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L'anti sviluppismo sulle trivelle imprigiona Di Maio

Maria Carla Sicilia

Il governo avalla la produzione di idrocarburi e i movimenti traditi del No si rivoltano. Il ministro incolpa i governi precedenti ma poteva intervenire prima

L'ultimo "no" tradito dal M5s, quello alle trivelle, ha sollevato una polemica che non accenna a placarsi dopo le giustificazioni del ministro Luigi Di Maio, che anzi hanno indispettito ancora di più i movimenti NoTriv. Lunedì scorso gli uffici competenti del suo ministero, quello dello Sviluppo economico, hanno pubblicato sul Bollettino ufficiale degli idrocarburi e delle georisorse (Buig) alcuni decreti che autorizzano la società Aleanna a estrarre gas metano dall'entroterra dell'Emilia Romagna e la società Global Med, entrambe americane, a cercare risorse al largo delle coste ioniche. Di Maio ha detto che la responsabilità è del governo precedente che ha firmato la Valutazione di impatto ambientale (Via) e che questi ultimi decreti sono un atto dovuto, che un suo "funzionario" (in realtà un dirigente di lungo corso al Mise, Gilberto Dialuce) si è solo limitato a ratificare perché altrimenti "avrebbe commesso reato".

  

  

Le cose non sono però così semplici e a svelare in parte l'inganno ci ha pensato involontariamente il ministro dell'Ambiente Sergio Costa, cercando di difendere il suo ministero. "Non ho mai firmato autorizzazioni a trivellare il nostro paese e i nostri mari e mai lo farò – ha detto, aggiungendo che – Anche se arrivasse un parere positivo della Commissione Via, non sarebbe automaticamente una autorizzazione". In altre parole: la stessa Via firmata dall'ex ministro Gianluca Galletti non è da considerarsi un atto definitivo. 

  

  

La procedura che si avvia quando una società petrolifera chiede di poter effettuare delle trivellazioni per estrarre petrolio o gas è lunga e complessa. Nel caso di Global Med, che ha chiesto nel 2013 il permesso di esplorare nel mar Ionio, il decreto di conferimento del Mise pubblicato sul Buig non è neppure l'ultimo passaggio, perché non prevede l'estrazione ma solo la ricerca. In mezzo ci sono i permessi rilasciati dopo le verifiche condotte da organismi tecnici, come la Commissione per gli Idrocarburi e le Risorse Minerarie, il parere delle regioni interessate e di diversi ministeri, come quello dei Trasporti se ci sono interferenze con aree portuali o del Turismo per verificare la tutela delle aree interessate, oltre che quello dell'Ambiente, che rilascia la compatibilità ambientale al progetto (Via). Prima di trivellare, inoltre, vengono rilasciate delle autorizzazioni – come quelle di Global Med – che permettono alle compagnie di fare interventi di esplorazione per verificare la presenza di idrocarburi. In questo caso, come in molti altri, le ricerche saranno svolte utilizzando l'airgun, un metodo che il M5s ha in passato contestato insieme agli ambientalisti per le ricadute sull'ecosistema marittimo, nonostante diverse associazioni scientifiche smentiscano tali preoccupazioni. 

   

Il coinvolgimento di diversi soggetti dovrebbe garantire che le opportune verifiche siano tutte effettuate, ma nello stesso tempo frammenta le responsabilità, distribuendole per competenze. A livello amministrativo, insomma, ognuno svolge il suo lavoro, ma è la cornice politica che dà le istruzioni e da quando il governo è in carica non ha ancora dato seguito a un cambio di normativa come promesso ai suoi elettori. Bloccare le trivelle, quelle che ancora devono iniziare i lavori, è possibile, ma per legge. Lo ha fatto l'allora ministro dell'Ambiente Giovanna Prestigiacomo ponendo il veto delle 12 miglia e bloccando così tutti i procedimenti autorizzativi in corso, lo ha rifatto il governo di Matteo Renzi introducendo di nuovo lo stesso vincolo che nel frattempo aveva eliminato Mario Monti, e sospendendo, tra gli altri, il tanto contestato impianto abruzzese di Ombrina Mare. Scegliere di intervenire o di non farlo, insomma, è un atto politico, con cui si può essere d'accordo o meno. Non è certo colpa dei dirigenti che applicano le procedure. Basterebbe però assumersene la responsabilità invece di scaricarla sistematicamente sui governi precedenti, come ha fatto ancora una volta Luigi Di Maio, ripetendo lo stesso copione già visto per Ilva e Tap

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