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“Vi spiego il silenzio di Fico, tra Lenin e casaleggismo democratico”

Salvatore Merlo

Di sinistra ed ex presidente (dissidente) della Camera, Fausto Bertinotti osserva il suo successore grillino

Roma. “Io sono un vecchio comunista. Quindi, si parva licet, e vorrei dirlo con tutto il rispetto per la storia a cui appartengo, io lo capisco perché Roberto Fico non spiccica una parola sulla questione dei migranti e della nave Aquarius”, che sta ancora in mezzo al mare. E il termine, si parva licet, appunto, riferito al Movimento cinque stelle è “leninismo”, o “centralismo democratico”. E insomma Fausto Bertinotti, che è stato presidente della Camera, e di sinistra, lui che ha esercitato la sua funzione istituzionale con un alto grado d’intervento politico e libertà di tono, spingendosi ai confini della critica nei confronti della stessa maggioranza che lo aveva portato sullo scranno più alto di Montecitorio, accetta di parlare, con densità e spirito, del suo erede (si parva licet) Roberto Fico. Il nuovo presidente della Camera grillino detto “il dissidente muto”, perché tutti gli attribuiscono pensieri in dissenso, tormenti e dubbi, anche nei confronti delle sortite del ministro dell’Interno Matteo Salvini. Pensieri contropelo, che tuttavia lui non esprime, se non indirettamente, con gesti, allusioni, e soprattutto paradossali silenzi.

  

“Questa cosa alla luce della mia storia la capisco, purtroppo”, dice allora Bertinotti. “Quando una formazione politica si dà una missione salvifica totale fondata sulla propria diversità, e quindi si costituisce come comunità separata dalla cui compattezza dipende il conseguimento della missione salvifica di cui sopra, allora succede quello che sta succedendo a Roberto Fico. La compattezza fa premio su tutto. E che questo avvenga attraverso il centralismo democratico, o meno nobilmente attraverso la rete di Casaleggio, non fa una grande differenza. La negazione del pluralismo in ragione della finalità perseguita è una macchina potentissima di compressione del dissenso. E l’autocensura non è solo il prodotto di un opportunismo ma è un atteggiamento perfettamente coerente con la missione che si assegna a sé e alla propria compagine. Una missione totalizzante”.

  

Negli ultimi giorni una parte della sinistra ha animato, più o meno esplicitamente, attraverso i canali della moderna comunicazione internettiana, un surreale dibattito intorno al silenzio di Fico. Surreale perché attribuisce al presidente della Camera una dimensione politica (e morale?) che Fico forse non ha e, chissà, non desidera avere. Un dibattito anomalo, inoltre, perché fondato – in sostanza – su un silenzio che lascerebbe presumere l’esistenza di un dissenso. “Ma io ritengo al contrario che Fico sia un leader politico vero”, obietta invece Bertinotti. “E credo andrà misurato nel lungo periodo”. Tuttavia, concede il vecchio leader di Rifondazione, “il dibattito che si è scatenato intorno al suo silenzio ha un che se non di irreale, direi di inutile. Bisognerebbe piuttosto spostare l’ottica, e concentrarsi su cosa succede nei dintorni dei Cinque stelle. In realtà i 5 stelle, secondo me, sono di fronte a un bivio. Un bivio di sistema. Questo Movimento dovrà decidere, strada facendo, se andare verso un’alleanza organica con la lega di Salvini, costituendosi sostanzialmente come ‘regime’. E attenzione: uso questo termine in funzione puramente descrittiva, non di giudizio, perché dargli dei fascisti è puramente insensato. La seconda strada del bivio di cui parlavo porta invece a una soluzione quasi ‘morotea’. E’ il tragitto di reciproca legittimazione – di Lega e M5s – in un governo come quello attuale, due forze diverse che si legittimano sicché da quel momento in poi entrambe sono titolate a governare. E superata la fase del governo si dispongono all’alternanza. Avremmo in questo modo, l’una contro l’altra, due nature diverse di populismo. Non so dire come andrà a finire, ma lo scopriremo presto”.

    

E a occhio, Bertinotti, che non ha certo simpatia per la Lega (ma nemmeno per il M5s), vede con preoccupazione entrambe le strade del bivio che descrive. D’altra parte, quando gli si chiede un giudizio sulla vicenda della nave Aquarius e del suo sballottato e straziato contenuto umano, lui dice che è “una grande tragedia. Non voglio esagerare con l’enfasi”, aggiunge. “Ma provo un’angoscia profonda per quella che Camus definirebbe l’aria del tempo. Se una cosa così può accadere, vuol dire che siamo arrivati a una crisi della civiltà. Questa storia è una cartina di tornasole. Indicativa dello stato dell’arte di un dramma che si consuma sostanzialmente nell’impotenza di ciò che resta della civiltà europea. Che non sa reagire a questa barbarie. E’ come se la devastazione di civiltà progredisse a mangiarsi quello che resta”.

   

Ed ecco allora il giudizio sul governo, sulla sua natura, la sua anima e composizione. “Questo governo è il segno politico del processo che ho appena descritto”, dice Bertinotti, deciso come scolpisse un epitaffio. La crisi della civiltà, niente meno. “E’ una reazione con forti radici popolari, tanto che vengono chiamati populisti. E’ una reazione alla crisi di questa epoca, ma che allo stesso tempo incarna e rivela la crisi stessa. Mi viene in mente quella poesia di Konstantinos Kavafis, che fa ironia nei confronti di quegli ultimi epigoni dell’impero romano, logorati nello spirito e fiaccati nel corpo, al punto da invocare l’avvento dei barbari come una palingenesi provvidenziale. Com’è che fa?”. S’è fatta notte, e i barbari non sono più venuti / Taluni sono giunti dai confini, han detto che di barbari non ce ne sono più / E adesso, senza barbari, cosa sarà di noi? / Era una soluzione, quella gente.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.