L'Italia geniale scopre l'economia pandemica. Otto storie di riconversione

Mariarosaria Marchesano

Ventilatori, mascherine, gel igienizzante, così le aziende cambiano la loro produzione per affrontare l'emergenza coronavirus. Tra solidarietà e opportunità di business

Come durante i periodi di guerra il sistema produttivo si piega alle esigenze belliche, così ai tempi del coronavirus si sta sviluppando un’economia pandemica. Solo che invece di armi, equipaggiamenti e tecnologie militari, molte aziende italiane si sono messe a produrre mascherine, gel disinfettanti e ventilatori polmonari, tre beni essenziali per affrontare l’emergenza coronavirus di cui il paese è risultato sfornito, riconvertendo intere manifatture. Il Foglio ha selezionato otto storie di questo made in Italy da pandemia che sta sbocciando tra solidarietà e opportunità di business. Un viaggio tra coraggio e competenze, innovazione e saper fare, che rivela un’Italia operosa e geniale che affronta questa emergenza anche come un’opportunità.

Nuovi ventilatori: così Fca e Ferrari aiuteranno la Siare di Modena

La protezione civile ha chiesto alla Siare Engineering di consegnare 2000 ventilatori polmonari entro luglio, pari grosso modo a quanti l’azienda biomedicale modenese guidata da Gianluca Preziosa ne fabbrica in quattro anni. Una missione che sembrava impossibile – nonostante il supporto di 25 tecnici dell’esercito che da qualche giorno affiancano i 35 dipendenti - fino a quando Preziosa non è entrato in contatto con Fiat Chrysler e Ferrari, due case automobilistiche che condividono una certa esperienza con il settore della ventilazione perché realizzando componenti elettroniche e pneumatiche. Se tutto va bene, la produzione della Siare sarà portata a 500 nuovi respiratori al mese che saranno distribuiti nelle terapie intensive degli ospedali italiani. E se un giorno vedremo da uno stabilimento della “Rossa” di Maranello uscire una fila di camion con a bordo le apparecchiature in grado di salvare centinaia di vite sarà una bella immagine e la prova di come da una gigantesca crisi possano nascere nuove opportunità.

Un respiratore per due, patto tra scienza e produzione a Modena

Realizzare in soli tre giorni il primo prototipo di ventilatore polmonare in grado di far respirare due pazienti contemporaneamente. E’ quanto ha fatto la Intersurgical, azienda del distretto biomedicale modenese, e a darne notizia è stato su Facebook Sergio Venturi, commissario ad acta per l’emergenza coronavirus in Emilia Romagna, il quale ha anche svelato che l’ideatore dell’apparecchio in grado di funzionare su più circuiti è stato il professor Marco Ranieri, direttore del reparto di rianimazione e anestesia dell’Università di Bologna. Ranieri, che si era messo alla ricerca insieme ad altri colleghi della Lombardia di soluzioni per affrontare l’emergenza di Bergamo e Brescia, ha chiesto poi alla Intersurgical di costruire un prototipo che è stato realizzato a tempo di record e testato all’ospedale Sant’Orsola di Bologna. Risultato: il ventilatore per due funziona ed è un brillante esempio di collaborazione tra mondo della scienza e produttivo.

Dall’alta moda alle mascherine, riconversione lampo alla Miroglio

“Quando abbiamo ricevuto la richiesta dalla Regione Piemonte, ci siamo chiusi in una stanza e in poche ore abbiano ideato il primo modello e deciso di riattivare una linea produttiva diventata marginale”: così Stefano Mulasso, manager del gruppo Miroglio diventato responsabile del nuovo progetto, spiega in un video la riconversione lampo dell’azienda da produttore di capi d’alta moda a fabbrica di mascherine. Miroglio ha sottoscritto un contratto per produrre 600 mila pezzi in due settimane e ha già consegnato sabato scorso il primo lotto da 15 mila. Non si tratta di mascherine sanitarie, spiega l’azienda, ma hanno il vantaggio di essere lavabili e riutilizzabili e, comunque, rafforzate da un particolare trattamento antigoccia del tessuto che avviene a 150 gradi e dalle cuciture a pieghe laterali che ne aumentano la capacità di fare barriera con l’esterno. Così l’amministratore delegato di Miroglio, Alberto Racca, ha risposto a un appello di pubblica utilità e preservato posti di lavoro perché l’azienda ha già decine di altre richieste.

Modaimpresa: 100 sarte molisane al lavoro con 10 mila pezzi al giorno

Grazie alle mascherine, 100 sarte della provincia di Isernia sono riuscite a evitare la cassa integrazione perché saranno impegnate a cucire 10 mila pezzi al giorno. A Isernia, infatti, è ripartita la Modaimpresa, società tessile nata sulle ceneri del gruppo Ittierre fallito qualche anno fa. Il blocco di commesse dovuto all’emergenza sanitaria di mettere di nuovo in crisi l’azienda molisana, che conta 35 addetti più un’altra settantina di lavoratrici nell’indotto. La decisione è stata presa in pochissimo tempo, in fabbrica c’erano tessuto e manodopera, è bastato realizzare un prototipo e sottoporlo all’esame di una clinica e, con qualche accorgimento, la produzione è stata avviata e le commesse sono fioccate. Si tratta, in questo caso, di mascherine non sanitarie – anche se dotate di filtro - e sono destinate a lavoratori di fabbriche, uffici e, in generale, a coloro che hanno contatti con il pubblico. Anche in questo caso è stata salvata una intera filiera produttiva e in più col suo lavoro Modaimpresa riuscirà a garantire la continuità operativa di altre imprese che possono fornire dispositivi di sicurezza ai propri dipendenti.

L’Orsa vuol far rinascere la filiera delle mascherine nel varesino

Dopo un appello lanciato attraverso il Corriere della Sera, l’azienda Orsa di Gorla Minore, in provincia di Varese, ha ricevuto centinaia di richieste di contatto per avviare la fabbricazione di mascherine chirurgiche visto che quello che manca al produttore di tessuto-non tessuto utilizzato in vari settori tra cui anche quello ospedaliero è proprio l’ultimo anello del processo: la confezione. Naturalmente, ora l’azienda – che conta oltre 800 dipendenti – dovrà fare una selezione per scegliere il partner più giusto, ma è solo questione di tempo e presto si potrebbe vedere rinascere una filiera produttiva del varesino che era scomparsa perché la produzione di mascherine – che ha una bassa redditività per i produttori – è stata demandata alla Cina e ai paesi asiatici. Un effetto della globalizzazione che per l’Italia si è rivelato drammatico in questa fase di emergenza.

Louis Vuitton e i produttori di profumi ora fanno il gel disinfettante

E’ stato direttamente Bernard Arnault – il numero uno del colosso francese Louis Vuitton (Lvmh) – a chiedere alle società affiliate che producono profumi di riconvertirsi completamente nella fabbricazione di gel disinfettante per le mani da distribuire gratuitamente in tutto il paese. Insomma, parte delle capacità produttive di un grande gruppo – noto per brand di essenze come Dior, Guerlain e Givenchy – sono state momentaneamente mobilitate per aumentare l’offerta di questo disinfettante che sarà consegnato alle autorità sanitarie francesi e a un gruppo di ospedali. Anche in Italia non mancano esempi di solidarietà di questo tipo, come il gruppo Menarini che produrrà il gel nello stabilimento di Firenze per poi donarlo alle strutture e agli operatori sanitari. Ma l’emergenza coronavirus è stata un’occasione per aziende come la torinese Reynaldi, che era specializzata in questo settore ma negli ultimi anni aveva accumulato scorte di invenduto e fermato le macchine di questa linea produttiva. E Intercos, il più grande terzista di bellezza del distretto cosmetico lombardo, e il gruppo Davines (Parma) hanno potenziato la produzione di gel ma, come altri produttori, lamentano la carenza di un elemento base come l’alcool, diventato quasi introvabile.

A Bari l’Università in campo per costruire una nuova filiera per mascherine

A sud l’emergenza coronavirus – seppure ancora contenuta come numero di casi rispetto al nord Italia – ha fatto nascere l’esigenza di un coordinamento di filiera per la produzione di mascherine. Il rettore del Politecnico di Bari, Francesco Cupertino, sta coordinando un gruppo di lavoro formato da docenti e ricercatori che si sono messi in contatto con un gruppo di aziende pugliesi interessate a riconvertire la loro produzione in questo momento in cui le macchine sono ferme. Si tratta soprattutto di imprese che normalmente producono abbigliamento, pannolini e assorbenti. Cupertino ha parlato di un “momento molto delicato” perché si tratta di mettere a punto un sistema in grado di rispondere in modo rapido a commesse di grande entità e con elevati standard qualità e certificazione. All’appello del rettore ha risposto il comune di Bisceglie – che si trova tra Barletta e Andria – segnalando la disponibilità di cinque aziende locali che potrebbero realizzare 25-30 mila dispositivi al giorno e che è già stato avviato il testo per la microfiltrazione del tessuto.

Chemtec lancia il crowdfunding per fare il gel

A differenza di altri produttori che qualche dimestichezza con la produzione di disinfettanti già l’avevano, la Chemtec di Corbetta, in provincia di Milano, non l’aveva mai fatto prima perché dal 2010 si occupa di realizzare esclusivamente articoli chimici ad uso industriale. Poi, come ha raccontato il titolare Carlo Guidetti, quand’è scoppiata l’epidemia è stato deciso di produrre una decina di litri per uso interno, come peraltro suggerito anche dall’Organizzazione mondiale della sanità che ha diffuso la ricetta. Lì Guidetti e i suoi operai si sono resi conto che avevano la capacità per realizzare anche grandi quantitativi e così hanno fatto decidendo di donare i primi mille litri ai comuni vicini e alle farmacie del territorio. Ma siccome non è possibile produrre a costo zero, la Chemtec ha deciso di lanciare un’iniziativa di crowdfunding per cercare persone, aziende e istituzioni che possano sponsorizzare l’operazione in modo da continuare a garantire la distribuzione gratuita alla popolazione. E in futuro chissà che il gel disinfettante non affianchi gli articoli chimici nel business della Chemtec (nella foto il sindaco di Corbetta, Marco Ballarini, negli stabilimenti della Chemtec - Foto Facebook).

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