Fausto Bertinotti (foto LaPresse)

Bertinotti ci spiega perché il Pd può stare solo a guardare

David Allegranti

“Lega e M5s? Sono due forze concorrenziali, non possono governare”. “Il governo di tutti? ha una sua forza”

Roma. “Il voto del 4 marzo è la manifestazione di una rivolta”, dice al Foglio il presidente Fausto Bertinotti, già segretario di Rifondazione Comunista. “E la rivolta quasi sempre ha a che fare con un ciclo che si chiude. Un altro si apre, con l’irrompere sulla scena degli invisibili che diventano visibili. Quasi un ossimoro della democrazia rappresentativa, perché la rivolta piega il voto al senso della rivolta, rendendo meno significative le funzioni tradizionali, come gli equilibri fra le forze politiche. E’ una crisi di sistema, di consenso delle élite ed è una crisi acutissima della democrazia rappresentativa in tutta Europa. L’Italia è una provincia di questa crisi. Una citazione di Antonio Gramsci, molto usata ma non per questo meno significativa, dice così: ‘Il vecchio mondo sta morendo. Quello nuovo tarda a comparire. E in questo chiaroscuro nascono i mostri’”. Ora, “mostri”, aggiunge Bertinotti, “qui non va inteso in senso orripilante. Non è un disvalore, è un elemento descrittivo. Significa che nascono figure che per la loro natura politica sono largamente indecifrabili. Intanto abbiamo visto in azione la pars destruens, ma non sappiamo quale sarà la pars costruens. E la pars destruens ha colpito ciò che restava della tradizione politica o politica tradizionale, compresi il residuo dell’alternanza fra centrodestra e centrosinistra e il residuo della governabilità. Tutto affossato. E da questo affossamento emergono due forze il cui linguaggio politico è assimilabile alla categoria – non spregiativa e sicuramente imprecisa – del populismo, nella forma precisa che ha preso in Europa, cioè il conflitto fra basso e alto. Con quest’ultimo ciclo sono caduti in rovina il maggioritario e il primato della governabilità. E ora, con la sostanziale uscita di scena della centralità del parlamento, si produce il massimo dell’instabilità. L’ultima picconata viene dallo scontro fra basso e alto”. Scontro che ha preso il posto, dice Bertinotti, di categorie politiche tradizionali, oggi superate dal corso della storia.

 

A proposito di mostri. C’è chi dice che Pd e Cinque stelle  si dovrebbero alleare. Che ne pensa? “Guardi, io penso che andremo rapidamente a nuove elezioni. Non vedo formazioni di governo che possano avere l’ambizione di governare il paese per un periodo congruo. Partiamo dagli sconfitti… Essendo io un esperto. Gli sconfitti non possono che stare immobili; il Pd può scegliere l’immobilità o subirla, ma tertium non datur. Avendo subito una sconfitta così lacerante, che non è solo politica, qualunque movimento è impossibile, sia dal punto di vista tattico sia dal punto di vista strategico. Ho letto di recente le parole di una dirigente del Pci, che ha detto: ‘Dopo la sconfitta del 1948, ci siamo messi l’effige del partito comunista addosso e siamo scesi per strada’. Sì, ma c’era ancora l’Unione Sovietica, alle spalle il ricordo dell’ottobre del 1917 era ancora e vivo e tu stavi in un combattimento internazionale. Avevi perso ma eri ancora un corpo vivente, un corpo sociale, con sindacati, ideologie, miti. Potevi tenere la botta. Ma adesso tutte le sconfitte si sommano, fino alla sconfitta definitiva del Novecento. Per questo il risultato di queste settimane non può essere letto solo con la cronaca. La sconfitta del Pd non ha appigli all’indietro. Come fa? La socialdemocrazia è in crisi in tutta Europa. Il Pd è al 18, ma in Francia il Ps sta al 5, in Spagna il glorioso Psoe è ininfluente. In Grecia il Pasok non c’è più. La potente Spd tedesca è superata da Afd. Il crollo dell’Unione Sovietica ha trascinato con sé anche la socialdemocrazia: simul stabunt  simul cadent. Per la sinistra di governo riformista sarà insomma un lungo cammino”. E Forza Italia? “Aveva come unica chance il governo delle grandi intese o comunque l’alleanza con il Pd”.

 

Quanto ai vincitori, invece, “le due formazioni populiste, Lega e M5s, sono forze contro il sistema politico. Non contro il sistema e basta. Non sono forze anticapitaliste. Rappresentano due blocchi sociali diversi, uno del Nord e l’altro del Sud. Il voto ai Cinque stelle mette in luce in termini generali il rifiuto delle classi dirigente del Mezzogiorno. Ce n’è per tutti, anche per Vincenzo De Luca, considerato solitamente un bravo sindaco di Salerno. In particolare la rivolta è segnata dalla proposta del reddito di cittadinanza, che è anzitutto un elemento simbolico: il lavoro e la sua mancanza. ‘Se non mi dai lavoro, che cosa mi dai?’, ci si chiede. Al Nord, dove non mi sfuggono le aree di povertà e diseguaglianza, c’è l’elemento sicurezza ma anche il fattore sociale. Al Nord c’è la sensazione che qualcuno voglia strappare via alle persone le proprie conquiste. Per questo la Lega fa del fisco la propria rivendicazione fondamentale. Ecco, questi due interessi sono in rotta di collisione; Lega e M5s sono due forze concorrenziali e come tali in contrasto nei blocchi di interesse che rappresentano. Per questo non si possono alleare, sanno che la rivolta è incompleta ed è ancora in fase ascendente. Il suo potenziale non è ancora stato dispiegato e in qualche modo deve fare i conti con un governo. Devono dimostrare di essere diversi da quelli precedenti ma se si alleano danno vita all’inciucio dei vincitori. E sarebbe lo stesso di quello dei perdenti. Non puoi teorizzare l’avversione all’inciucio e poi esserne protagonista nel momento in cui ha guadagnato il massimo del successo. Anche perché ti esponi all’opposizione sociale contro di te”.

 

Adesso però si parla in effetti di dialogo fra Cinque Stelle e Lega. “Quando non c’è la grande politica, ci sono i corridoi. E i corridoi possono funzionare. In assenza di guida, l’imprevisto è sempre possibile. Anche perché le oligarchie europee faranno pressione affinché si trovi una soluzione, anche instabile precaria”. Secondo Bertinotti, Lega e Cinque stelle negli ultimi giorni hanno intravisto il “pericolo imminente” (pericolo per loro) di un governo “con dentro tutti” e infatti, contrariamente ad altri partiti, “hanno detto subito no. E il governo di tutti ha una sua forza obiettiva, in una condizione di impossibilità di realizzare un governo organico”. Bertinotti non crede, invece, al “governo di scopo”, magari per cambiare la legge elettorale. “Una legge elettorale non si fa in tre giorni e nel frattempo comunque il governo dovrebbe fare delle scelte, con dinanzi passaggi europei significativi. In più, se si apre una discussione sulla legge elettorale non potrebbe che essere di sistema. Oggi è impossibile farne una discussione emendativa. Le furbizie e gli aggiustamenti potevano essere fatti prima. Ora si dovrebbe scegliere un sistema semi-presidenziale, a doppio turno, per esempio. Vaste programme, come direbbe Charles De Gaulle”.

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  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.