Il macigno del debito
“Grande aiuto dalla Bce, ma serve altro. Tra Mes ed eurobond c’è una via di mezzo”, parla Cottarelli
Milano. Nello scontro sul Meccanismo europeo di stabilità (Mes) e i coronabond in scena a Bruxelles, il convitato di pietra sono gli alti livello di debito pubblico, che come ha scritto Mario Draghi sul Financial Times sono destinati a diventare “una caratteristica permanente delle nostre economie”. Ma comunque vada il vero impatto sull’indebitamento dei governi lo avranno le politiche della Banca centrale europea (Bce). Il rapporto debito pil per il nostro paese potrebbe superare la percentuale del 150 per cento, Unicredit stima per esempio che tocchi il 167 per cento a fine 2020 e il 155,5 a fine 2021, ma per calcolarne la solidità conta anche chi lo detiene. E a detenerlo è sempre di più la Banca d’Italia, in quanto parte del Sistema europeo delle banche centrali che partecipa ai programmi di acquisto della Bce. “Alla fine di quest’anno”, spiega il direttore dell’Osservatorio italiano sui conti pubblici della Cattolica, Carlo Cottarelli, “il livello del debito italiano detenuto dal settore privato, esclusa la Banca d’Italia, sarà più basso di inizio anno”. Non è una novità. “Dal 2015 con l’inizio del quantitative easing gli acquisti di Banca d’italia hanno ecceduto il deficit pubblico, cioè oltre a finanziare tutto il deficit, hanno proceduto ad acquistare i titoli del settore privato. Il debito è aumentato di 100 miliardi dal 2015 ma i titoli di stato detenuti da Palazzo Koch sono cresciuti di 200 miliardi”. Significa che negli ultimi cinque anni i privati al di là di Bankitalia, dalle banche ai fondi di investimento, sono stati progressivamente scaricati dal nostro rischio sovrano.
Detto in altri termini, spiega il professore, “il debito pubblico è stato finanziato tramite il signoraggio bancario e questo non ha creato inflazione perché chi ha ricevuto questa maggiore liquidità non ci ha fatto molto”. Le banche, come è noto, hanno aumentato la liquidità senza trasmetterla all’economia reale e le concause secondo Cottarelli sono almeno tre, in parte l’obbligo di una maggiore patrimonializzazione, in parte l’incertezza sulla stessa regolamentazione che è stata in continuo aggiornamento, dai requisiti di copertura dei crediti deteriorati alla modifica degli stress test, e infine il rischio maggiore che altri investimenti comportano a bilancio rispetto alle obbligazioni sovrane. Ma questo ovviamente ha aiutato il finanziamento dei governi e continuerà a farlo. Anche per il Pepp, il Pandemic emergency purchase programme da 750 miliardi di euro avviato dalla Bce, il programma con meno restrizioni agli acquisti mai messo in campo finora dall’Eurotower, vale seppure applicato con flessibilità il criterio per cui Francoforte deve acquistare titoli di stato dei paesi della zona euro in proporzione appunto alla loro partecipazione al suo capitale. “Questo vuol dire che alla fine dell’anno la Bce avrà acquistato 220 miliardi di euro di debito italiano, pari al 12 per cento del pil e che la Banca d’Italia deterrà oltre il 20 per cento del pil italiano”, ragiona Cottarelli. “Da una parte quindi aumenta la solidità di chi detiene il nostro debito pubblico, dall’altra il rischio è dover iniziare a vendere quando ci sarà una restrizione della politica monetaria”. Infatti, anche se il programma Pepp è a oggi limitato alla fine del 2020, in realtà tutti i titoli acquistati che arrivano a scadenza verranno ricomprati. “Stiamo di fatto stampando soldi”, chiarisce l’ex direttore esecutivo del Fmi. Il problema, nonostante quello che molti sovranisti sostengono, è che questo non significa che abbiamo anche creato ricchezza. “Se io stampo denaro e lo distribuisco creo potere di acquisto, ma non necessariamente creo crescita, anche con un eventuale helicopter money, do pezzi di carta ai privati, ma chi ottiene quel denaro potrebbe decidere di risparmiarlo. Al di là della prima fase, quindi per la crescita servono investimenti pubblici e l’aumento della produttività”, argomenta l’economista, e a questo servirebbe infatti l’intesa politica che si cerca livello europeo su politiche fiscali e di investimento comuni per la ripresa.
“Se la politica monetaria continuasse un debito alto non ci farebbe bene ma non ci sarebbero problemi di finanziamento, fino a che non si dovesse fronteggiare un aumento dell’inflazione che aumenterebbe le pressioni sulla banca centrale per vendere”. La cosa migliore sarebbe una vendita graduale e una parallela riduzione del debito. “Lo si può fare senza austerità se si cresce, mettendo da parte anno per anno parte delle entrate”. Ora di fronte a questo scenario lo scontro sull’utilizzo di eurobond e del Mes è più politico che di sostanza. “Gli eurobond sono un’emissione comune di titoli il cui ricavato si dice viene speso in un certo modo e col Mes si raccolgono soldi insieme con una lettera di intenti di condizionalità in cui non ci sarebbe l’austerità ma di nuovo le condizioni per cui spendere il denaro. Le cifre poi sono ridotte, dal Mes all’Italia arriverebbero 30-40 miliardi (un ottavo del finaziamento in arrivo dalla Bce, ndr). Il problema è che manca la fiducia da entrambe le parti: per la Germania gli eurobond sono il primo passo verso la mutualizzazione, per l’Italia il Mes è il primo passo verso l’austerity”. Tuttavia resta il fatto che con il Mes il debito resta nominalmente a capo del singolo paese e questo con gli eurobond non avverrebbe. La proposta lanciata da Cottarelli assieme a Giampaolo Galli ed Enrico Letta, sarebbe una via di mezzo: “Non si crea debito interno e non si tratta di prestiti, ma di fondi da rimborsare dopo 30 anni senza interessi, in modo da non aumentare nominalmente il debito, un vantaggio dal punto di vista dell’immagine”. La sostanza tuttavia non cambia e dovremmo iniziare a guardare soprattutto a quella.
Verso la legge di bilancio