(foto LaPresse)

Una fabbrica di batterie nel deserto il segreto del successo di Musk

Ugo Bertone

Da ieri Tesla vale a Wall Street più di Gm, Ford e Fca messe insieme grazie a ingegneri-samurai e a uno scienziato un po' matto

Milano. Altro che bolla: è una rivoluzione. I titoli Tesla stanno sommergendo i listini come tante furie selvagge che spazzano via le auto della concorrenza come fossero vecchi giocattoli. Ieri, ancor prima dell’apertura delle Borse Usa, le azioni dell’azienda di Elon Musk hanno varcato la soglia dei 900 dollari, il 15 per cento in più della quotazione stellare di lunedì: 780 dollari, con un rialzo di quasi il 90 per cento rispetto a gennaio 2019. Ancor più importante, la valanga che ha investito quasi a sorpresa Wall Street segna una staffetta storica: da ieri Tesla, la casa dell’auto elettrica, vale da sola assai di più non solo dei big dell’auto Usa (Gm, Ford e Fca) messi assieme, ma fa mangiare la polvere ai grandi di Germania, a partire da Volkswagen, sotto nel confronto di abbondanti 50 miliardi di dollari. Solo Toyota, almeno per ora, tiene il passo di quella ex startup, che non ha ancora compiuto la maggiore età – visto che compirà 17 anni solo il prossimo luglio – e che ha rivoluzionato l’industria dell’auto. Un trionfo che continua a sollevare più di un interrogativo, soprattutto da parte degli scettici, hedge fund in testa, che in questi anni hanno scommesso che la bolla Musk sarebbe scoppiata provocando vittime e disastri. Al contrario, negli ultimi due giorni i ribassisti hanno lasciato sul terreno (per ora) più di 6 miliardi di dollari, grosso modo la metà di quanto è cresciuto il patrimonio del bizzarro genio nato in Sudafrica nel 1971, uno che ha cominciato a far soldi inventando, a soli 12 anni, un videogioco che è ancora in commercio.

 

Stavolta, però, la posta in gioco è davvero alta e merita più di una domanda. Perché proprio adesso il boom di Tesla che, non più tardi di sei mesi fa, sollecitava un’indagine da parte della Sec e suscitava dubbi tra gli analisti? La prima risposta si trova a Tokyo o, anche, nel deserto del Nevada. Qui, nella terra di Las Vegas e delle scenografie care a John Ford, sorge un’enorme cattedrale circondata dalla sabbia: è la giga factory costruita dalla giapponese Panasonic assieme a Musk, un’impresa quasi disperata per le dimensioni, le difficoltà ambientali e l’impegno tecnologico chiesto ai partner. Basti dire che per garantire la necessaria produzione di batterie di litio si è fatto ricorso a 3 mila tecnici, più 200 ingegneri specializzati in arrivo direttamente del Giappone, gente che per due anni ha fatto sì che la fabbrica, costata 5 miliardi di dollari, marciasse 24 ore su 24 per dodici mesi di fila tanto per garantire il rispetto di tempi “impossibili” al punto che il vero problema è stato trovare il personale disposto a sopportare quel regime. Non è stato un ménage facile: più volte Musk ha accusato i soci giapponesi di sabotarli, più volte Panasonic ha minacciato di far causa. Ma alla fine il cocktail tra ingegneri samurai e uno scienziato (un po' matto, lo riconosce lui stesso) ha prodotto il miracolo: la fabbrica delle batterie funziona, per le fortune di Model 3, la Tesla più venduta, e di quelle che verranno. Certo, la coppia si è logorata: sia Musk che Panasonic hanno scelto nuovi partner per le prossime fabbriche, ma il vantaggio competitivo resta, specie nei confronti degli europei. A riconoscerlo è stato lo stesso Herbert Diess, il numero uno di Volkswagen che ha investito tutto il prestigio e la forza finanziaria del numero uno dell’industria a quattro ruote nella sfida dell’auto elettrica. “L’auto – ha detto parlando ai dirigenti del gruppo – va ormai considerata alla pari di uno smartwatch: anzi è il mobile più sofisticato e importante”. Di qui l’importanza dell’elettronica e della batteria, oggi assai più avanti nei modelli Tesla (con un’autonomia di 350 chilometri contro i 200 circa di Porsche) così come, a detta di Adam Jonas di Morgan Stanley, nel software e nell’architettura dei modelli. “Non è questione di soldi – spiega Peter Rawlinson, già collaboratore di Musk, oggi impegnato in un progetto concorrente – Gli europei faranno ottimi modelli, ma continuano a spendere energie e soldi per produrre auto di vecchio tipo. E così disperdono le idee”. Quelle che a Musk non mancano di sicuro.

Di più su questi argomenti: