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Una manovra tutta Tax e No Jobs

Redazione

Salvini si rimangia la car tax. Ma tra pressione fiscale, disoccupazione, accise che restano e infrastrutture rimandate il governo sta facendo solo macerie

Impegnato a cambiarsi ogni giorno felpa e divisa a beneficio di tweet e selfie, anche stavolta Matteo Salvini si è svegliato in ritardo la mattina dopo “scoprendo” un emendamento alla manovra economica che, la notte prima, la sua stessa maggioranza aveva approvato in commissione Bilancio della Camera, presieduta dal leghista Claudio Borghi. Emendamento che attua un gigantesco trasferimento di tasse e risorse a danno di chi compra un’auto a trazione tradizionale, diesel e benzina, e a beneficio di chi può permettersi un modello elettrico o ibrido. Attualmente lo 0,2 per cento del totale. Il Capitano, ovvio, garantisce che lui è in prima linea contro le tasse, che la norma verrà cancellata al Senato, e già che c’è ricorda “l’abolizione di tutte le accise” (che poi sono tasse che colpiscono davvero il consumo dei carburanti, ovvero rispettano il principio del chi inquina di più paga di più, ma almeno è “equo”). La promessa delle accise è comunque differita di un anno, sperando che non faccia la fine della flat tax, evaporata. Salvini scarica come sempre questa nuova trovata sugli alleati a 5 stelle, che non essendo costretti a smentire se stessi ci mettono del loro.

  

Luigi Di Maio ci ricorda di essere eletto a Pomigliano, “e quindi ricevo continue telefonate e dossier”, annunciando per la gioia di tutti l’apertura di un tavolo sul futuro dell’auto. La sottosegretaria all’Economia, Laura Castelli, ha meno pruderie: “La misura è nel contratto”. Magari, nonostante la messe di dossier, Di Maio ignora che a Pomigliano, come in tutti gli stabilimenti italiani, non si produce per ora nessuna auto ibrida e tantomeno elettrica. Egualmente come bi-ministro dello Sviluppo e del Lavoro non sa che in Germania, maggior produttore europeo di automobili, gli incentivi varati due anni fa dal governo per promuovere i motori non inquinanti (e che come in altri paesi europei non prevedono tasse per quelli tradizionali) sono sostanzialmente falliti: nell’incertezza i consumatori hanno rinviato gli acquisti, il che è tra le cause del calo del pil tedesco nel terzo trimestre 2018. Ora la Germania, come la Spagna e la Francia, pensa di riversare le risorse in un fondo per la rottamazione dei vecchi diesel.

  

Insomma, mentre certamente la riconversione ecologica delle auto è un problema globale, da ieri è un caso unico al mondo che la maggioranza italiana del cambiamento intende affrontare questo problema con un emendamento notturno. Emendamento peraltro a firma di un deputato della Lega, Lorenzo Viviani. Il che richiama appunto in causa Salvini. Colui che tra i due firmatari del contratto doveva garantire la parte produttiva, operosa, pro investimenti e infrastrutture, rispetto all’alleato assistenziale e, diciamo così, fantasioso. Senza contare che il potenziale inasprimento fiscale per le banche in legge di Bilancio motiva Moody’s a tenere l’outlook negativo sul sistema bancario. Ogni giorno che passa Salvini tradisce in modo evidente non solo la propria base elettorale ma il mandato a governare il secondo paese industriale d’Europa e il sesto del G7. E questo accade dalla Tav (sulla quale i 5 stelle gli stanno ora facendo passare sotto il naso una sorta di dilazione-cancellazione) al lavoro alle tasse. A luglio, quando Di Maio ideò il blitz del decreto dignità, Salvini minimizzò: “E’ solo un inizio, se c’è qualcosa che non va lo correggeremo”. Il risultato è il ritorno della disoccupazione ben oltre il 10 per cento (non solo per colpa del decreto, ma in buona parte sì), e oggi la previsione di Federmeccanica che un contratto a termine su 3 non verrà rinnovato né diverrà un posto fisso. Eppure il presidente dell’Inps Tito Boeri aveva previsto la perdita di almeno 80 mila posti di lavoro in dieci anni: e chi è stato a invitare Boeri a fare le valigie “e candidarsi nel Pd”? Salvini, tutto intento ad attaccarlo per aver rivelato che il suo manifesto elettorale, le pensioni a quota 100, costeranno molto ai pochi che le prenderanno. Ma il vero bluff salviniano è un altro.

  

Aveva promesso la flat tax sull’Irpef, la pace fiscale, il “taglio di imposte e accise dei governi precedenti”. Basta però leggersi pochi numeri della manovra, anche in versione ridotta, trasmessa al Parlamento. Costa 36,7 miliardi; le coperture vengono per 21,7 miliardi dal maggior deficit e per 15 da “altre risorse”. Quali? Tagli di incentivi alla produzione (come per Industria 4.0), riduzione di bonus di produttività (come per i contratti aziendali), minori premi alle assunzioni, aggravi e redistribuzioni di reddito tipo le pensioni d’oro. Dunque quei 15 miliardi andranno in gran parte ad aumentare la pressione fiscale: ora al 43,2 per cento ma così destinata a tornare oltre 44. Il che lungi dall’agire in modo anticiclico, cioè per scongiurare stagnazione e recessione, produrrà più stagnazione e il ritorno alla recessione. Dalla flat tax alla car tax. Dal Jobs Act al No Jobs. Dal pil positivo al pil negativo. Dei 5 stelle e di Di Maio sapevamo (quasi) tutto. Per definire la Lega by Salvini basterebbe forse l’immortale “solo chiacchiere e distintivo”: ma non si finisce mai di imparare cose nuove.