Il presidente del Consiglio Matteo Renzi (foto LaPresse)

La galleria dei “poteri fortini” resistenti e insidiosi per Renzi

Ugo Bertone
Sulla strada delle riforme non ci sono più, forse, i vecchi poteri forti. Ma una palude popolata da poteri “fortini”, non meno insidiosi e spesso più velenosi. Gli esempi non mancano.

Milano. Guai a cantare vittoria troppo presto, caro Renzi. Sulla strada delle riforme non ci sono più, forse, i vecchi poteri forti. Ma una palude popolata da poteri “fortini”, non meno insidiosi e spesso più velenosi. Gli esempi non mancano. Non si è ancora spenta l’eco delle parole del premier in Piazza Affari, pieno d’orgoglio per aver realizzato la riforma delle Popolari spa “che Ciampi e Draghi già annunciavano nel ’98 ma solo noi abbiamo fatto”, ed ecco la doccia fredda in arrivo dalla Lombardia: la giunta dovrà far ricorso alla Corte costituzionale contro la legge su richiesta del consiglio di una delle regioni che conta più istituti della categoria. All’origine dell’iniziativa un esponente della lista “Maroni presidente”, il consigliere Antonio Saggese, che evoca uno scenario da incubo nel caso s’aprano “agli stranieri” le porte di aziende quotate: “Una contrazione del pil di tre punti percentuali, una perdita di 80 miliardi di euro di crediti di cui 25 in meno alle famiglie e 55 alle imprese e circa 20mila esuberi”.

 

Il siluro forse non andrà a bersaglio. O, forse, sarà una nuova bomba a orologeria pronta a scoppiare sulla strada del governo. In attesa che si precisi l’effetto dell’ultimo botto in materia di governance: la decisione della procura milanese di indagare i membri del board di Ei Towers dopo il lancio dell’Opas su Rai Way per aggiottaggio. Eppure, a giudizio unanime delle banche d’affari, “l’operazione Torri” aveva – ed ha – un senso industriale. Di questo passo, attenti d’ora in poi a lanciare un’offerta che possa disturbare qualche “fortino” ben presidiato. Insomma, non è che sulla strada delle riforme incomba l’ombra di un nuovo Cuccia a difesa degli equilibri esistenti. Ma la via da percorrere è in salita. Né, per saltare almeno qualche ostacolo, si può bussare alla porta di Bruxelles. Anche qui gli inciampi non mancano, come dimostrano le difficoltà incontrate nella “battaglia delle battaglie” cioè l’istituzione di una “bad bank” in cui riciclare una parte dei 350 miliardi di sofferenze e incagli accumulati dalle banche dall’inizio della crisi. Senza rimuovere l’ostacolo, nonostante l’ossigeno del Quantitative easing, inutile sperare che la locomotiva del credito possa ripartire. Eppure l’atteso via libera tarda da mesi, nonostante il prodigarsi del ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan e dello stesso Renzi. Di chi la colpa? Una traccia l’ha fornita il premier, sempre nell’incontro in Borsa. “Tanti italiani che lavorano nelle strutture internazionali, specie a livello medio – ha detto – si sono convinti che a parlar male dell’Italia si fa carriera”.

 

[**Video_box_2**]A chi si riferiva? Il sospetto è che, tra gli altri, il bersaglio sia Andrea Enria, che pure non è un funzionario di media taglia bensì un eurocrate che, nella sua veste di presidente dell’Autorità bancaria europea non ha certo agevolato l’esame delle banche italiane al momento dello stress test. Né si è speso per individuare criteri, pur nel rispetto delle regole, meno penalizzanti per il risanamento del Monte Paschi. Eppure, come dimostra il rialzo in Borsa dei titoli della banca senese dopo l’anticipazione del premier, il varo della “bad bank” e il decollo dell’aumento di capitale dell’istituto di Siena sono collegati come fratelli siamesi. Di qui il nervosismo per le difficoltà opposte in sede comunitaria: la “bad bank”, per aver successo, ha bisogno di finanziarsi sul mercato ma con garanzia pubblica. Di qui l’accusa di aiuto di stato e di riflesso la richiesta che le obbligazioni emesse per finanziare il veicolo abbiano un rendimento almeno dell’otto per cento. Livelli quasi da usura, che fanno arrabbiare se si pensa che Madrid, a suo tempo, ha varato la “bad bank” in tempi ben più rapidi. Forse, sospetta Palazzo Chigi, perché la squadra iberica a Bruxelles ha antenne più sensibili alle esigenze del proprio paese. Per fortuna l’ultimo siluro, cioè le delucidazioni chieste dalla Ue sulle Deferred tax asset (ovvero le imposte differite computate come capitale nei bilanci bancari), tocca l’Italia e la Spagna. D’ora in poi si cambia, ha ruggito Renzi. Tra le nostre missioni c’è anche quella di dar spazio a una nuova leva di funzionari. Ma per farlo occorre smontare tanti poteri “fortini”.

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