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editoriali

Il disastro energetico della Cina

Redazione

L’autoritarismo di Pechino mostra le sue  crepe. L’inverno a rischio

Un’inondazione nella provincia dello Shanxi, che ha portato alla chiusura di 60 delle sue 682 miniere di carbone, oltre a distruggere migliaia di case e devastare terreni agricoli, sta mettendo ulteriormente sotto pressione il sistema energetico della Cina. Lo Shanxi contribuisce per un terzo al fabbisogno del paese e solo la scorsa settimana il governo aveva ordinato un aumento della produzione di carbone per far fronte alla carenza di energia e salvaguardare le forniture per l’inverno. Ma piogge superiori di quattro volte alla media mensile stanno complicando gli sforzi per aumentare la produzione, con effetti già evidenti sui mercati finanziari di Shanghai e di Shenzhen dove ieri i futures sul carbone cinese hanno raggiunto i massimi storici. Quest’emergenza sta avvenendo in una fase particolare della vita pubblica della Cina, dove il governo ha di fatto messo in discussione decenni di crescita riassumendo il ruolo di decisore assoluto in campo economico.

Come interpretare, altrimenti, la stretta normativa che ha colpito contemporaneamente le Big tech, l’immobiliare, l’istruzione e le criptovalute, se non con il tentativo di mettere in pratica il nuovo mantra sulla prosperità comune propugnato dal presidente Xi Jinping? Ma mentre il mondo si sta ancora domandando se e in che termini il tracollo del gruppo Evergrande, che è stato praticamente indotto dalle autorità di Pechino, può contagiare i mercati globali, ecco che è la crisi energetica a rischiare di trasformarsi nel rischio geopolitico più serio per l’economia mondiale. Che cosa succederà se oltre a rallentare o chiudere molti impianti produttivi, la Cina fosse costretta a bloccare le esportazioni? Secondo un’analisi di Gamma Capital Market, la crisi energetica cinese sta evidenziando le debolezze del Partito comunista in termini di sicurezza e indipendenza energetica che potrebbero avere delle ripercussioni negli anni futuri. Il problema dell’approvvigionamento si è amplificato con il tentativo, da parte di Pechino, di dar corso a una transizione energetica che si sta rivelando più difficile del previsto. Dopo decenni di muro di gomma sui temi dell’inquinamento ambientale, le autorità cinesi si sono impegnate a ridurre le emissioni di carbonio del 65 per cento prima del 2030. Ma quando è stato assunto questo impegno non c’era all’orizzonte una ripartenza economica massiccia e simultanea dopo che una pandemia ha costretto il mondo a fermarsi. Così, gli strozzamenti sulle catene di approvvigionamento energetico mondiale che stanno mettendo tanti paesi in difficoltà, in Cina hanno generato una vera emergenza nazionale.

Nei giorni scorsi, in alcune regioni, è stata razionata la distribuzione di energia sia ai cittadini sia alle fabbriche, e si sono verificati diversi black out che hanno coinvolto aree molto vaste. Insomma, con l’inverno alle porte e la domanda di energia termica ai massimi livelli, il governo di Pechino corre il rischio di tenere al freddo la popolazione a cui vorrebbe assicurare la prosperità comune, anche a causa di alcuni errori nei cicli di approvvigionamento. Pechino ha bisogno di rafforzare la sua offerta di carbone proprio nel momento in cui ha smesso di acquistare questa materia prima dall’Australia, che era il suo più grande paese fornitore, in seguito a tensioni commerciali e politiche con Canberra. Così buona parte della domanda di carbone si è riversata sull’Europa dove, però, le utilities del paese asiatico hanno trovato i prezzi alle stelle. Come andrà a finire? La sintesi di alcuni analisti finanziari è che,  anche ammesso che ci fosse uno sforzo considerevole sia del governo sia dei minatori per aumentare la produzione di carbone, la Cina potrebbe dover affrontare un divario di offerta compreso tra 30 a 40 milioni di tonnellate nel quarto trimestre. Una tale carenza di carburante potrebbe ridurre il consumo di energia industriale dal 10 al 15 per cento a novembre e dicembre, il che si tradurrebbe potenzialmente in un rallentamento del 30 per cento dell’attività nei settori più energivori, come l’acciaio, la chimica e la produzione di cemento. Una prolungata carenza di energia in Cina potrebbe, quindi, portare a tagli della produzione industriale, interrompendo le catene di approvvigionamento in tutto l’Indo-Pacifico, portando prezzi più elevati lungo la catena di approvvigionamento.