressione.

 

Questo è quanto si ricava da un ragionamento legato alle variazioni del pil e delle sue componenti nei primi mesi di quest’anno. I nodi che deve affrontare la Cina non sono solo (ed è già tantissimo) quelli legati ai consumi delle famiglie e agli investimenti in qualcosa d’altro che non siano le infrastrutture. Si ha, infatti, il nodo dell’ingerenza dello stato, che in un regime come quello cinese è anche un intervento del partito nelle imprese private allo scopo di limitare le libertà degli imprenditori, che potrebbero portare alla nascita di poteri alternativi. Tornando ai consumi delle famiglie. Questi ultimi aumentano se viene meno il timore di eventi avversi o troppo costosi, che spingono a risparmiare “troppo”. I primi sono legati al costo della sanità, i secondi al costo dell’istruzione e alla mancanza di un sistema pensionistico diffuso. Il controllo degli eventi avversi nonché del costo degli altri servizi esige la formazione di uno “stato sociale”. Un evento politico che non è detto che sia facilmente compatibile con un sistema politico autocratico.

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