Giovanni Tria (foto LaPresse)

Tria ci aiuta a capire perché al Conte 2 verrà permesso ciò che al Conte 1 non sarebbe stato concesso

Claudio Cerasa

Bisognerebbe smetterla di fare gli schifiltosi e bisognerebbe avere il coraggio di ragionare attorno ai numeri della manovra concentrandoci un po’ meno sui dettagli e un po’ più sulla ciccia. La svolta del Def è la cornice

Bisognerebbe smetterla di fare gli schifiltosi e bisognerebbe avere il coraggio di ragionare attorno ai numeri della manovra concentrandoci un po’ meno sui dettagli e un po’ più sulla ciccia – e ascoltando quello che ci ha detto l’ex ministro Giovanni Tria.

 

I dettagli ci dicono che questo governo ha fatto più deficit rispetto a quello teoricamente consentito, che ha presentato coperture più aleatorie rispetto al governo precedente, che ha promesso riduzioni di spesa inferiori rispetto alle attese, che ha tagliato le tasse in modo marginale, che ha promesso di non alzare l’Iva non escludendo però rimodulazioni future e non c’è dubbio che mescolando questi dettagli può venire spontaneo occuparsi del tema “legge di Stabilità” sostenendo una tesi che grosso modo potrebbe suonare così: lo vedete, sì, questi qui so’ come quelli che c’erano prima e forse, se proprio ve lo devo di’, so’ persino peggio.

 

Il terzista collettivo, categoria di osservatore con discreta passione per il dettaglismo da strapazzo, ha spesso la tendenza a trasformare in un unico fascio tutta l’erba offerta dalla politica. Ma mai come oggi rischierebbe di compiere un tragico errore se decidesse di chiudere gli occhi di fronte alla svolta oggettiva messa in campo dal governo: un anno fa, la legge di Stabilità venne architettata da due partiti desiderosi di non fare chiarezza sul tema dell’uscita dell’Italia dall’Unione europea, oggi la legge di Stabilità è stata architettata da due partiti desiderosi di fare chiarezza sul tema dell’uscita dell’Italia dall’Unione europea. Un anno fa, l’Italia si interrogava sul tema se fosse giusto o no ragionare di Italexit. Oggi, l’Italia si interroga sul tema se sia giusto o no ragionare di una rimodulazione dell’Iva.

 

Mica male, no? In una chiacchierata avuta ieri mattina con un giornalista del Foglio, l’ex ministro dell’Economia Giovanni Tria, sfoggiando un sorriso sereno e per nulla polemico, ha sostenuto che all’esecutivo precedente non sarebbe mai stato concesso di presentare una manovra con una stima di evasione fiscale così elevata (7 miliardi) e con un deficit così elevato (il governo precedente chiuse con l’Europa la procedura di infrazione sul debito garantendo un deficit pari al 2 per cento, il nuovo governo ha innalzato quella promessa di 0,2 punti percentuali).

 

Su questo punto Tria ha ragione, così come ha ragione quando sostiene che il difetto di questa manovra sia l’assenza di una correzione nella dinamica della spesa corrente e l’assenza di un piano di investimenti altro rispetto a quello ancora un po’ sulfureo europeo. Ma ciò che sfugge agli azionisti politici del governo precedente – non a Tria – è che ritrovarsi di fronte a un governo che è riuscito a ottenere dall’Europa la fiducia che il governo precedente non è riuscito a ottenere non è la spia di un complotto europeo. E’ più semplicemente la spia di un autocomplotto che aveva malamente creato il governo precedente, alimentando una spirale di sfiducia, di instabilità e di precarietà che l’Italia è riuscita a spazzare via con una mossa semplice: cambiando la cornice entro la quale disegnare il futuro dell’Italia.

 

La discontinuità rispetto alla manovra precedente non è nei dettagli ma è nella ciccia. E’ nello scegliere di usare i balconi solo per posare fiori, è nell’essere riusciti ad avere cento punti di spread in meno rispetto all’inizio dell’anno, è nell’essere riusciti a ridare sicurezza agli investitori, è nell’essere riusciti a ridare al paese una fiducia tale da aver dato la possibilità a questo esecutivo di fare cose che, come dice giustamente Tria, all’esecutivo precedente mai sarebbe stata concessa (al governo potrebbe essere stata data la possibilità di peggiorare il famoso saldo strutturale dello 0,1 per cento a fronte dell’obiettivo di medio termine per l’Italia di migliorarlo ogni anno dello 0,5 e della promessa scritta nero su bianco dal governo precedente a luglio di migliorarlo dello 0,2). Ci si può girare attorno quanto si vuole, si può discutere quanto si crede del tema dell’Iva, si può sostenere quanto si desidera che all’Italia servirebbe ben altro per stimolare la crescita ma ai sopracciò teorici della famigerata continuità tra il Conte 1 e il Conte 2 non dovrebbe sfuggire che il capolavoro della manovra è aver trovato le coperture politiche per evitare al paese l’imposta più pericolosa per il suo futuro: la tassa generata dall’avere lo sfascismo al governo. Non sarà il massimo ma è il minimo per ripartire.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.