Christine Lagarde (foto LaPresse)

Il contrario del “whatever it takes”

Francesco Lippi*

Le dichiarazioni di Lagarde, le correzioni di Philip Lane e della commissione Ue, come stress test alle istituzioni europee quella di giovedì è stata una prova abbastanza scoraggiante 

L’economia italiana, fragile e mal gestita per decenni, subisce in queste settimane uno shock negativo inaspettato, legato alla veloce diffusione del coronavirus. I limiti al movimento dei cittadini e la chiusura di molti servizi non essenziali porteranno un forte rallentamento della produzione, e probabilmente la peggior recessione del dopoguerra. Nessuno sa dire se tra quattro o sei settimane tutto tornerà come prima. L’incertezza porta molti a ridurre ulteriormente i consumi a scopo precauzionale, amplificando una situazione già difficile in partenza.

 

Che cosa potremmo chiedere alla politica economica di fronte a una situazione di questo tipo?  Se lo shock si rivelasse limitato nel tempo e nello spazio, come auspicabile, avrebbe senso pensare a queste settimane come a un inverno fuori programma. Inutile chiedere interventi straordinari di sostegno alla produzione se fuori ci sono due metri di neve. Un ulteriore salto della spesa pubblica servirà solo ad appesantire i conti di una finanza già in bilico, rendendo ancor più difficile il ritorno alla normalità. Le crisi si superano alimentando la fiducia nel futuro. Se la crisi non si espande a tutto il globo simultaneamente, i consumi possono essere sostenuti con l’assistenza dei paesi vicini. A questo fine ha senso che le istituzioni sostengano chi ha difficoltà temporanee di liquidità per pagare imposte o stipendi, nella speranza che l’inverno passi presto. Sarebbe augurabile che queste terribili settimane fossero come la vacanza più scialba della nostra vita. Potremmo recuperare il tempo perduto lavorando ad agosto, limitando le perdite derivanti da uno shock che nessuno merita, nemmeno un paese gestito scelleratamente come il nostro. 

 

La situazione in cui ci troviamo adesso suscita reazioni diverse tra i miei colleghi economisti. Qualcuno osserva che proprio in questi momenti si vedono i costi delle politiche miopi perseguite da decenni. Il nostro enorme debito riduce al minimo lo spazio fiscale e rende la situazione italiana diversa da quella di Francia o Germania, la cui capacità di indebitamento non è compromessa. Trovo corrette queste affermazioni ma note da decenni e soprattutto inutili a capire cosa fare oggi. Un po’ come dire a uno che sta annegando che poteva evitare di abbuffarsi a pranzo…

 

Posto che nella crisi ci siamo, e che il debito c’è, mi pare più interessante chiedersi cosa possano fare le istituzioni italiane ed europee. E una risposta mi sembra abbastanza semplice: limitare il panico tra cittadini e risparmiatori. Le infelici osservazioni della presidente Lagarde nella conferenza stampa di giovedì sono proprio quello che va evitato (“we are not here to close spreads”). In mezzo a una tempesta il policy maker deve guidare le aspettative verso il sentiero meno dannoso, perché lo sviluppo della situazione dipende molto da quello che egli dice.

 

Se il comandante della nave annuncia che non saranno dati salvagenti ai passeggeri di seconda classe, rende assai più probabile che a bordo scoppi la rissa. Anche se Lagarde aveva voglia di dare uno schiaffo all’Italia, e io la capisco perché i motivi abbondano, la sua affermazione che la Bce non interverrà a sostegno ha spinto il paese verso il baratro: aggiungere uno shock di spesa per interessi a quello della gestione straordinaria di queste settimane non sembra una buona idea. Parole cosi sono l’esatto contrario del “whatever it takes” di Draghi e rimarranno nei manuali su cosa non deve fare il presidente di una banca centrale. Ci si augura che la presidente le abbia pronunciate senza soppesarle, e che siano ascrivibili alla sua limitata conoscenza dei meccanismi economici.

 

In fondo, la persona che giovedì ricordava ai giornalisti che il controllo degli spread non rientra tra gli obiettivi della politica monetaria è la stessa che a novembre chiedeva a gran voce un ruolo chiave della Bce sul cambiamento climatico. Meno male che altre istituzioni europee, dalla Commissione al membro del board Philip Lane, hanno lanciato in fretta competenti messaggi di segno contrario, placando in parte la paura dei mercati. Come stress test alle istituzioni europee quella di giovedì è stata una prova abbastanza scoraggiante. 

 

*Università Luiss

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