Choc di volatilità, anche i mercati "in terapia intensiva"

Mariarosaria Marchesano

Gli interventi delle banche centrali e di singoli stati non placano il nervosismo delle Borse. Gli analisti concordano: decidendo per la deroga al patto di stabilità, l'Europa ha perso l'occasione di ricorrere a un'azione centralizzata di politica fiscale

Milano. Non solo Fiat Chrysler supporterà la società bolognese Siare Engineering nella produzione di ventilatori polmonari, ma riconvertirà un intero stabilimento automobilistico nella realizzazione di mascherine. L’annuncio a sorpresa – dato dall’amministratore delegato Mike Manley e accolto dai sindacati come un atto di responsabilità – non ha evitato un nuovo tonfo al titolo del gruppo Fca in un’altra giornata di forte tensione a Piazza Affari e su tutte le Borse europee per l'escalation della pandemia. Per l’intera seduta si sono alternati movimenti violenti e concentrati degli indici, con brevi tregue generate da notizie come la decisione della Federal reserve di potenziare l'immissione di liquidità nell’economia americana, seguite da nuovi crolli. In chiusura, la Borsa di Milano è risultata la migliore in Europa, con un calo di poco superiore all'1 per cento, rispetto ai tre-quattro punti persi in media dagli altri listini, complice anche il lieve miglioramento registrato dalla curva dei contagi in Italia.

 
 
Anche i mercati, fanno notare alcuni analisti, sono entrati ormai in “terapia intensiva” dopo uno choc di volatilità storico (l'indice Vix ha toccato il livello massimo dal "lunedì nero" del 1987) che gli interventi delle banche centrali sembrano non riuscire ad attenuare così come i programmi di stimolo fiscale messi in atto da singoli paesi. In America la decisione della Fed di acquisti senza limiti di titoli di stato garantiti da ipoteca è l’ultimo tentativo messo in atto dalla banca centrale per aiutare i mercati a funzionare in modo più efficiente in mezzo all’incertezza del coronavirus. Ma sul fondo di 500 miliardi di dollari in discussione in Parlamento per aiutare direttamente le imprese non è stato ancora raggiunto un accordo tra repubblicani e democratici. Così Wall Street appare disorientata e incapace di una vera inversione di rotta che scuoterebbe in modo positivo anche le Borse europee.

 
 
La mancanza di coordinamento tra politiche monetarie e fiscali sta emergendo come un punto di estrema sensibilità per i mercati. Tazio Storni e Andrea Delitala, di Pictet asset management, spiegano in un report che in Europa è stato deciso di non ricorrere ad un intervento centralizzato “rinunciando a un’occasione per arrivare a una maggiore integrazione fiscale tra i paesi membri e optando, piuttosto, per una deroga al patto di stabilità”. Sul fronte monetario, invece, dopo il tentennamento iniziale, condito dalla gaffe di Christine Lagarde, è arrivato il bazooka della Bce da 750 miliardi reso però meno efficace dal permanere di alcuni vincoli, come il fatto che gli aiuti sono commisurati al pil del paese e non alle sue reali necessità.
 
Storni e Delitala, però, sono tutto sommato ottimisti e stimano che la nuova liquidità che sarà erogata dalle maggiori banche centrali da qui alla fine dell’anno si aggira su 3,6 mila miliardi di dollari, una cifra molto vicina, affermano, a quella messa in campo a seguito della crisi finanziaria del 2008. “Considerando che questa è una crisi dell’attività produttiva (sia di domanda sia di offerta) dai contorni incerti, ma non un corto circuito finanziario, ci aspettiamo che le banche centrali riescano a evitare il credit crunch, almeno a livello di settore bancario”.

 
 
Secondo Paolo Zanghieri, senior economist di Generali Investments, mancano due cose per rendere efficace l'azione di banche centrali e governi. La prima riguarda l’Europa. “Il grande piano definito in Germania e la sospensione del patto di stabilità sono misure rapide all’interno delle attuali regole. Tuttavia, misure congiunte sono estremamente necessarie per assicurarsi che in paesi ad alto debito come l’Italia il rischio di un circolo vizioso tra debito pubblico e le banche non vada a limitare il margine fiscale”. La seconda cosa riguarda gli Stati Uniti, dove, ricorda Zanghieri, l’attuale legislazione impedisce alla Fed di acquisire titoli di lungo termine emessi dalle aziende (come invece può fare la Bce) e questo rappresenta un limite che impedisce ai problemi di liquidità del sistema produttivo di evolversi in potenziali rischi di solvibilità in futuro. “Ci aspettiamo un cambiamento normativo o almeno la creazione di un veicolo garantito dagli Stati Uniti in grado di procedere all’acquisto di grandi quantità di credito”, conclude l’economista di Generali.

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