Elon Musk (foto LaPresse)

Quanto può durare il momento d'oro di Elon Musk e della sua Tesla?

Eugenio Cau

Ha superato i 102 miliardi di dollari di capitalizzazione ed è diventata il primo produttore di auto negli Stati Uniti e il secondo nel mondo

Milano. La prima cosa da fare alla notizia che Tesla mercoledì ha raggiunto i 100 miliardi di dollari di capitalizzazione di mercato è andare a sbirciare il profilo Twitter di Elon Musk. Il fondatore della società di automobili elettriche è un twittatore prolifico, adora rispondere ai tweet dei fan quasi quanto adora scatenare polemiche, come quella volta che diede del pedofilo a uno dei sommozzatori che salvarono i ragazzini thailadesi bloccati in una grotta (il sommozzatore gli fece causa per diffamazione ma Musk riuscì a dimostrare che “pedo guy” non era un vero insulto ma una trovata retorica un po’ forte, ed è stato assolto), o come quando fece un tweet in odore di insider trading che gli costò una multa da 20 milioni di dollari. Questa volta, però, Musk non twitta. Certamente sta facendo salti di gioia, il valore delle azioni Tesla in suo possesso è passato in pochi mesi da 16 a 23 miliardi di dollari, e se Tesla continuerà a fare questi risultati nei prossimi mesi si sbloccheranno per lui ricchissimi bonus. Ma meglio non twittare il proprio trionfo: i critici sono sempre in agguato, e la quotazione stratosferica di Tesla potrebbe rivelarsi più debole del previsto.

  

  

Questa è una contraddizione che tutti hanno notato: Tesla ha superato i 102 miliardi di dollari di capitalizzazione, ed è diventata il primo produttore di auto negli Stati Uniti e il secondo nel mondo, davanti a sé ha soltanto il gigante giapponese Toyota. Tesla ha superato in valore perfino corazzate come Volkswagen, e quando gli esperti hanno confrontato i numeri hanno cominciato a chiedersi dove fosse l’inghippo: nel 2019 Tesla ha venduto 367.500 automobili, mentre Volkswagen ne ha vendute 10.974.600. La casa tedesca ha venduto trenta volte le automobili di Tesla, ma Tesla vale di più, com’è possibile? La ragione più plausibile è che i mercati considerano Tesla non come una casa automobilistica ma come una compagnia tecnologica, che ha ritmi di crescita ed entrate più simili a quelle di Google&Facebook che a quelle di Volkswgen&Toyota.

 

Considerare tech ciò che non è tech è un errore che è già costato caro a molti, per esempio agli investitori di WeWork, l’azienda di coworking che conduce un business immobiliare (subaffitta uffici in grandi spazi ristrutturati) ma era riuscita a convincere gli investitori di essere un’azienda di tecnologia. Era arrivata a una valutazione di mercato di 47 miliardi ma poi la bolla è scoppiata.

 

Il magazine Bloomberg Businessweek questa settimana ha dedicato la copertina a un gruppo di analisti e investitori scettici nei confronti di quello che definiscono “il culto di Elon” e che sono convinti che presto o tardi la bolla di Tesla scoppierà. Questi ribassisti contro Tesla sono un po’ veri analisti e un po’ troll digitali, adorano prendere di mira Musk e twittare tutte le volte che succede qualcosa di spiacevole alla sua azienda, e questo fa impazzire il fondatore, che ha minacciato di ritirare Tesla dai mercati perché i ribassisti l’avevano preso di mira, ha scritto nel suo ultimo report annuale che “il controllo dei critici” è uno dei principali pericoli per l’azienda, ha fatto denunce e campagne pubbliche. A un certo punto, a metà del 2019, il titolo di Tesla era molto svalutato e sembrava che i ribassisti stessero vincendo. Musk era stressato e twittava rabbioso, si vociferava di problemi di produzione degli ultimi modelli di auto elettrica e sembrava davvero, come dicevano i critici, che Tesla fosse una bolla. Poi le cose hanno cominciato ad andare meglio, i problemi di produzione sono rientrati, Tesla ha aperto una nuova fabbrica in Cina e ne ha annunciata una in Germania, e le vendite di automobili hanno superato le aspettative. Così gli investitori hanno ricominciato a credere in Elon Musk, a comprare i titoli di Tesla, mentre i ribassisti perdevano soldi.

 

 

Adesso Musk si gode la sua vittoria, anche se molti analisti seri continuano a sostenere che la quotazione di oltre 100 miliardi sia insostenibile (Ubs per esempio classifica i titoli di Tesla come “sell”, da vendere, perché non considera la quotazione giustificata”). Forse è anche per questo che Musk non twitta: si gode il suo momento d’oro, finché regge.

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  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.