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La fusione è fredda, viva la Fca

Il caso Renault dimostra che il sovranismo è sempre un pericolo per il business

Carlo Stagnaro

La difesa “politica” dietro lo stop all’accordo Fiat-Renault: il muscolare protezionismo francese e la “virtuosa” assenza italiana. Crollo di Renault in Borsa

Roma. Lo stallo negoziale tra Fca e Renault porta con sé un curioso scambio di ruoli, tra una Francia consapevolmente sovranista e un’Italia imprevedibilmente, e forse inconsapevolmente, liberista. La rottura tra i carmaker ha spinto i due governi l’uno a mostrare i denti, l’altro a fare spallucce. Attribuendo lo stop alle “condizioni politiche” d’oltralpe, John Elkann ha lasciato sul volto acqua-e-sapone di Emmanuel Macron una doppia cicatrice. Professionalmente, il presidente francese ha una storia da banchiere d’affari; politicamente, cerca di dare corpo alle più ambiziose spinte europeiste. Eppure, da uomo di finanza non ha compreso che Renault avrebbe pagato un prezzo molto più alto di Fca (come hanno confermato oggi i rispettivi corsi borsistici: le azioni di Renault hanno perso il 6,4 per cento, a fine giornata Fca ha tenuto, con un rialzo seppur minimo dello 0,09 per cento). E da leader liberale e federalista ha mostrato un nazionalismo muscolare e si è trovato in mano il cerino della responsabilità per primo flop della trattativa – ora Fca cerca almeno un accordo di massima con Renault, che oggi ha riunito di nuovo il cda. Ci sarà un secondo round. Nulla di cui stupirsi per Macron. Non solo il nazionalismo economico è una costante della République, ma lo stesso presidente ha seguito un approccio tradizionale. L’abbiamo visto nelle reazioni rabbiose contro l’Antitrust europeo sul merger Alstom-Siemens e nell’insistenza con cui si è messo di traverso all’acquisizione di Stx da parte di Fincantieri. Nella vicenda Renault, la partecipazione diretta del Tesoro francese al capitale, di cui è il primo azionista col 15 per cento, ne ha amplificato il volume di fuoco. 

    

La stessa Renault non ha usato mezzi termini nell’esprimere “disappunto” per un’occasione che aveva “un’avvincente logica industriale e un grande merito finanziario”. E’ evidente che la partita non è chiusa; ma, dato che il dossier è già tornato sul tavolo, Fca può godere di una posizione di forza.

    

Curiosamente, il commento più saggio viene da Luigi Di Maio: “Quando la politica cerca di intervenire nelle vicende economiche non sempre fa bene”. In effetti, altre operazioni che hanno coinvolto imprese transalpine – Conad e Auchan, Essilor e Luxottica – si sono concluse serenamente mentre politici e governi erano impegnati altrove, pur avendo anch’esse le loro complessità aziendali e la consueta confusione tra interessi divergenti interni ed esterni. Al contrario, la freddezza del governo italiano per l’affare tra Fca e Renault ha suscitato le critiche di molti e le richieste di intervento da parte di altrettanti.

    

Eppure, vanno considerati almeno due fatti. Il primo l’ha rilevato oggi Paolo Bricco sul Sole 24 Ore: Fca non è più un’impresa italiana, e fa pertanto sorridere “la possibilità che lo stato (quale stato?) entrasse nella holding (olandese!) che avrebbe dovuto controllare il nuovo gruppo”. Secondariamente, il “liberismo” del governo sarebbe più credibile se lo stesso esecutivo non stesse perseguendo mire di nazionalizzazione o comunque di intervento a gamba tesa sul mercato in un’infinità di casi, che vanno da Alitalia alle stregonerie sull’acqua pubblica, dal parmigiano di stato all’espansione di Cassa depositi e Invitalia che, alla stregua di Blob – il fluido che uccide – stanno penetrando ogni anfratto arbitrariamente definito strategico.

   

Paradossalmente, dunque, sia Macron sia Di Maio (e Matteo Salvini) si sono mossi in modo contraddittorio rispetto al proprio orientamento “ideologico”. Tuttavia, mentre il presidente francese non ha fatto altro che ripetere lo stesso copione di sempre, i capi politici di Lega e M5s si sono posti in discontinuità con le loro stesse scelte in diversi casi analoghi. Ed è significativo che un governo che ogni giorno trascina la nostra economia un po’ più in basso, abbia evitato di danneggiare un’impresa che ha importanti insediamenti industriali nel nostro paese proprio nel momento in cui, per distrazione o per calcolo, non ha preso posizione né espresso alcun orientamento. Purtroppo, una rondine non fa primavera: l’inverno dello statalismo gialloverde arriva inesorabile.

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