La sede di Gazprom a San Pietroburgo (foto Ap)

Indizi su una nuova crisi

Quanto fa male l'aggressione di Putin alla nostra economia? Girotondo in mezzo al partito del pil

Annalisa Chirico

Che impatto avrà il costo elevato delle materie prime sulla nostra crescita? E quanto dobbiamo temere l’inflazione? Opinioni a confronto

Se in guerra i morti sono tutti uguali, anime annientate nella comune tragedia, l’impatto economico di sanzioni ed embargo si preannuncia nefasto per il benessere dei cittadini europei, più mite invece per i residenti oltreoceano. Venendo all’Italia, c’è da chiedersi, con la dovuta serietà, quali siano le conseguenze di medio e lungo periodo per un’economia vocata all’export come la nostra.  Siamo pur sempre la seconda manifattura del Vecchio Continente. Il direttore di Limes Lucio Caracciolo ha citato il rischio “deindustrializzazione”. Diamo la parola, pertanto, alle categorie produttive, a chi crea lavoro e ricchezza, per comprendere quanto minacciose siano le nubi all’orizzonte.

“La situazione in Ucraina, drammatica dal punto di vista umano e imprevedibile nei suoi esiti, sta condizionando pesantemente la nostra economia – dichiara al Foglio Alessandro Spada, presidente di Assolombarda – E’ sulle imprese che si scaricano gli effetti determinati dal mix dell’aumento esplosivo dei prezzi energetici e delle commodity minerarie e agricole, così come sono le imprese a subire per prime le difficoltà di approvvigionamento di semilavorati e semiconduttori. La situazione è così complessa che per una impresa manifatturiera lombarda su quattro lo shock dato da costi e prezzi non è sostenibile per oltre tre mesi senza scongiurare il rischio di una riduzione della produzione. Ora, oltre a intervenire con misure contingenti che riducano gli impatti di un’emergenza senza precedenti, inserendo ad esempio il price cap sul gas, sono fondamentali proposte strutturali per favorire una politica energetica di medio e lungo termine, improntata su sicurezza e indipendenza energetica, senza pregiudizi delle diverse tecnologie e fonti energetiche. Diamo un’accelerata all’idrogeno e alla produzione di energia rinnovabile sul nostro territorio, e prendiamo in considerazione il nucleare di ultima generazione”.

“Per la siderurgia italiana l’impatto è devastante – dice al Foglio il presidente di Federacciai Alessandro Banzato – La guerra in Ucraina ha conseguenze assai rilevanti: affrontiamo un forte aumento dei prezzi sia di materie prime e semiprodotti (minerale di ferro, carbone, rottami di ferro, nickel ed altre ferroleghe, bramme) che delle fonti energetiche (gas e, di conseguenza, l’energia elettrica). La chiusura di fatto dei consueti canali di importazione ha costretto le aziende a trovare nuove fonti di approvvigionamento a costi superiori. Rispetto a prima dell’esplosione del conflitto, il prezzo del minerale di ferro è cresciuto del 15 per cento, quello del carbone del 18 per cento e quello del rottame di ferro del 16,2. Particolarmente grave è la situazione del nickel che nel  primo quadrimestre è aumentato del 59 per cento”.


“Servono misure forti che riducano l’impatto di una emergenza senza precedenti. Iniziamo dal price cap”


A questo si sommano i costi dell’energia. “Abbiamo registrato un incremento dei costi energetici a partire dall’ottobre dello scorso anno, con picchi significativi a fine 2021. Poi, dopo il 24 febbraio, con l’avvio dell’invasione russa, il prezzo dell’energia elettrica si è incrementato del 59 per cento e quello del gas del 56 per cento. Tale situazione genera dinamiche inflattive che stanno portando i prezzi di vendita oltre le soglie d’aumento che sono riassorbibili dai nostri clienti. Il rischio è che si arrivi ad una brusca frenata della ripresa che era in atto dal 2021”. Il governo come può aiutare il settore siderurgico? “Noi chiediamo di proseguire su interventi congiunturali sul lato della domanda e della produzione, com’è accaduto con il più recente decreto legge. Servono poi misure strutturali, Confindustria le chiede da tempo, in particolare per il gas e l’energy release. E’ necessario che i decreti attuativi, relativi al decreto energia approvato a fine aprile, vengano adottati nel più breve tempo possibile, ben prima dello scadere dei 90 giorni previsti dalla norma”. Come l’acciaio, anche l’edilizia avverte le conseguenze della crisi bellica e geopolitica che assume così anche una dimensione economica e sociale.

Per il presidente di Confedilizia Giorgio Spaziani Testa, “i problemi più gravi che stiamo affrontando, con un impatto severo sul settore immobiliare ed edilizio, sono rappresentati dalla carenza di materie prime (con conseguente aumento dei prezzi) e dall’incremento dei costi dell’energia. Si tratta, in parte, di fenomeni manifestatisi in precedenza,  ma il conflitto li ha aggravati ed estesi. Basti pensare alle tensioni determinate dapprima dai tempi ristretti per usufruire degli incentivi fiscali più elevati, come il superbonus 110 per cento e il bonus facciate del 90 per cento, e poi dai provvedimenti restrittivi del governo in tema di cessione del credito che hanno bloccato l’intero spettro degli interventi di riqualificazione degli immobili. Il quadro è reso più preoccupante dalla crescita dell’inflazione e dalla più generale crisi economica post Covid e post restrizioni, che ha effetti fra l’altro sul pagamento delle spese condominiali e dei canoni di locazione”. Come se ne esce? “Per attenuare l’impatto, le azioni possibili sono diverse. Una il governo l’ha già avviata, ed è il sostegno all’affitto attraverso la maggiore dotazione del fondo a supporto, che però andrebbe reso più efficiente in sede di erogazione delle somme. C’è poi l’esigenza di restituire serenità al campo degli interventi edilizi, in particolare semplificando e riaprendo il meccanismo della cessione del credito. Infine, occorre tranquillizzare i proprietari – non a parole – circa i rischi di ulteriori aumenti della tassazione patrimoniale sugli immobili e di quella sugli affitti (aliquote che andrebbero, al contrario, ridotte)”. 


“Bisogna  pagare subito le imprese che da oltre un anno, nonostante i prezzi  alle stelle, tengono i cantieri aperti”


A proposito di costruzioni e infrastrutture, il presidente dell’Ance Gabriele Buia rivendica i risultati del settore ante guerra:  “L’anno scorso, nonostante le difficoltà della pandemia e l’aumento del costo dei materiali, l’edilizia è stata uno dei più forti motori economici in Italia. Un terzo della crescita del pil italiano è stato guidato dal settore. Purtroppo le previsioni di crescita della nostra sono peggiorate negli ultimi mesi. La grande revisione al ribasso del pil del 2022 si spiega principalmente con gli effetti economici della guerra. In particolare, la crisi ucraina sta portando a un rapido deterioramento del settore delle costruzioni. Ciò è dovuto principalmente agli aumenti eccezionali del costo dei materiali e alla difficoltà di reperirli. In media, dall’inizio dello scorso anno, il costo dei lavori è aumentato del 25/30 per cento e alcuni grandi enti nazionali (Ferrovie, Strade) hanno aggiornato i loro prezzi ma molti altri no, soprattutto quelli piccoli (i comuni). Abbiamo calcolato che in Italia l’impatto dell’aumento dei costi sulle opere pubbliche è di circa dieci miliardi nel periodo 2021-2022 (tre miliardi nel 2021 e sette miliardi nel 2022)”.

Quali rimedi? “Occorre subito aggiornare i prezzari di tutte le stazioni appaltanti e rendere obbligatorio bandire gare con prezzi adeguati ai correnti valori di mercato. In questo senso siamo soddisfatti di constatare che, dopo alcuni ritardi iniziali, il governo si sta muovendo in questa direzione con l’ultimo decreto aiuti di cui aspettiamo a breve il testo definitivo. Ma bisogna anche pagare subito le imprese che da oltre anno, nonostante i prezzi già alle stelle, stanno tenendo i cantieri aperti”. 


“L’Ue deve aumentare la produzione dei prodotti agricoli di base, a partire da cereali e colture proteiche”


Mentre si tiene a Parma Cibus, la fiera internazionale dell’agroalimentare made in Italy, il presidente di Confagricoltura Massimiliano Giansanti traccia un bilancio tutt’altro che roseo: “Secondo le principali organizzazioni internazionali, l’invasione dell’Ucraina ha innescato la crisi più grave dagli anni Settanta del secolo scorso. Anche per il settore agricolo, è in atto un aumento senza precedenti dei costi di produzione.  Per alcuni mezzi tecnici, fertilizzanti in primo luogo, si pone anche un problema di disponibilità per le prossime semine. A livello interno, occorre garantire la continuità dell’attività delle imprese. I provvedimenti finora assunti dal governo non sono in linea con le attese. Non va esclusa la necessità di ricorrere ad un nuovo scostamento di bilancio. In aggiunta, se le sanzioni nei confronti della Federazione russa saranno estese al petrolio e al gas, risulterà inevitabile il varo di un apposito piano finanziato dal bilancio dell’Ue. Il nostro settore ha retto ai contraccolpi economici della pandemia, ma può essere messo in crisi dalla guerra in Ucraina”. Esiste poi il rischio di carestia per almeno cinquanta paesi nel mondo, secondo le stime della Fao. “La minaccia di una crisi alimentare è reale. In alcuni paesi del nord Africa, i prezzi del grano sono già aumentati dell’80 per cento, mettendo a repentaglio la stabilità sociale con la conseguenza di nuove ondate di immigrazione verso l’Europa. In questo scenario, l’Ue ha il dovere di aumentare la produzione dei prodotti agricoli di base, a partire da cereali e colture proteiche. E’ una questione di valore strategico”. 


“A peggiorare le cose c’è la scelta di alcuni paesi, come l’Ungheria, di interrompere l’export delle materie prime”


La filiera alimentare parte dal campo per arrivare poi nei supermercati e sulle tavole degli italiani. Lo scenario è fosco anche per il presidente di Federalimentare Ivano Vacondio: “L’impatto nel nostro settore riguarda principalmente l’aumento dei costi delle materie prime e dell’energia, costi che pesano sull’industria alimentare, i cui prezzi alla produzione hanno segnato a febbraio un tendenziale del +9 per cento, dopo aver chiuso nel dicembre 2021 sul +6,6 per cento. Tali costi pesano anche sul consumatore: l’Istat segnala che la crescita del cosiddetto ‘carrello della spesa’ si porta al +6 per cento. Aumenti preoccupanti ma inevitabili. A peggiorare le cose, dopo il blocco del Mar Nero, c’è la scelta di alcuni paesi di interrompere l’export delle materie prime: l’Ungheria ha bloccato temporaneamente l’export dei cereali, la Serbia ha fatto altrettanto con cereali e proteici. L’ultimo caso è quello di Shangai, con il blocco del porto, che comporterà ulteriori deficit dell’offerta per carenza di navi e container fermi”. 

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