L'Italia rifà il dito medio alla crescita
La tempesta è cominciata. Un indice cruciale (Pmi) certifica il ritorno dell’Italia con il segno meno. La manovra del cambiamento in peggio alimenta la recessione e ci ricorda che la Lega non è diversa da quella che nel 2011 mise ko il nostro paese
L’emissione del primo Btp del governo gialloverde che in termini di sottoscrizioni fa registrare una performance negativa come non si vedeva dai tempi della crisi del 2012. Il rendimento dei titoli di stato a tre anni che raggiungono rendimenti che non si toccavano dalla crisi del 2011. L’indice generale del fatturato dei servizi che per la prima volta dal 2014 registra una variazione congiunturale nulla. L’indice del clima di fiducia dei consumatori che durante i sei mesi del governo gialloverde cala per il quinto mese consecutivo. La produzione industriale che per la prima volta dal 2016 inizia a calare. I centomila posti di lavoro bruciati tra luglio e agosto rispetto al 2017. Il trimestre con crescita zero dopo tre anni di crescita ininterrotta. La ricchezza finanziaria delle famiglie diminuita di 145 miliardi di euro rispetto allo scorso anno. Una crescita dei consumi prevista per il 2018 ai minimi dal 2014.
Probabilmente lo avrete capito già da soli: non sappiamo ancora che effetto avrà la manovra sull’economia italiana, anche se un sospetto ce lo abbiamo, ma sappiamo invece che l’effetto avuto dal governo del cambiamento sul nostro presente è quello di aver riportato velocemente le lancette del paese indietro nel tempo. Per anni l’Italia, seppure a fatica, seppure non a sufficienza, ha potuto esibire un segno più sulle esportazioni, sul lavoro, sull’occupazione, sulla produzione industriale, sui consumi, sulla crescita.
Oggi, per ragioni non solo esterne, il segno meno sta tornando a essere la cifra dell’Italia e il tratto distintivo del governo populista. E la tempesta perfetta immaginata da molti come una minaccia lontana nel tempo potrebbe essere già sopra le nostre teste, come testimonia un grafico che da qualche giorno ha cominciato a girare tra le caselle di posta elettronica dei principali fondi di investimento stranieri e che fotografa un indice importante. L’indice si chiama Purchasing Managers Index (Pmi). Registra l’attività manifatturiera di un paese e riflette, tra nuovi ordini, consegne e scorte, il totale degli acquisti effettuati dalle aziende.
Tradizionalmente il Purchasing Managers Index è uno degli indicatori che in modo più affidabile permettono di anticipare l’andamento futuro dell’economia. E se le previsioni fatte da una società inglese (Ihs Markit) che ogni mese misura questo indice sono giuste (il numero di aziende che prevede nei prossimi mesi un aumento della propria attività economica è in calo del 36 per cento rispetto all’ultima rilevazione con un pessimismo che non si vedeva dal giugno del 2013) i problemi per l’Italia non sono soltanto a livello potenziale: sono già cominciati.
A ottobre, l’indice Pmi è sceso al livello più basso mai registrato dall’Italia dal 2014 a oggi, 49,2 punti dai cinquanta punti di settembre, ed essere scesi sotto i cinquanta punti è un segnale pessimo per il futuro di un paese. Quota cinquanta è infatti la soglia di demarcazione tra l’espansione e la contrazione di un ciclo economico e il fatto che per la prima volta dal 2016 l’indice sia sceso sotto questa quota indica uno scenario da incubo: la crescita esplosiva dell’Italia nel 2019, immaginata dal governo populista, è una chimera perché proprio grazie al governo del cambiamento l’Italia probabilmente è a un passo dalla recessione. “A causa della forte riduzione dei nuovi ordini – scrive Ihs Markit – peggiorano ad ottobre le condizioni operative del settore manifatturiero. In aggiunta al crollo dei nuovi ordini, anche le esportazioni si sono spostate in territorio negativo”.
I dati che suggeriscono l’entrata dell’Italia in un terreno economico caratterizzato dal segno meno sono quelli che certificano meglio di ogni possibile procedura di infrazione la ragione per cui la manovra escogitata dal governo del cambiamento non è soltanto sbagliata, ma è prima di tutto pericolosa. È pericolosa perché buona parte delle difficoltà vissute oggi dall’Italia – instabilità, perdita di credibilità, posti di lavoro in fumo, capitali all’estero, investimenti bloccati – sono state generate da una crisi economica autoindotta dalla politica. Ma è pericolosa anche perché la legge di Stabilità che verrà votata in Parlamento lunedì prossimo è costruita per redistribuire una torta che tra qualche mese non ci sarà più.
Prima ancora che per le pazzie sul deficit, il vero dramma della legge di stabilità, al netto di ogni polemica ideologica, è dunque questo: la manovra del cambiamento non presentando alcun tipo di provvedimento finalizzato a stimolare la crescita – no creazione posti di lavoro, no sostegno alle imprese, no sgravi per le assunzioni, no investimenti, no diminuzione della pressione fiscale – la recessione piuttosto che combatterla alla fine rischia di alimentarla.
L’Italia gialloverde è riuscita a portare ogni giorno le lancette del nostro paese qualche anno indietro. E più le lancette torneranno indietro, più la realtà si presenterà nuda di fronte agli occhi degli elettori, più si perderà tempo con questo governo e più sarà facile ricordarsi che la “responsabile” Lega che si trova oggi a Palazzo Chigi non è così diversa da quella che nel 2011, mostrando in canottiera il dito medio all’Europa quando si parlava di pensioni, portò il paese a un passo dalla Grecia. Il governo del cambiamento esiste. Ma il cambiamento finora è stato solo in una direzione: in peggio, e con il segno meno. E il peggio, purtroppo per l’Italia, forse deve ancora venire. Auguri.
tra debito e crescita