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"All'Italia serve un governo per l'Europa". Parla Vincenzo Boccia

Claudio Cerasa

La stabilità è importante ma i programmi contano e l’Italia non può permettersi di avere una maggioranza che scommette contro l’Europa e i pilastri economici del nostro paese (lavoro, pensioni). Parla il presidente di Confindustria

No. Confindustria non sarà silente. Non sarà timida. Sarà autonoma. E nel rispetto dei ruoli svolgerà un ruolo che ha sempre svolto e di cui è orgogliosa: sarà una sentinella che proverà a spingere il paese a restare ancorato all’interno dell’unica cornice nella quale deve operare l’Italia. E quella cornice ovviamente non può che essere l’Europa”. Pochi giorni fa, il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia ha fatto parlare di sé per aver consegnato ad alcuni cronisti una frase che ha colpito molti osservatori e che grosso modo è stata sintetizzata così da molti giornali: no, le imprese italiane non hanno paura del Movimento 5 stelle. Qualcuno ha letto quell’affermazione dandole un significato simile a una svolta – la svolta grillina di Confindustria – ma in realtà è sufficiente chiacchierare per il tempo di un caffè con il presidente degli industriali italiani per capire che il messaggio di Confindustria è diverso e vale la pena seguirlo.

 

“A chi ci chiede cosa temiamo in Italia in questa fase post elettorale rispondiamo con sincerità e con chiarezza come abbiamo fatto alle Assise di Verona. Non temiamo che ci sia qualcuno di particolare che vada al governo, perché in democrazia chi ha i voti ha il diritto di governare. Temiamo però che ci sia qualcuno che vada al governo per fare il contrario di quello che servirebbe all’Italia. Temiamo che ci sia qualcuno che vada al governo senza capire che il cambiamento che hanno chiesto gli elettori è un cambiamento finalizzato a migliorare ciò che c’è in Italia e non a distruggere ciò che è stato fatto”. Ovvero? “Ciò che il mondo delle imprese comprensibilmente teme oggi è la nascita di un governo incapace di ricordare che i provvedimenti che servono all’Italia non possono prescindere dal nodo delle risorse del paese e non possono prescindere dagli effetti che potrebbero avere alcune decisioni sull’economia reale. Un governo tentato dal superare il Jobs Act, dal fare più deficit, dal cancellare la riforma delle pensioni, dal considerare le infrastrutture non un potenziale di crescita ma una minaccia potenziale è un governo che non farebbe gli interessi dell’Italia. Il paese non ha bisogno di altre paure ma ha bisogno di maggiore fiducia. E in particolare ha bisogno di misure che sappiano stimolare l’occupazione. Chiunque andrà al governo – dice con un sorriso Boccia – farà bene a ricordarsi due parole di Milton Friedman: ‘Se tu paghi la gente che non lavora e la tassi quando lavora non essere sorpreso se produci disoccupazione’”.

 

Cogliamo la palla al balzo: ma il reddito di cittadinanza può produrre maggiore disoccupazione? “Sul reddito di cittadinanza non faremmo un discorso sulla fattibilità del provvedimento ma occorre fare un discorso sugli effetti che potrebbe avere. Crediamo che le priorità di un governo debbano essere legate alle parole produttività e competitività e pensiamo che un reddito di cittadinanza produrrebbe un effetto negativo in termini di produttività: che senso avrebbe andare a lavorare con un stipendio inferiore a quello di cittadinanza? Sulle misure di ciascun partito ognuno è legittimato a pensarla come ritiene più opportuno, ma noi pensiamo che occorra indicare alcune priorità. Una classe dirigente non può permettersi di essere in costante attesa di capire cosa succederà. Deve intervenire. Provare a indirizzare. Qualcuno ha scelto di non farlo e di attendere. Noi abbiamo scelto di provarci e di non nasconderci. E oggi, dal nostro punto di vista, per l’Italia la priorità non è rassegnarsi alla disoccupazione ma è fare di tutto per generare più occasioni di lavoro. E le occasioni di lavoro si generano, scommettendo su quattro punti: una riduzione del cuneo fiscale per i lavoratori, una detassazione e decontribuzione al cento per cento per i giovani sotto i 35 anni, una seria implementazione delle politiche attive previste dal Jobs Act, un piano straordinario di infrastrutture per dare una nuova scossa all’Italia. Occorre avere l’onestà intellettuale di riconoscere che negli ultimi anni nel nostro paese ci sono stati molti provvedimenti finalizzati a sostenere l’economia e che hanno permesso all’Italia di ripartire. Nel 2017, rispetto al 2016, abbiamo registrato il 30 per cento di investimenti in più e il 7 per cento di export in più. E attraverso un buon sistema di credito d’imposta per gli investimenti nel sud Italia oggi ci sono quattro miliardi di investimenti prenotati che una volta scaricati a terra produrranno occupazione. Una politica responsabile, attenta ai conti, all’Europa e alla crescita, non può che partire da qui”. E’ evidente che restano i divari e quindi occorre agire per ridurli.

 

Prima di partire da qui è però necessario che ci sia un governo che abbia la forza di partire e la domanda per il presidente Boccia è dunque naturale: Confindustria quale governo si augura che nasca? “Le combinazioni tra i partiti non ci appassionano e sarà compito del presidente della Repubblica trovare la giusta formula per dare un governo al paese. Dal nostro punto di osservazione però suggerisco, ai partiti, di cambiare prospettiva. Bisognerebbe avere il coraggio di dire che queste elezioni hanno registrato l’affermazione di alcuni partiti che hanno preso molti più voti rispetto alle elezioni precedenti ma allo stesso tempo bisognerebbe avere la lucidità di riconoscere che nessuno ha vinto e che nessun programma di governo potrà prescindere da una mediazione. Per questo, senza fretta, è necessario ribaltare i fattori. Bisogna passare dalle tattiche alle strategie. E bisogna capire che i ragionamenti su chi fa il premier devono essere sostituiti da altri ragionamenti: che cosa deve fare oggi un governo? La stabilità di un paese è certamente un valore non negoziabile ma la stabilità non è una pre-garanzia di responsabilità. Se stabilità significa avere un governo con i numeri in Parlamento stabili intenzionato però ad aumentare il debito, a uscire dall’euro e a distruggere quanto di buono ha fatto l’Italia in questi anni, si capisce che la stabilità più che un’opportunità diventerebbe un rischio. E quando diciamo che il prossimo governo ha necessità di essere un governo a favore dell’Europa lo diciamo per ragioni precise”. La prima? “La prima è che ci preoccupa che chi parla oggi di flessibilità lo faccia senza capire che la partita che l’Italia deve giocare in Europa non è finalizzata ad ottenere un decimale in più ma è finalizzata a coinvolgere l’Europa per gli investimenti che servirebbero in Italia. Se vogliamo sintetizzare al massimo: non serve un decimale in più di deficit, serve un progetto transnazionale capace di trasformare le necessità di un paese nelle necessità dell’Europa intera. Pensiamo per esempio agli euro bond. Pensiamo a questo ma pensiamo anche ad altro. E pensiamo che sia giusto ricordarsi una cosa importante. Ricordarsi cosa vorrebbe dire avere un governo che pur di avere un po’ di flessibilità in più potrebbe dimenticarsi che la vera partita che il nostro paese deve giocare in Europa non è quella di fare più debito ma è quella di pesare di più nelle istituzioni che contano. All’inizio del prossimo anno ci saranno molti vertici dell’Europa che verranno in larga parte rinnovati e un governo che non si rende conto dell’importanza che ha l’europa anche per l’Italia è un governo che rischia di non avere chiare le priorità. Non dobbiamo fuggire dall’Europa, dobbiamo contare di più con profili alti sia in campo politico che dirigenziale. E se ci permette, in questo ragionamento, non si può far finta che non ci sia anche un tema legato all’euro”. Nel senso del referendum? “Nel senso che comunque la si voglia vedere ci sono due partiti che hanno fatto il contrario di quello che ha fatto Macron in Francia. Hanno fatto una campagna elettorale scommettendo non sulle virtù dell’Europa ma sulle sue criticità. E qualcuno lo ha fatto promettendo addirittura l’uscita del nostro paese dall’euro. Una simile posizione non responsabile si commenta da sé. Ma il dato che più mi preoccupa, al di là del dibattito sull’euro, è che chi parla dell’Europa per nascondere i problemi dell’Italia solitamente lo fa per non affrontare di petto i veri problemi del nostro paese. L’euro, grazie al quale abbiamo dei tassi di interesse che ci permettono di essere competitivi nonostante il nostro mastodontico debito pubblico, ha creato in Europa un sistema virtuoso all’interno del quale i paesi che crescono di più sono quelli che hanno una produttività migliore. Confindustria ha scelto di firmare un accordo per la produttività con i sindacati proprio per questa ragione. L’Italia può crescere se crea le condizioni per aumentare la produttività facendo guadagnare di più i lavoratori. Se non si parte da qui significa non avere a cuore fino in fondo il destino del nostro paese. Significa non rendersi conto che in una fase storica in cui, a causa in particolare delle politiche di Donald Trump, rischiano di tornare di moda gli istinti protezionisti l’Italia ha solo un modo per contare di più in Europa e nel mondo: scommettere sull’apertura e non giocare con la chiusura. Senza Europa, non c’è futuro. E senza un governo ben radicato nella cornice europea, per il nostro paese rischia di esserci davvero un futuro complicato da accettare”.

 

Boccia – che con un sorriso, rispondendo a una nostra domanda, dice che no, non ha mai pensato che Di Maio sia come Macron, “perché Macron ha fatto una campagna a favore dell’Europa, vuole fare il Jobs Act e la riforma delle pensioni ce la vuole in qualche modo copiare – pensa che ci siano possibilità concrete che il prossimo governo possa essere costruito non contro l’Europa ma a favore dell’Europa e provando a immaginare che mossa potrebbe rimescolare le carte all’interno del Parlamento ricorda quale fu la situazione dell’Italia subito dopo l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea: “In quel momento, senza la Gran Bretagna, l’Italia si ritrovò dietro il gruppo dei due grandi d’Europa, la Germania e la Francia. Quando si è terzi si ha la possibilità di essere il kingmaker e far valere le proprie idee e proposte”.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.