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Così la trattativa su Ilva va indietro, invece di andare avanti

Maria Carla Sicilia

Tutto fermo, di nuovo, intorno alle garanzie occupazionali. Di Maio aspetta una nuova offerta da ArceloMittal che accolga le richieste dei sindacati 

Doveva essere secondo i sindacati l'incontro risolutivo, e invece la travagliata trattativa su Ilva si è bloccata, di nuovo, sul nodo occupazionale. La riunione al Mise con ArcelorMittal e il ministro dello Sviluppo economico Luigi Di Maio, si è conclusa senza nessun passo avanti. "Spero di potere riconvocare il tavolo in questa settimana se arriverà un'offerta migliorativa sull'occupazione da parte di ArcelorMittal – ha detto Di Maio – altrimenti non ha senso rivederci". 

   

ArcelorMittal aveva già accolto alcuni dei desiderata del nuovo governo nell'aggiornamento del piano svelato lunedì scorso ai rappresentanti di sessantadue sigle, invitati al tavolo da Di Maio. Le aperture dell'azienda riguardavano però l'aspetto ambientale, con la stretta sui tempi di alcuni interventi e la possibilità di sperimentare il gas come combustibile, invece del carbone. Nessun accenno all'occupazione, su cui i sindacati si aspettavano oggi una presa di posizione da parte del ministro. "Il governo – ha detto Francesca Re David della Fiom-Cgil – deve dare risposte sull'occupazione e i diritti dei lavoratori dell'Ilva. Noi ci aspettiamo quello che avevamo detto dal primo momento: non si può pensare che a conclusione della trattativa ci sia anche un solo licenziamento". 

    

Ora districarsi dall'impasse appare ancora più difficile, con la trattativa che sembra essere tornata indietro di mesi, al momento in cui i sindacati hanno interrotto il tavolo con Carlo Calenda, confidando nelle capacità del nuovo governo che pare per ora non essere riuscito a fare di meglio. Era maggio quando Calenda, intervenendo a mediare le richieste delle parti sociali e quelle dell'azienda, aveva proposto un accordo che garantiva l'occupazione per tutti i 14 mila lavoratori: gli esuberi, circa 4 mila, sarebbero stati assorbiti in parte (1.500) in una newco gestita da Invitalia, l’agenzia per gli investimenti di proprietà dello stesso ministero, e in parte (2.300) nella vecchia Ilva a gestione commissariale, per poi essere spinti verso un esodo incentivato finanziato con 100 mila euro e 5 anni di cassa integrazione per ogni operaio. Garanzie ritenute insufficienti e soprattutto, dicevano i sindacati, avanzate da un "ministro illegittimo", prossimo al passaggio di consegne con il nuovo responsabile di via XX Settembre. Secondo Marco Bentivogli della Fim-Cisl, la trattativa è ripartita da garanzie inferiori a quelle indicate a maggio: "Mentre Di Maio verifica se annullare la gara, fa ripartire la trattativa su condizioni di partenza più arretrate rispetto al governo precedente. Se il ministro vuole fare meglio del suo predecessore, siamo tutti contenti ma lo dimostri nel merito perchè accanto agli annunci stiamo andando indietro". 

         

In attesa di un segnale da parte di ArcelorMittal, a cui Di Maio ha consegnato la palla, le parti restano ferme sulla contrattazione. Nel frattempo va avanti la verifica sulla procedura di aggiudicazione dell'acciaieria richiesta da Di Maio, su cui il ministro ha detto di voler chiedere un parere all'Avvocatura dello stato da cui si aspetta un esito intorno alla metà del mese. Con una cautela maggiore del solito, oggi Di Maio ha commentato: "Anche se si riscontrassero irregolarità non è detto che ci siano i presupposti per annullare la gara. Senza il consenso di AmInvestco qualsiasi azione amministrativa che annulla il contratto è ricorribile al Tar". Messa così, sembra che il futuro di Taranto non dipenda più dal governo, ma da Arcelor, che dopo una trattativa durata oltre un anno e una prima proroga per prendere possesso degli stabilimenti, aspetta ancora di poter mettere piede nell'acciaieria.

 

 

     

  

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