Per riconquistare i NoTriv il M5s fa il solito pasticcio
Il Mise annuncia un emendamento per "bloccare" le trivelle. Ma l'obiettivo del sottosegretario Crippa è tanto ambizioso quanto impreciso. E il provvedimento rischia di finire in tribunale
L'anima gialla del governo, su cui il mondo ambientalista aveva riposto grandi aspettative, ha non pochi problemi a ricucire gli strappi dopo le ultime contestate decisioni, dalle trivelle al Tap. E quando ci prova finisce col proporre soluzioni goffe e poco credibili. Per rimediare alle recenti autorizzazioni di ricerca ed estrazione di gas in Emilia Romagna e nel mar Ionio, il ministero dello Sviluppo economico ha dato notizia di voler attuare una moratoria per bloccare le trivelle. Ma quanto si legge nel comunicato del Mise, spiegato da Davide Crippa, sottosegretario con delega all’Energia, è tanto ambizioso quanto impreciso.
L'idea è quella di introdurre, attraverso un emendamento al decreto Semplificazioni, un Piano che individui le aree idonee alle attività di ricerca ed estrazione di idrocarburi, che a quanto si comprende dalla nota riguarderebbe le zone marittime. Per fare questo e determinare i confini delle aree interdette, l'emendamento propone di sospendere nel frattempo tutte le attività, comprese quelle in essere. Un bel contentino per placare le polemiche, ma mal formulato: “Con un termine massimo di tre anni, saranno sospesi i permessi di prospezione e di ricerca già rilasciati, nonché i procedimenti per il rilascio di nuovi permessi di prospezione o di ricerca o di coltivazione di idrocarburi – si legge nella nota – Grazie a tale moratoria, sarà impedito il rilascio di circa 36 titoli attualmente pendenti compresi i tre permessi rilasciati nel mar Ionio”.
Anzitutto non si capisce come possano considerarsi “pendenti” i permessi già rilasciati, ma c'è di più: se per i permessi non ancora accordati le regole possono essere cambiate, così che al termine della moratoria non siano mai rilasciati, le concessioni già autorizzate non possono invece essere revocate.
“C'è solo un caso in cui questo è possibile, se non ci sono violazioni delle condizioni stabilite nella concessione – spiega al Foglio Enzo Di Salvatore, costituzionalista e coordinatore del Movimento NoTriv – cioè se si verificano gravi problemi ambientali”. Ma in un'area in cui le attività sono già in corso sarà difficile rilevare questa condizione. Fatto il Piano, le alternative saranno dunque due: o le autorizzazioni già in attività vengono revocate, incorrendo in contenziosi ed eventuali risarcimenti, oppure verranno fatte salve. “Se una volta completato il Piano delle aree si stabilisce che tutti i lavori in essere siano giustamente mantenuti in attività, come sarebbe opportuno per non infrangere la legge, a cosa è servito bloccarli? – domanda Di Salvatore – La norma deve essere proporzionata rispetto all'obiettivo: qual è la finalità della sospensione rispetto ai titoli già rilasciati? Nessuna, pare. E in questo modo sarebbe una norma illogica, irragionevole e per tanto illegittima. Un eventuale provvedimento attuativo della legge, a firma del Mise, potrebbe essere facilmente impugnato dai concessionari al Tar”.
Voler riorganizzare i criteri con cui si rilasciano le autorizzazioni può invece essere legittimo e anche utile. “E' giusto razionalizzare le aree con un Piano”, sostiene Di Salvatore. “Serve a fare chiarezza sia per chi investe sia per chi si oppone ai progetti e può semplificare i procedimenti autorizzativi. In questa logica, dire che serve una moratoria può avere un senso, ma solo sui procedimenti in corso. Aspettiamo il testo dell'emendamento, ma messo così desta tante perplessità”. Se l'intenzione era riacquistare fiducia, l'obiettivo non sembra vicino. Quando si dice che la toppa è peggio del buco.
Divergenze Parallele