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Le buone idee di Calenda per diversificare il mix elettrico italiano

Umberto Minopoli

Quaranta GW di potenza elettronucleare, entro il 2050. Solo Azione ha avuto il coraggio di rompere il muro del conformismo, dei tabù e delle rimozioni, avanzando una proposta concreta: energia atomica, subito. La politica batta un colpo

Qualche domanda al ministro della transizione Ecologica, Roberto Cingolani. Egli denuncia, nel pieno dell’emergenza gas, la condizione che ci ha ridotto, unico paese europeo, alla dipendenza al 95 per cento dal gas di importazione. A suo avviso il nostro mix energetico” impoverito” (monocromatico, lo ha definito altre volte) è peggiore di quello della Germania, l’altro grande malato della guerra sull’energia. Questa, infatti, sostiene il ministro, potendo contare sul nucleare e il carbone, ha una struttura energetica, nell’emergenza, più solida e sicura della nostra. Bisogna, insomma, diversificare, ribadisce il ministro, uscire dal monocromatismo energetico. L’impressione, però, è che alle premesse non seguano i fatti. E che in Italia, con poche eccezioni, la fuoriuscita dalla dipendenza e la diversificazione del mix energetico, resti, davvero, una missione impossibile.

   

Dalla illustrazione che il ministro fa della strategia energetica dei prossimi anni si evince che il nostro mix energetico, in prospettiva, resti bloccato sulla strutturale “povertà” della dipendenza dal gas, anche per l’avvenire. Oltre le rinnovabili (di cui si continua ad attribuire il loro lento incedere, che dovrebbe far riflettere, solo a ritardi autorizzativi e proteste nimby), non c’è altra fonte che il gas nella politica energetica che il ministro illustra. Se non, addirittura, il ritorno al carbone, nel caso la situazione degli approvvigionamenti precipiti.

   

Quando si passa ad illustrare il significato di “diversificazione” del mix energetico, nelle parole del ministro, resta solo la differenziazione delle fonti di fornitura del gas. Insomma, solo un cambiare la spalla al fucile. Eppure, nelle stesse interviste, il ministro continua a ribadire il “phase out” dal gas, entro il 2030. Fra otto anni. Quando solo per implementare, in parte soltanto, le misure di emergenza per sostituire il gas russo, si parla (nella migliore delle ipotesi) di quattro o cinque anni. Qualcosa, decisamente, nella strategia del governo non torna. E, sembra di capire, “oltre il gas c’è solo il gas e ...tutto rinnovabili”. Insomma, il mix attuale: quello che il ministro denuncia come “impoverito” e insicuro.

    

In questi giorni, mentre tutti i partiti si limitavano a ripetere le posizioni del governo sull’emergenza del gas (salvo demagogiche puntate sui sussidi per il caro-prezzi), solo Azione di Carlo Calenda ha provato a rompere il muro del conformismo, dei tabù e delle rimozioni, avanzando una proposta concreta per “diversificare” il mix elettrico italiano e liberarlo dal cappio della dipendenza: fare ricorso, subito, all’energia nucleare. Con un obiettivo: generare 40 GW di potenza elettronucleare, entro il 2050. Che significa decidere oggi.

       

Nessuno ha avuto il coraggio di Calenda, ma nessuno azzarda nemmeno obiezioni argomentate. Non lo è quella dei tempi di costruzione di una nuova centrale nucleare di larga potenza e di terza generazione. Occorrerebbero 10 anni: quelli, forse, per affrontare l’emergenza del gas. Non lo è quella dei costi finanziari: la tassonomia europea faciliterà gli investimenti nel nucleare. E oggi ci sarebbero consorzi e associazioni di produttori “energivori” pronti a partecipare nuove costruzioni nucleari (perfino all’estero) pur di liberarsi, in prospettiva, dai prezzi dell’energia elettrica prodotta da gas. E allora? Quale sarebbe l’obiezione all’affondo di Calenda? Il silenzio non è una risposta.

 

Di quante nuove centrali nucleari avremmo bisogno? Per stare solo all’emergenza del gas, in verità, di poche. Facciamo dei numeri pratici e comprensibili a tutti. Oggi, col nostro mix energetico povero, dobbiamo aver assicurata, ogni giorno, circa la potenza elettrica di 40 GW di energia elettrica. Con essa copriamo il base-load, il carico di base che serve sempre (in ogni ora del giorno e in qualunque tempo atmosferico). Per il base-load servono, ovviamente, fonti continuative e attive h24. Nel nostro sistema, oltre le rinnovabili non intermittenti (idroelettrico, biomasse, geotermia), la copertura del baseload è garantita solo dal gas (e da residui impianti, in via di superamento, a carbone e olio). Se quantificassimo in 20/22 GW il baseload effettivo giornaliero da garantire, si potrebbe puntare a ridimensionare il contributo del gas con soli 7 o 8 GW di potenza nucleare. Equivalenti a tre centrali di larga potenza. Se consideriamo il ricorso all’importazione di energia elettrica (in gran parte nucleare), questo numero, nel medio periodo, potrebbe pure essere più limitato.

   

È lecito attendersi, anche solo in risposta agli argomenti di Calenda, una qualche opinione dei politici italiani? A partire da quelli che brillano per il silenzio, che convocano propagandistici e ripetitivi stati generali sull’energia e di quelli, come l’On. Salvini, che si fanno fregio del  nucleare, purché sia, beninteso, quello  del futuro, della ricerca, della quarta generazione, della fusione.  Cioè del nucleare che ancora... non c’è.