Beppe Grillo e Luigi Di Maio (foto LaPresse)

Dalio scommette contro l'Italia perché crede nel populismo ciclico

Alberto Brambilla

Per il guru del fondo hedge Bridgewater siamo al "Kali Yuga" della politica. Ma sottovaluta che il clima economico volge al bello

Roma. Giovedì l’agenzia Bloomberg ha rivelato che il fondo speculativo americano Bridgewater ha aumentato le posizioni ribassiste sull’Italia attraverso vendite allo scoperto delle azioni di diciotto grandi società quotate in Borsa in vista delle caotiche elezioni del 4 marzo. Da ottobre scorso il fondo speculativo fondato e gestito da Ray Dalio ha triplicato le sue posizioni corte da 1,1 a 3 miliardi di dollari. Tra i titoli oggetto di vendite allo scoperto ci sono le principali banche Intesa Sanpaolo e Unicredit, le Assicurazioni Generali, le società energetiche, Enel, Eni, Terna e Snam, e il colosso delle infrastrutture stradali e aeroportuali Atlantia, più altre.

 

La postura di Dalio rispetto al risultato elettorale è contraria agli auspici di influenti giornali stranieri dal Wall Street Journal al Financial Times passando per il New York Times che invocano come soluzione migliore una grande coalizione tra centrodestra e centrosinistra e riconoscono in Silvio Berlusconi l’unico argine ai partiti populisti-sovranisti Movimento 5 Stelle e Lega di Matteo Salvini.

 

Quella di Dalio è una scommessa contraria rispetto all’andamento di Piazza Affari che nel mese di gennaio è salita del 7,5 per cento, dopo un rialzo del 22 per cento nell’intero 2017, una delle migliori performance tra i listini europei. Rispecchiando l’umore degli investitori verso l’Italia, il Wsj ritiene improbabile che i partiti estremisti raccolgano un numero sufficiente di voti per governare.

 

Dalio è tra le cento persone più ricche al mondo secondo la classifica Forbes (patrimonio da 10 miliardi di dollari) e coltiva la convinzione che l’ascesa del populismo sia un fenomeno che emerge ciclicamente con virulenza, come pandemie, depressioni e guerre, spinto dal malcontento dell’uomo comune per la sua condizione economica e dal senso di rivalsa verso l’establishment.

 

Un rapporto di Bridgewater del 22 marzo 2017 dal titolo “Populismo: il fenomeno” dice che l’ultima volta che l’umanità ha sperimentato l’eruzione del populismo è stata a cavallo tra gli anni Venti e Trenta quando “la maggior parte dei paesi è diventato populista”, brodo di coltura del caos bellico. Anche se l’ideologia populista oggi è “molto meno estrema” in comparazione con i nazionalsocialismi europei, la quota di preferenze accordata a partiti populisti o anti-establishment a cavallo tra le due guerre mondiali e quella odierna è simile, dice il report. L’intuizione che Dalio persegue con convinzione deriva da una visione ciclica della storia.

 

Una visione che nel mondo classico è stata presentata come la progressiva decadenza dell’umanità dall’età dell’oro a ciò che Esiodo chiamò l’età del ferro. Nel corrispondente induista, l’età finale è il “Kali Yuga”, un’età oscura governata dalla dea Kali. Ovvero una fase di dissoluzione nella quale le forze individuali e collettive, precedentemente tenute sotto controllo, passano in un stato di libertà e di caos. In modo analogo, la teoria dell’anaciclosi dello storico greco Polibio spiega che alla degenerazione della democrazia segue il caotico predominio delle masse, l’oclocrazia. Per ripristinare l’ordine e ricominciare è necessaria una fase di tirannia, illuminata o no. Dalio è rispettato per avere previsto la crisi finanziaria in anticipo. Tuttavia era stato criticato dalla newsletter per investitori danarosi Grant Interest Rate Observer per essersi concentrato troppo su libri, interviste, Ted Talks a scapito della dedizione agli affari. In realtà il fondo dell’eccentrico Dalio sta dando soddisfazione ai clienti. Ma nel caso dell’Italia la scommessa, pur non solitaria tra gli hedge fund, va contro la realtà: crescita più rapida dal 2011, fiducia di famiglie e imprese al top dal 2000, e disoccupazione calante suggeriscono che l’oscurità si sta disperdendo, come il carburante del populismo.

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  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.