Perché il calo dell'export di carbone in India è un brutto segnale per Putin

Luciano Capone

A settembre si prevede un calo del 30% delle esportazioni carbonifere verso New Delhi, per effetto dell'embargo europeo e di problemi logistici. È un indicatore dell'efficacia delle sanzioni sul petrolio, che partiranno da dicembre. Gli anni d'oro dell'export russo potrebbero essere ormai alle spalle

A luglio la Russia era diventata la terza fornitrice di carbone dell’India, con un aumento di esportazioni del 20% rispetto al mese precedente. Prima della guerra la Russia era la sesta fornitrice dopo Indonesia, Sud Africa, Australia, Stati Uniti e Mozambico di un paese affamato di carbone per la sua siderurgia e per la produzione di energia elettrica (generata per il 70% dal carbone). Con lo scoppio della guerra, il progressivo embargo europeo al carbone russo e i forti sconti che Mosca è stata costretta a offrire, le importazioni di New Delhi sono esplose. Ora però sta succedendo qualcosa di diverso.

 

Scrive il Kommersant, il principale quotidiano economico-finanziario russo, che a settembre si prevede una riduzione del 30% delle esportazioni di carbone in India. Le ragioni del calo sono plurime e non riguardano una cambiamento nella convenienza reciproca dei due paesi, ma problematiche tecniche. In primo luogo, il lungo periodo di attesa per le navi. In secondo luogo, tema collegato, l’aumento della congestione sulle rotte marittime intorno agli stretti danesi che collegano il Baltico al Mare del nord, particolarmente trafficati in questo periodo di riorganizzazione delle forniture con l’arrivo in Europa di navi che trasportano Gnl, petrolio e prodotti raffinati. La Russia esporta carbone in India dai porti dell’estremo oriente, ma anche dal porto sul Baltico di Ust-Luga, che è uno dei più importanti terminali per il carbone. Questo hub vicino all’Estonia, inaugurato da Vladimir Putin nel 2011, aveva l’obiettivo di evitare il trasporto dei carichi attraverso gli stati baltici (un po’ con la stessa logica del gasdotto Nors Stream per tagliare fuori l’Ucraina), ma i mercati di destinazione erano principalmente i paesi del nord Europa. Con l’embargo sul carbone dell’Unione europea scattato dal 10 agosto, ma le importazioni si erano già ridotte nei mesi precedenti, le navi in partenza da Ust-Luga devono fare un po’ il giro del mondo per arrivare in India. Alla congestione e alle rotte più lunghe, si aggiunge un’altra complicazione: il rifiuto da parte delle società occidentali di assicurare le navi di carbone russe sempre a causa delle sanzioni.

 

Insomma, alla Russia servono sempre più navi e per più tempo, ma ne trovano sempre di meno disponibili: se prima della guerra le società carbonifere russe avevano accesso al 100% del trasporto globale di merci, ora la quota è crollata al 30%. Il governo russo sta tentando, insieme agli esportatori e alla Banca centrale russa, per creare una propria assicurazione. Ma gli ostacoli non sono pochi. Naturalmente il carbone rappresenta una quota minoritaria delle esportazioni e delle entrate fiscali della Russia, ma può essere un indicatore dell’efficacia dell’embargo e delle sanzioni introdotte in anticipo rispetto al petrolio e ai prodotti raffinati (in vigore da dicembre), che sono invece la principale fonte di reddito per il Cremlino. Gli ostacoli nel reperimento di navi, sui tempi di percorrenza e sulle assicurazioni valgono allo stesso modo per l’export il greggio, che proprio come il carbone la Russia sta riorientando verso l’Asia.

 

Qualche segnale si è iniziato a vedere già ad agosto. Ma l’impatto più forte ci sarà nei prossimi mesi. L’Agenzia internazionale dell’energia (Iea) prevede per la Russia una riduzione del 17% della produzione petrolifera a febbraio, quando sarà entrato in vigore l’embargo europeo sul petrolio e prodotti petroliferi. Per Mosca vuol dire 1,9 milioni di barili al giorno in meno. Oltre all’effetto sui volumi potrebbe esserci anche un effetto sui prezzi dato dal price cap proposto dal G7, che anche se non accettato da paesi come l’India e la Cina per non rovinare gli affari con la Russia può diventare nelle loro mani uno strumento di pressione per ottenere da Mosca sconti maggiori.

 

Tra lo stop alle forniture di gas all’Europa e l’impossibilità di spostare quei volumi in Asia per mancanza di gasdotti, l’embargo occidentale su carbone e petrolio, il price cap del G7, la riduzione dei prezzi del greggio per la frenata dell’economia globale, sembra che gli anni d’oro dell’export russo siano ormai alle spalle. Forse non sarà sufficiente a far collassare l’economia, ma il regime e la macchina militare di Putin avranno meno risorse a disposizione.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali