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La marijuana vola in Borsa

Maurizio Stefanini

Mentre la siderurgia canadese è a rischio l'erba di Toronto sbarca al Nasdaq battendo sul tempo i produttori americani

Primo esportatore di acciaio negli Stati Uniti, il Canada potrebbe essere la principale vittima dei dazi voluti da Trump sull’acciaio. Più ancora di Cina, Corea del Sud o Unione Europea. Ma se la siderurgia canadese è a rischio, la marijuana va invece a gonfie vele, e sbarca al Nasdaq battendo sul tempo i produttori americani. Il 27 febbraio neanche il neo-protezionismo di moda alla Casa Bianca ha avuto obiezioni sul fatto che la canadese Cronos Group fosse la prima produttrice di cannabis a quotarsi in Borsa, proprio a New York. Non in realtà a Wall Street, ma appunto a quell’altra Borsa elettronica famosa per aver lanciato alcuni tra i più importanti titoli a contenuto tecnologico. Anche se in realtà non c’è una esclusiva, sul Nasdaq finiscono comunque società ad alta dinamicità, e questa è appunto una caratteristica di Cronos Group. Già quotata alla Borsa di Toronto e valutata 1530 milioni di dollari, da quando è stata creata nel gennaio del 2015 si è apprezzata di ben il 1400 per cento. E subito dopo l’apparizione nel listino del Nasdaq nella prima settimana ha guadagnato il 20 per cento a New York e un altro 37 per cento a Toronto, arrivando a quota 1,9 miliardi.

   

Il decollo delle quotazioni a Toronto era iniziato a metà del 2016, ma il boom è stato dallo scorso novembre. Il bello è che Cronos Group arriva negli Stati Uniti come società quotata in Borsa prima ancora di sbarcare con i suoi prodotti. Anzi, nella nota con cui si è presentata ai risparmiatori statunitensi la prima cosa che ha avuto cura di spiegare è stata che “la società non è coinvolta in nessun tipo di attività connessa alla marijuana all’interno del territorio degli Stati Uniti”. Attualmente infatti il suo principale mercato è la Germania, dove vende prodotti a base di canapa indiana essenzialmente a scopo medicinale. La produzione è invece in Canada, ma si sta espandendo in Australia e in Israele, e punterebbe a impiantarsi anche negli Stati Uniti. In attesa però che il quadro legale si stabilizzi. Al momento la canapa indiana è autorizzata a fini “ricreativi” in nove dei 50 Stati Uniti e a fini medici in altri 29. In Canada la legalizzazione a fini ricreativi partirà su tutto il territorio nazionale dal prossimo primo luglio. Alla Borsa di Toronto oltre a Cronos Group a aspettare spasmodicamente questa data è Canopy Growth, altra major della cannabis ben piazzata: l’anno scorso Constellation Brands – lo stesso gruppo che controlla la Corona: la famosa birra messicana da bere alla bottiglia con una fettina di limone infilata nel collo – ha speso 190 milioni di dollari per partecipare al suo capitale.

   

Secondo uno studio a firma degli analisti della banca Cowen & Co, il mercato mondiale della marijuana legale era di 6 miliardi di dollari nel 2016, ma potrebbe arrivare nel 2026 a 50 miliardi. Dipenderà da come un po’ di questioni legali saranno chiarite. Il primo paese a fare una legge per legalizzare la produzione, distribuzione e consumo di cannabis a uso ricreativo è stato l’Uruguay nel 2013, ma solo nel 2017 è arrivata effettivamente l’autorizzazione a 16 farmacie per vendere ai 5.000 consumatori registrati. Ma i proprietari hanno avuto problemi finanziari per via delle normative internazionali contro il narcotraffico, che hanno obbligato le banche a chiudere i loro conti. Così quattro farmacie si sono tirate indietro e ne sono rimaste solo 12, anche se la lista dei consumatori registrati è salita a 18.961 persone.

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