Con gli scioperi non si vincono le guerre

Redazione

La salute è sacra ma il paese non merita di essere più bloccato del dovuto

Gli industriali protestano contro il governo che ha chiuso molte produzioni, benché un centinaio di attività risultino esentate. I sindacati minacciano lo sciopero generale contro l’allargamento delle maglie e reclamando più protezioni e sicurezza per chi resta al lavoro. Con la salute in ballo è difficile dire se qualcuno stia esagerando. I 100 miliardi di perdite mensili per le imprese stimati dal presidente di Confindustria Vincenzo Boccia sono forse eccessivi, viste anche le aperture economiche dell’Europa e le previsioni prevalenti di ripartenza robusta a emergenza superata (previsioni, ma non certezze).

 

Le confederazioni sindacali, o meglio i loro leader, spendono parole di responsabilità per gestire una situazione che rischia di sfuggire al controllo, come si vede dagli scioperi spontanei in ogni parte d’Italia, e che può solo aggravare una situazione già drammatica. Bisogna però che tutti capiscano che non è in questo modo che si affronta una situazione paragonabile a una guerra.

 

I dipendenti hanno tutto il diritto di chiedere protezioni, sicurezza e sanificazione dei luoghi di lavoro: alcune aziende lo hanno fatto o si stanno attrzzando. Occorre verificare che avvenga davvero. I big privati bancari e industriali non hanno problemi di liquidità né di utili legittimamente realizzati negli ultimi anni. Una frazione di questi destinati alle bonifiche e alle protezioni, magari con forme di incentivi, non sarebbe contestabile, anzi. Il discorso è diverso nei servizi pubblici: c’è una grande differenza tra nord e sud, nonché per esempio nel trasporto pubblico tra Fs e Atac romana. Usiamo questi giorni di stop forzato per adeguare i processi produttivi.

  

La salute è sacra ma il paese non può essere bloccato, non lo è stato neppure sotto i bombardamenti. Bisogna ripartire. Se davvero si chiude tutto e a lungo dopo non ci sarà molto da riaprire. E a quel punto saranno i lavoratori a pagarne le conseguenze. Non è un ricatto, è la difficile realtà della nostra economia, che non era in salute già prima del coronavirus.

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