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editoriali

L'industria italiana cresce, per ora

Redazione

La produzione a marzo è positiva, ma gli effetti della guerra devono ancora farsi sentire, insieme a due incognite importanti: materie prime e approvvigionamento energetico

La produzione industriale italiana ha resistito all’impatto della guerra russo-ucraina e nel mese di marzo invece che far registrare una correzione, come ci si attendeva, l’indice destagionalizzato è rimasto stabile (+3 per cento) dopo l’ampio rimbalzo di febbraio (+3,4 per cento). Lo ha certificato ieri l’Istat spingendo a riflettere sui motivi di questa resilienza che è in buona parte dovuta a un sistema manifatturiero che ha solide basi. Il dato è molto positivo (il settore più brillante è il tessile che però è quello che aveva sofferto di più durante la crisi Covid), ma nei prossimi mesi non è escluso un peggioramento perché, come osserva in una ricerca Paolo Mameli, economista di Intesa Sanpaolo, la crisi geopolitica in Ucraina non ha ancora dispiegato appieno i suoi effetti sull’attività industriale: il settore potrebbe frenare il pil almeno per tutto il primo semestre dell’anno (e ci potrebbe essere un impatto più prolungato se la guerra dovesse persistere).

 

Inoltre, le imprese sembrano considerare l’impennata dei prezzi delle materie prime come temporanea, e non stanno prezzando uno scenario di possibile razionamento dell’energia. Dunque, attenzione. Se l’indice  di marzo ha sostanzialmente confermato il buon andamento di inizio anno, gli indicatori ad alta frequenza, come il consumo di gas a uso industriale, segnalano che l’attività potrebbe essersi contratta già ad aprile. In questo quadro, è interessante notare come l’Italia resti l’unico tra i principali paesi dell’Eurozona ad aver più che recuperato i livelli di produzione industriale pre pandemici (+2,7 per cento rispetto a febbraio 2020) rispetto a Spagna (-1,4 per cento), Francia (-5,4 per cento) e Germania (-9,4 per cento). E questo grazie alla minore quota della catena produttiva basata in Asia e nell’est Europa (le aree in cui si stanno verificando i maggiori problemi nelle catene di forniture) e al minore peso dell’automotive in percentuale del valore aggiunto sul totale dell’industria.

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