Il Circo Meloni e le capriole su Pos, Mes e accise

Luciano Capone

Da Tremonti a Fazzolari passando per la premier, il governo si lancia in acrobatiche giravolte per sgonfiare le polemiche che esso stesso aveva creato: dalla ratifica del Meccanismo europeo di stabilità ai pagamenti elettronici fino al prezzo dei carburanti

Prendiamo la posizione del governo sul Mes, che è quella di ratificare la riforma del Trattato annunciando di volere un’altra riforma. “Cade ancora più in basso la credibilità dell’Italia con un premier che, artefice e vittima di se stesso, volteggia come un acrobata sul suo circo: vota su di un Trattato ma dice che ne vuole un altro, niente male per il leader di un paese fondatore”. Sono parole di Giulio Tremonti, di due anni fa, rivolte all’allora premier Giuseppe Conte, ma che calzano alla perfezione sulla Giorgia Meloni di oggi.

 

L’ex ministro dell’Economia all’epoca si scagliava contro l’ipotesi di votare la riforma del Meccanismo europeo di Stabilità, descritta in un’intervista a Libero come un “mostro di Frankenstein” che sarebbe servito per commissariare l’Italia: “Quando ci sarà, e se ci sarà, la ripresa nel resto d’Europa, emergerà fatale e consueta la criticità del caso Italia. Il segnale partirà proprio dall’interno del Mes”. Quindi lotta dura contro la riforma del Mes: è in gioco la sovranità dell’Italia!

 

Nel giro di un paio d’anni, anche grazie a quelle posizioni in linea con il pensiero di Giorgia Meloni, Tremonti è stato eletto alla Camera con FdI ed è diventato presidente della commissione Affari europei, il ruolo perfetto per portare avanti quelle battaglie. E invece ora, intervistato dal Sole 24 Ore, Tremonti spiega perché sia giusto approvare il nuovo Mes pur auspicando una riforma più sostanziale della sua funzione: “Giorgia Meloni ha detto in sostanza che non vede alternative al voto italiano sul Mes, e che però intende ridiscuterne la funzione. Sono totalmente d’accordo con lei”, dice Tremonti. Si tratta, in sostanza, di ratificare la decisione presa da Conte, con gli stessi argomenti usati da Conte, descritto per questa sua posizione “artefice e vittima di se stesso, volteggia come un acrobata sul suo circo”.  Tremonti è uno dei vari funamboli del circo Meloni che in questi mesi si sono dati molto da fare per sgonfiare assurde polemiche che loro stessi avevano creato. La riforma del Mes è solo una delle tante: definita in lungo e in largo dalla premier come “un cappio al collo” contro cui fare “opposizione totale”, diventa una questione “secondaria” quando arriva il momento di opporsi davvero. Una polemica ridicola, che è esistita solo in Italia – unico paese dell’Eurozona a non avere ancora ratificato il Trattato – viene ribaltata con una capriola dai suoi stessi artefici.

 

Prima c’è stata la questione del Pos, che ha tenuto banco per mesi, presentata come una delle novità della legge di Bilancio: la possibilità, per gli esercenti, di rifiutare pagamenti elettronici sotto i 60 euro. Una battaglia di libertà, quella di togliere la libertà ai consumatori sulla scelta del metodo di pagamento, perché le commissioni sono troppo alte e insostenibili. Quando la Banca d’Italia solleva qualche obiezione, dicendo che il costo di una misura del genere è rappresentato da un aumento dell’evasione, la reazione del governo è decisa: “Bankitalia è partecipata da banche private”, dice il sottosegretario di Palazzo Chigi Giovanbattista Fazzolari, e pertanto si esprime contro il contante e a favore della “moneta privata del circuito bancario”. A seguire importanti e fondamentali disquisizioni della premier, nel format “Gli appunti di Giorgia”, sul denaro contante che è “l’unica moneta a corso legale” mentre “la moneta elettronica è una moneta privata gestita dalle banche”. Pertanto non si indietreggia.

 

Poco dopo, come a breve accadrà con il Mes, il governo si rende conto che non può entrare in conflitto con la Commissione europea su un impegno che era stato preso nell’ambito del Pnrr e fa un’altra acrobazia: cancella la norma. Il Pos resta obbligatorio, ma al suo posto il governo inserisce un “tavolo” con le banche – quelle “banche private” che starebbero dietro alla Banca d’Italia – per convincerle, su base volontaria, a ridurre le commissioni sotto ai 30 euro (non più 60 euro). Non c’è nemmeno il credito d’imposta per gli esercenti che era stato introdotto dal governo Draghi: anche le commissioni che erano insostenibili diventano un tema “secondario”.

 

Stessa parabola sulle accise. La premier e il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, con ottime e condivisibili ragioni, decidono di sospendere lo sconto sulle accise perché da un lato il prezzo dei carburanti sta scendendo e dall’altro è un sussidio molto costoso e iniquo. Quando il prezzo dei carburanti aumenta, evidentemente per effetto della decisione del governo, i ministri dello stesso governo si scagliano contro la “speculazione” dei privati, convocano la Guardia di Finanza e annunciano controlli a tappeto e sanzioni dure contro i furbetti.

 

Finisce con un’altra acrobazia: gli stessi ministri che due giorni prima se la prendevano con gli “speculatori” ora spiegano che non c’è alcuna speculazione, che il prezzo finale è aumentato meno dell’aumento delle accise. Quindi il rischio è che la GdF, che su mandato del governo aveva il compito di scovare gli “speculatori”, ora irrompa nel Cdm: il Circo dei ministri, per dirla à la Tremonti.

 

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali