(Foto LaPresse)

Perché ritardare la Tav significa non difendere la nostra sovranità

Renzo Rosati

L’automotive piemontese, le piastrelle padane e i porti del centro nord. I primi beneficiari dell'Alta velocità sono i produttori italiani 

Roma. “L’Italia non sta ancora giocando il suo ruolo strategico nei trasporti europei. Il paese è attraversato da 4 importanti corridoi della rete Ten-t che copre i maggiori flussi di traffico in Europa, di vitale importanza per l’export italiano e specialmente per i suoi porti. Il governo sta riconsiderando l’impegno socio-economico nei progetti di maggior significato, come i tunnel del Brennero e della Torino-Lione. Dopo aver lanciato un’analisi costi-benefici per quattro delle principali infrastrutture, a dicembre 2018 l’esecutivo ha annunciato ulteriori ritardi per il progetto Tav; un impegno politico e finanziario a lungo termine a livello nazionale e regionale è cruciale per adempiere agli obblighi regolamentari dell’Italia per completare la rete principale entro il 2030”.

 

A pagina 52 del Country report sull’Italia 2019 della Commissione di Bruxelles, i “nemici del popolo” sintetizzano un anno di mercanteggiamenti gialloverdi, di scambi tra Luigi Di Maio e Matteo Salvini, intorno a ciò che oggi più frena l’economia italiana e l’occupazione: il blocco delle infrastrutture e la conseguente fuga di capitali. Ciò che, sempre in riferimento alla Tav, il ministro dell’Economia Giovanni Tria ha definito “rischio di crollo della reputazione e degli investimenti”. Perché è sì un problema di trattati da rispettare (il documento conferma implicitamente che si perdono i cofinanziamenti a breve – 300 milioni per la Tav già in scadenza a fine marzo – e quelli del prossimo budget Ue), ma soprattutto, vista da fuori, dell’incapacità del governo di un paese del G7 di fare gli interessi dei propri cittadini e delle proprie imprese.

 

Quando Bruxelles parla di export non intende i big dell’auto tedesca ma Fca e l’automotive piemontese, i mobili e piastrelle di Lombardia, Veneto, Emilia. Quando parla di porti non si riferisce a Rotterdam, Amburgo o Tolone, ma a Genova, Trieste, Livorno. “L’Italia tiene in ostaggio la Lione-Torino” ha titolato mercoledì 27 Le Monde, che non è l’organo ufficioso del colonialista di Emmanuel Macron come forse pensano Di Maio e Di Battista. “Lega e movimento 5 stelle” scrive “hanno pareri divergenti sul progetto di alta velocità, tuttavia essenziale visto il lampante bisogno di investimenti per un’economia zoppicante. Il guasto della crescita rappresenta uno dei guai maggiori da cui dipendono tutti gli altri: disoccupazione endemica, produttività ferma e eccessivo indebitamento pubblico. In questo contesto rinunciare a un progetto come la Lione-Torino appare difficilmente giustificabile”.

 

Naturalmente ciò che per Le Monde e Bruxelles è difficilmente giustificabile, per i 5s è una medaglia, nonché la difesa di teste rilevanti da Di Maio a Chiara Appendino. Ma che dire di Salvini e di come sta sacrificando l’interesse nazionale (Italy first) che inalbera ovunque? Mercoledì l’ennesima cena a palazzo Chigi, per la quale il premier Giuseppe Conte ha immortalato un vassoio di dolcetti carnevaleschi detti chiacchiere: mancava il distintivo. Preceduto dal solito ultimatum salviniano su Tav e autonomia veneto-lombarda, ha partorito risultati zero.

 

Eppure Salvini sta da tempo giocando su un compromesso, la mini-Tav, con il doppio obiettivo di vincere le regionali in Piemonte (il 26 maggio assieme alle europee) e salvare l’alleanza con Di Maio. Ma è un bluff, e non solo politico. Quel progetto che abbatte i costi per l’Italia da 4,4 miliardi a 1,7, esiste dal 2017: previsto dall’osservatorio per la Torino-Lione dell’ex commissario Paolo Foietta, dal governo allora a guida Pd, e dal Cipe, il comitato per la programmazione economica. La revisione è descritta a pagina 260 del quaderno 10 dell’osservatorio; gli ultimi atti sono del marzo 2018. Si tratta del rinvio ad oltre il 2030 di opere accessorie come la tratta Orbassano-Settimo Torinese, l’adeguamento della linea storica Torino-Alessandria, la rinuncia alla nuova stazione di Susa. Però con il mantenimento del tunnel Italia-Francia da 57 km in sostituzione del traforo del Frejus del 1871, del passante merci di Orbassano (che la revisione propone di attuare con una doppia linea di alta capacità e velocità merci-passeggeri in tunnel sulla collina morenica).

 

Un’altra Tav low cost non esiste, a meno che l’ulteriore arretramento salvinano non riguardi proprio lo scalo merci, cruciale per formare i convogli e strategico per logistica ed export come l’interporto di Verona e il terminal di Milano. Un mero potenziamento della linea esistente, per esempio, comporterebbe secondo un dossier di Rete ferroviaria italiana l’abbattimento di 136 edifici, 106 dei quali residenziali con il trasferimento di 1.300 abitanti. Altro non c’è. Che Di Maio continui a giocare alla decrescita stupisce ormai poche anime belle. Ma Salvini ne è sempre più complice e il rischio per lui non si chiama solo nord.

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