Valdis Dombrovskis (secondo da sinistra) e Pierre Moscovici (ultimo a destra) illustrano i country report della Commissione europea (foto LaPresse)

Le sberle della Ue ci dimostrano che l'Italia ad aprile rischia grosso

Luciano Capone

Un paese con i conti fuori controllo e un debito che in dieci anni può arrivare fino al 150% del pil. Cosa c’è nel country report

Roma. Per il commissario per gli Affari economici Pierre Moscovici, la situazione italiana è “preoccupante”. Per il vicepresidente della Commissione Valdis Dombrovskis, “gli squilibri restano eccessivi” e, anche se nei confronti dell’Italia non è stata aperta una procedura di sorveglianza ed esecuzione, “rivaluteremo la situazione in primavera sulla base del Def”. Le parole dell’Europa sul quadro macroeconomico del paese e sulla politica economica del governo sono dure. Ma i numeri e i dati presenti nel country report sull’Italia sono addirittura peggiori

 

Il problema non è tanto la parte burocratico-procedurale sul rispetto delle regole europee. E’ vero che l’Italia, insieme solo a Cipro e Grecia, presenta squilibri economici eccessivi – elevato debito pubblico, bassa crescita della produttività, alto tasso di disoccupazione ed elevato stock di non-performing loans – e teoricamente rischia l’apertura di una procedura in primavera. Ma la decisione, che arriverà dopo la presentazione del Def ad aprile e le previsioni di primavera di inizio maggio, dovrà essere presa con il pacchetto di primavera a maggio-giugno, poco dopo le elezioni europee, quando ancora non si sarà insediata la nuova Commissione. Tutto sarà quindi rinviato in autunno, al momento della presentazione della prossima legge di Bilancio.

 

Le criticità arrivano dai numeri nudi e crudi, dalle previsioni su crescita economica, finanze pubbliche e sostenibilità del debito. I conti pubblici del governo sono sotto controllo nell’ipotesi che nel 2019 il pil aumenti dell’1 per cento: in questo modo il deficit si fermerebbe al 2 per cento e il debito pubblico scenderebbe al 130,7 per cento. Ma siccome le stime sulla crescita sono irrealistiche, anche le altre previsioni sono sballate. Secondo la Commissione la crescita non sarà superiore allo 0,2 per cento e di conseguenza il deficit salirà al 2,9 per cento, ben oltre sia il 2 sia il 2,4 per cento inseriti dal ministro Tria nelle due versioni della manovra. Una riduzione del tasso di crescita e un aumento consistente del disavanzo fanno sì che il debito pubblico si metta su un percorso pericoloso: anziché scendere, tornerebbe a salire fino al 132 per cento (anche perché le privatizzazioni da 18 miliardi, 1 punto di pil, sono secondo la Commissione “irrealistiche”). Per il 2020 le cose non andrebbero meglio, perché l’aggiustamento dei conti e la riduzione del debito si basano integralmente su privatizzazioni e su 23 miliardi di aumento dell’Iva (1,5 punti di pil), clausole di salvaguardia che non vengono neppure prese in considerazione perché non sono mai state attivate. Pertanto il deficit è previsto oltre il 3 per cento e il debito oltre il 132 per cento.

 

E’ la fotografia di un paese con i conti pubblici fuori controllo, con una dinamica del debito insostenibile che, nelle proiezioni della Commissione, porterebbe in dieci anni il debito pubblico al 146 per cento del pil nello scenario base e ben oltre il 150 per cento in caso di scenari avversi su crescita e tassi d’interesse. Tutto questo dipende solo in parte dai problemi storici dell’Italia e dalla congiuntura internazionale, perché, sempre secondo le simulazioni della Commissione, il rapporto debito/pil si stabilizzerebbe se il governo avesse un saldo di bilancio primario analogo agli anni precedenti. E inoltre gran parte del deterioramento economico del paese non è dovuto al peggioramento del commercio globale, ma alle scelte di politica economica del governo che ha preferito consistenti “stimoli alla domanda di breve termine” al posto di “riforme sul lato dell’offerta”: aumento della spesa corrente e dei trasferimenti, pochi investimenti, aumento della pressione fiscale sulle imprese, passi indietro su riforme strutturali già approvate (pensioni), aumento dell’incertezza che ha provocato sfiducia negli imprenditori (meno investimenti privati) e nei mercati (fuga di capitali e aumento del rendimento dei titoli di stato).

 

A fronte di tutto questo non c’è nessuna riforma che possa avere un impatto positivo sulla produttività e sulla crescita nel lungo termine. Di fronte a uno scenario del genere ciò che il paese deve temere non è tanto il giudizio dell’Europa in autunno, ma quello dei mercati ad aprile, quando verranno pubblicati i dati sul primo trimestre, i giudizi delle agenzie di rating e il Def del governo.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali