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Perché anche l'ultima versione dell'ecotassa è un pasticcio

Antonio Sileo

Il M5s ha rischiato di colpire la Panda a favore delle auto elettriche e ora se la prende con quelle di “lusso”. Non si era mai visto un incentivo respinto dai produttori che minaccia un’industria chiave

Luigi Di Maio, ministro per lo Sviluppo economico, dopo avere percorso ad agosto la Sicilia bordo di pulmini elettrici, insieme ad Alessandro Di Battista, lo aveva già detto a fine settembre: “Uno degli obiettivi che ci siamo dati è quello di creare un milione di auto elettriche entro il 2020. E per farlo abbiamo bisogno di qualche centinaio di milioni di euro […]”. Numeri e parole grosse: le auto elettriche nell’intero pianeta sono molte meno di 2 milioni, in Italia non molte più di 10 mila, con quel divino ricorso al creare, che probabilmente può essere interpretato nel senso di permetterne la circolazione, più che produrne. Anche se non può essere esclusa l’ambizione di un’iniziativa di politica industriale. Materia, di cui, il giovane capo politico del M5s, oggi – chi l’avrebbe detto quando, non molti anni fa, frequentava l’università – sarebbe pure ministro.

  

Il tema, legato al principio comunitario del “chi inquina paga”, ha poi ha trovato spazio nel contratto di governo (cosa in verità non difficile su 58 pagine) ma è restato in quiescenza fino a quando nel travagliato iter della legge di Bilancio, a sorpresa – e nottetempo –, è stato approvato un emendamento del governo che introduce incentivi e disincentivi all’acquisto di nuove auto sulla base delle emissioni di anidride carbonica (CO2).

  

La misura, subito ribattezzata “ecotassa”, ha suscitato una ridda di reazioni negative e messo in luce una nuova crepa tra le due forze di governo. E’ stato immediatamente convocato un tavolo con le parti sociali. Il provvedimento nella sua versione iniziale introduceva un’imposta modulata sui grammi di CO2 emessi, da pagare per ogni autovettura di nuova omologazione. Un malus che andava da 150 fino a 3 mila euro. Il gettito atteso era di almeno 300 milioni di euro che avrebbe finanziato un bonus riconosciuto a chiunque – aziende incluse – avesse acquistato un’auto con emissioni di CO2 particolarmente basse, a partire da 70 g di CO2 emessi per km, con importi che andavano 1.500 euro fino a 6.000 passando per 4.000. Non vi era alcun limite di prezzo delle vetture per l’erogazione del bonus. Ci si trovava così all’iniquo paradosso che una piccola Toyota Yaris ibrida non avrebbe preso nulla, mentre chi avesse acquistato un enorme Suv elettrico prodotto in California da più di 160 mila euro o una spettacolare Porsche ibrida plug-in da 200 mila, e capace di arrivare a 310 km/h, avrebbe beneficiato rispettivamente di 6 mila e 3 mila euro. Senza contare che chi avesse acquistato la nostra mitica Panda – di gran lunga l’auto più venduta in Italia – avrebbe pagato ben 300 euro. Anche il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, possiede una Panda, terza serie, grigio chiaro.

  

Sulla Panda una menzione speciale la merita la sempre invidiata sottosegretaria Laura Castelli, che in radio di fronte al problema che il malus avesse colpito le utilitarie, sprezzante e con poche incertezze, ha detto che se la Panda 1.2 sarebbe costata troppo si poteva sempre ripiegare sulla Panda 1.000. Peccato che quest’ultima, come implacabilmente si è letto sui social, non fosse più in vendita dal 1992. Un discreto casino, insomma, quello prodotto dalla cosiddetta “ecotassa”.

  

Proprio ieri è circolata una nuova, probabilmente definitiva, versione del bonus/malus, contenuta nell’emendamento al disegno di legge di Bilancio presentato dai relatori in commissione Bilancio al Senato. La misura ridotta di molto nel gettito, da 300 milioni si è passati a 60 milioni, ha ampliato di molto le intenzioni, con conseguenti complicazioni che raramente si sposano con l’efficacia. Le fasce che avrebbero diritto al bonus si ridurrebbero a due: da 0 a 20 grammi di CO2 per km e da 21 a 70, con rispettivamente 6.000 e 2.500 euro in caso di rottamazione di veicoli da Euro 0 a Euro 4, oppure 4.000 e 1.500 euro senza rottamazione. Le vetture penalizzate invece saranno quelle con emissioni di CO2 superiori ai 160 grammi per km: da 161 a 175 grammi si pagherà 1.100 euro, da 176 a 200 grammi 1.600 euro, da 201 a 250 grammi 2.000 euro, oltre i 250 grammi 2.500 euro. Sempre con i 60 milioni verranno finanziate detrazioni fiscali per chi installa colonnine per la ricarica (anche se vista la potenza indicata sarebbe più corretto parlare di ricariche domestiche). Sono previste anche incentivi per ciclomotori elettrici e ibridi pari al 30 per cento del prezzo di acquisto fino a un massimo di 3.000 euro, in caso di rottamazione di mezzi da Euro 0 a Euro 2.

   

La strade lastricate di buone intenzioni, come quelle di Roma, si sa, sono piene di buche, forse un po’ meno di quelle di Roma. Non si era infatti mai visto che un incentivo non fosse apprezzato dalle case produttrici, Fiat-Chrysler in testa. Nella prima versione, infatti, i soggetti che avrebbero pagato sarebbero stati molti di più dei percettori del bonus. Quasi commovente il tentativo del sottosegretario al ministero delle Infrastrutture e Trasporti, Michele Dell’Orco, di trasformare l’ “ecotassa” in “ecosconto”, roba da neolingua, anche perché lo sconto di stato mai si è visto nemmeno nella Ddr, anche in assenza di mercato. 

   

Le critiche che si possono fare alle misura – anche dopo i correttivi – restano molte a cominciare dall’applicazione del principio "chi inquina paga". I grammi di CO2/km, infatti, sono solo un altro modo per esprimere i litri di carburante consumati: più si consumano carburanti fossili più anidride carbonica si emette. Tali emissioni, tuttavia, dipendono comunque da quanti km si percorrono (e dallo stile di guida, ma traffico e limiti valgono per tutti). Facciamo un esempio. La più venduta (e più economica) delle auto ibride, la Toyota Yaris di prima, che non prenderebbe alcun bonus, può essere paragonata con un’ibrida plug-in con emissioni prossime ai 70 g di CO2/km, che invece avrebbe 3.000 euro di sconto: se la prima fosse utilizzata per 15 mila km all’anno e la seconda per 21 mila, la Yaris comunque emetterebbe meno CO2. Anche una Ferrari 488 GTB, che a prescindere dall’uso già paga più di 6 mila euro di superbollo, emetterebbe più CO2 delle ibride di cui sopra solo nel caso in cui percorresse più di 5.500 km all'anno.

  

Ecco, già che ci siamo, la misura si ispira non poco al bonus-malus écologique francesce, innesco della protesta dei “gilet gialli”. In Francia, dove non se la ridono, il bollo però non si paga affatto. Continuare a dare addosso a chi compra i “macchinoni”, a prescindere da quanto effettivamente li usa, è certamente meno impopolare che tartassare la Panda, ma che sia una mossa equa ed efficace è tutt’altro discorso.

A proposito di efficacia, la misura dovrebbe entrare in vigore da marzo. Oltre al casino creato in questi giorni, c’è da scommettere che chi dovrà comprare una auto elettrica (e con quello che costa difficilmente avrà una caccavella da rottamare) aspetterà fiducioso, mentre chi potrà correrà a comprare auto sopra i 160 g/km, una macchina grande ma non necessariamente un “macchinone”, che probabilmente nei mesi a seguire avranno anche un boom di acquisti a km zero.

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