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Ah, e l'ambiente? Il cortocircuito progressista di fronte alla battaglia sulle accise

Alberto Clò

Le richieste di quei partiti che chiedono il ripristino degli sconti sul carburante dimostrano un'altra volta come al merito delle questioni si presti ormai poca o nessuna attenzione, preferendo far trionfare ignoranza e bugie

Scrivevo giorni fa, a proposito del gran chiasso sui prezzi dei carburanti, che l’ignoranza delle cose è una gran brutta bestia, cui aggiungo ora che le bugie più sono grandi più sembrano vere. Specie nell’associare alle vituperate compagnie petrolifere i termini speculazione e pratiche di cartello, mentre a fare i prezzi sono in definitiva i circa 22.000 gestori con 240 marchi registrati. Guardando ai dati emerge infatti che i prezzi dei carburanti sono aumentati quasi esattamente dell’eliminato calo delle accise deciso lo scorso anno dal governo Draghi (pari, dal 22 marzo 2022, a 30 centesimi al litro e dal 1° al 31 dicembre a circa 20 centesimi). I prezzi finali sono aumentati anzi meno di quel che poteva avvenire, guardando alle aumentate quotazioni internazionali dei prodotti petroliferi (non del petrolio!), cui quelle interne sono logicamente ancorate.

 

A esse, per pervenire al prezzo finale alla pompa bisogna aggiungere i costi di distribuzione e, ahimè, le sue voci dominanti: accise e Iva. Stupirsi del fatto che i maggiori prezzi si abbiano a Bolzano, priva di raffinerie nelle vicinanze, e quelli minori ad Ancona, grazie alla raffineria dell’Api, è il trionfo delle banalità. Così come la meraviglia nell’osservare la diversità dei prezzi dei carburanti nelle medesime aree, denunciata da un ministro come la pistola fumante della speculazione in atto e non come espressione del libero mercato che sta ai consumatori risolvere – leggasi concorrenza – scegliendo di rifornirsi là dove il prezzo è minore.

Sarebbe interessante conoscere le risultanze delle ispezioni della Guardia di Finanza già impegnata nel contenere la mostruosa area di mercato nero nella filiera petrolifera che vale diversi miliardi di euro. Mantenere il taglio delle accise avrebbe comportato d’altra parte un costo mensile per le casse dello stato salito a un miliardo di euro al mese, di cui avrebbero beneficiato soprattutto le famiglie a maggior reddito. La decisione del governo Draghi – presa per inerzia sulla scia delle risorse erogate per tagliare le bollette di elettricità e gas (62 miliardi euro, tutte a debito) – fu comunque abbastanza sorprendente per più ragioni a partire dal fatto che l’aumento dei prezzi petroliferi nulla aveva a che fare con la crisi ucraina che era invece alla base dell’esplosione di quelli del gas e della correlata elettricità.

A ciò si aggiungeva il fatto che incentivare l’uso dell’auto, e quindi delle importazioni di petrolio, non appariva una misura coerente con l’interesse a contenere il nostro deficit commerciale esploso a seguito del boom del prezzi del gas. Negli anni Settanta si decise, a seguito delle crisi petrolifere, una misura esattamente opposta: ridurre l’uso dell’auto col divieto di circolazione nei fine settimana. Gli italiani seppero reagirvi con intelligenza e creatività. Che oggi si sostenga il contrario specie da parte dei partiti che si definiscono progressisti e di sinistra, quasi che quei soldi non possano essere spesi meglio che favorire le famiglie a maggior reddito, dà conto per l’ennesima volta che nella contrapposizione politica al merito delle cose si presta ormai poca o nulla attenzione, preferendo far trionfare ignoranza e bugie.
   

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