(foto di Ansa)

non solo piani marshall

Per ricostruire l'Ucraina non bastano i soldi. Serve fiducia 

Giorgio Arfaras

Il contraccolpo della guerra sull'economia di Kyiv sarà durissim, ma con l'aiuto degli alleati occidentali potrebbe rialzarsi. A patto che si mettano in moto dei meccanismi per evitare le concentrazioni economiche che hanno portato all'avvento degli oligarchi

La guerra all’Ucraina costa alla Russia una flessione del Pil del 2022 intorno al 15 per cento, mentre costa il triplo, il 45 per cento, all’aggredito. L’aggressore, fintanto che le esportazioni di petrolio e gas continuano, può finanziare la spesa pubblica, perché la metà delle entrate fiscali traggono origine dalle materie prime, così come può continuare a finanziare le importazioni, perché due terzi delle esportazioni sono materie prime. L’aggredito, all’opposto, non ha questi introiti né per finanziarie le spese dello stato né per finanziare le importazioni. Fin qui abbiamo a che fare con il flusso, il Pil, ossia le entrate e le uscite dell’economia in un dato periodo.


 
In caso di guerra si ha però anche la distruzione dello stock, ossia del capitale fisico, oltre alla distruzione di quello umano. Il capitale fisico, le strade, le ferrovie, gli aeroporti, e le abitazioni, si è accumulato nel tempo. Per questa ragione la ricostruzione dopo una guerra costa molto più del Pil di un anno. La stima della ricostruzione da parziale a totale del capitale fisico distrutto dell’Ucraina varia da 200 fino a 550 miliardi di euro. Il Pil ucraino ante guerra era di 150 miliardi di euro, ossia meno di un decimo del Pil italiano. La stima (macabra) della distruzione del capitale umano si ottiene moltiplicando il numero di morti per il rimborso che pagano normalmente le assicurazioni: si aggiungono così altre centinaia di miliardi. Abbiamo stimato i costi economici della ricostruzione di un paese che riottiene il suo capitale fisico ante guerra. Per completezza vanno fatte delle considerazioni di natura demografica che sono più vicine alle previsioni sul futuro.


 
Circa sei milioni di Ucraini sono fuggiti verso i paesi confinanti o vicini, e circa sette milioni si sono spostati all’interno del paese. Si possono aggiungere ai tredici milioni di ucraini fuggiti i quasi quattro milioni di dissidenti russi fuggiti dall’inizio dell’invasione. Abbiamo avuto un sommovimento simile a quello manifestatosi nell’est Europa alla fine della Seconda guerra mondiale. Con due differenze. Gli ucraini fuggiti all’estero sono in maggioranza donne e bambini, perché gli uomini sono rimasti a combattere. Gli ucraini fuggiti all’estero potranno, a differenza dei profughi tedeschi del secondo Dopoguerra, tornare al paese d’origine. L’Ucraina aveva da decenni una dinamica demografica modesta. Se alla già modesta demografia si aggiunge quanta gente è andata via e che potrebbe non tornare se la guerra durasse a lungo o se l’Ucraina venisse conquistata, si avrebbe uno shock demografico colossale. E uno choc meno marcato ma comunque significativo nei paesi limitrofi, soprattutto in Polonia, che ha avuto una demografia depressa, oltre a un’emigrazione significativa.


 
Torniamo alla ricostruzione di cui abbiamo avuto esperienza in Europa. Con il Piano Marshall il governo degli Stati Uniti spese nel corso degli anni poco più di 12 miliardi di dollari di allora, ossia il 2 per cento del Pil di allora. Riportando i numeri all’oggi si hanno 450 miliardi di dollari, di nuovo appena più del 2 per cento del Pil. La popolazione degli Stati Uniti era al tempo la metà della popolazione dei paesi europei aiutati, mentre oggi i paesi europei e nordamericani che potrebbero aiutare l’Ucraina hanno una popolazione nove volte maggiore. Il Piano Marshall aiutava la ricostruzione dell’Europa in presenza dell’espansionismo sovietico più politico che militare.

 

La Riunificazione della Germania è costata negli anni, per le infrastrutture e per il trasferimento di reddito 2 mila miliardi euro, poco più del Pil italiano. La popolazione dell’Est era meno della la metà di quella dell’Ovest. La modesta differenza come numerosità della popolazione non è stato un problema maggiore per la Germania, dato che si trattava dello stesso paese che si riunificava. La Polonia, con una popolazione simile a quella dell’Ucraina ante guerra, ha tratto dei grandi vantaggi dell’adesione all’Ue. La Polonia ha ricevuto nel tempo oltre 150 miliardi di euro dall’Unione europea. La presenza di un finanziamento pubblico cospicuo cui si sono aggiunti gli investimenti privati anch’essi cospicui hanno spinto il suo reddito pro capite in venti anni quasi a raddoppiare.

 

Secondo alcuni, il successo del Piano Marshall non albergava tanto nell’entità monetaria dell’aiuto, quanto, oltre a quello politico, volto a frenare l’espansionismo sovietico, anche nella capacità di rompere con i “colli di bottiglia” allora presenti dopo la guerra. Ad alcuni paesi mancavano le materie prime alimentari, ad altri quelle minerali, ad altri ancora i beni intermedi per il decollo dell’industria. La ricostruzione dell’Ucraina, oltre all’aiuto economico, a quello per fermare il pericolo russo, nonché all’aiuto per sbloccare i colli di bottiglia, aiuti che possiamo definire “marshalliani”, dovrebbe essere accompagnata dalla riforma delle caratteristiche che la hanno resa poco competitiva, il potere degli oligarchi, e la corruzione.

 

Possiamo impostare la questione degli oligarchi attraverso il modello dei sistemi ad “accesso limitato” e ad “accesso aperto”. Il modello mostra due casi limite. Il mondo reale possiede in misura diversa i tratti di entrambi i modelli. Nel primo caso lo stato limita l’ingresso di nuove forze nell’economia allo scopo di generare delle rendite che impegnino le élite nel sostegno del regime. Nel secondo caso lo stato non limita l’ingresso di nuove forze nell’economia e quindi le rendite sono limitate dall’agire della concorrenza. Nel secondo caso le élite nuove e vecchie in lotta fra loro cercano di guadagnare influenza nel regime.  Il primo caso è quello dei Paesi in via di sviluppo non compiutamente o per nulla democratici. Il secondo caso è quello dei paesi economicamente sviluppati e democratici.  L’Ucraina ha i tratti di entrambi i modelli: infatti prevalgono, ma non dominano, come in Russia, le rendite con il regime che sta diventando, di nuovo a differenza della Russia, democratico.


 
Un alto livello di produttività e di benessere si sarebbe potuto avere in partenza se l’Unione sovietica non avesse avuto un’economia di rendite, perché legata alle materie prime, all’industria pesante, e all’industria militare. La scelta fatta dalla Russia e dall’Ucraina dopo la caduta dell’Unione sovietica è stata di lasciare un gruppo di persone prendere possesso della maggior parte della ricchezza del paese che era nelle mani dello stato. La scelta è stata di concentrare il potere economico legato ai favori del potere politico nella “verticale di potere”. Con il passare del tempo la ricchezza in Russia è passata da chi traeva benefici possedendo le imprese, gli oligarchi, a chi traeva benefici attraverso la vicinanza al potere, i pretoriani. Con il passare del tempo i secondi, singolarmente meno ricchi degli oligarchi, ma molto più numerosi, in Russia ma non in Ucraina, sono riusciti a controllare una quota maggiore di ricchezza. L’Ucraina è partita come la Russia con la verticale di potere, ma poi ha cercato di attenuarne gli effetti.

 

Per attenuarne gli effetti esiste un modo pacifico non di facile perseguimento: impedire le concentrazioni eccessive legate al potere economico che poi si riverberano sul potere politico. Lo scopo lo ottiene con una forza politica in grado di impedire, come sta cercando di fare il partito di Zelensky, l’eccesso di concentrazione del potere economico.


 
Passiamo alla corruzione. Torniamo al tempo dell’economia sovietica. La fabbrica X ha bisogno di una quantità di componenti maggiore di quella assegnatale dal piano. Come fare per averla? In un’economia di mercato, ma non in un’economia di piano, la fabbrica X chiederebbe alle imprese che producono componenti una quantità maggiore del loro prodotto, e, per ottenere questa maggiore quantità, la fabbrica di componenti X offre al produttore di componenti un prezzo maggiore. Il produttore di componenti perciò guadagna di più. Il produttore di componenti è remunerato dal profitto su cui paga le imposte. In un’economia sovietica il direttore della fabbrica X avrebbe potuto andare al ministero del Piano per chiedere più componenti. In questo caso avrebbe dovuto seguire una lunga trafila per farsi ricevere. In un’economia di piano il direttore della fabbrica X avrebbe potuto, in alternativa, andare dal produttore di componenti per chiedere una quota maggiore di prodotto. Anche in questo caso avrebbe dovuto seguire una trafila per farsi ricevere.


 
Mancando, come nel caso dell’economia di mercato, la variazione dei prezzi come strumento principe per avere una quantità maggiore di componenti, non restava nell’economia di piano che erogare denaro, regali, e favori ai diversi e numerosi anelli della catena che portavano fino a chi decideva in ultima istanza di offrire più componenti. Come ovvio, non esisteva modo di tassare i guadagni della catena informale. Passando dall’economia di piano a quella di mercato, ecco che, con il trascorrere del tempo, prende piede l’abitudine di sostituire il “dono”, che è ambiguo, con il prezzo, che è “legale”. In questo modo la corruzione si riduce.


 
In conclusione, l’Ucraina sta passando e passerà attraverso una gravissima crisi generata dalla distruzione del suo capitale fisico e umano, e dalle colossali migrazioni. L’Ucraina non ha e non avrà le risorse in proprio per risollevarsi, proprio come accadeva in Europa dopo la Seconda guerra mondiale, e come è accaduto con la Germania dell’Est e con la Polonia dopo il crollo del Muro. La ricostruzione in questi casi è passata attraverso l’aiuto monetario, l’aiuto politico, e quello simbolico, da intendere come la fiducia nel futuro. L’Ucraina potrebbe risollevarsi, ma una dinamica significativa la potrà avere solo combattendo la concentrazione del potere economico e la corruzione. Con l’imporsi di un’economia di mercato e con gli aiuti degli stati democratici per la ricostruzione ciò potrebbe diventare possibile.