Saul Steinberg - foto Ansa

Restauri improvvidi

Cosa rimane dei graffiti di Saul Steinberg a Milano

Giacomo Giossi

La mostra fotografica di Ugo Mulas permette, attraverso i suoi scatti, di osservare da vicino il segno e il tratto inciso a mano libera dal geniale disegnatore rumeno, le cui opere murarie sono andate perse

In un paese come l’Italia che ritiene – almeno a parole – la tutela del patrimonio culturale come un punto d’onore è evidente l’esistenza di un grosso problema con la modernità. Tanto più in una città come Milano che di design e architettura è costruita nell’essenza come nella retorica, ma dove non ci si premura mai troppo ad abbattere o a trasfigurare significative opere dell’architettura del Novecento italiano. Una contraddizione che rivela in realtà una visione della tutela del patrimonio che esula dal suo significato culturale, riducendolo così ai minimi termini, o a un fondale leziosamente abbellito buono per la week di turno. Di questo, che è a tutti gli effetti un disastro culturale, ha fatto le spese tra gli altri (e tra gli altri rientra pure Keith Haring), l’opera di Saul Steinberg. Disegnatore geniale, rumeno di nascita, milanese d’adozione e americano per sempre, Steinberg è il padrino di una cultura del disegno e del segno che si è via via imposta generando una consistente scuola di disegnatori e illustratori. Figura ancora poco nota a livello popolare, Steinberg resta un’artista di culto amato da critici, intellettuali e artisti che a lui devono l’apertura di una strada nuova.
 

Tra i primi a dialogare con artisti e designer Steinberg conta una serie di opere murarie oggi ormai tragicamente scomparse, in parte per incuria, in buona parte a causa di restauri insipienti. Tra le prime opere, un lavoro murario per un negozio del centro di Bergamo commissionatogli dall’architetto Lucio Angelini suo compagno al Politecnico di Milano di cui non restano che alcuni bozzetti. Resta invece, grazie agli scatti di Ugo Mulas, l’intervento, dei veri e propri graffiti, compiuti nell’atrio della Palazzina Mayer di Milano. Un lavoro del 1961 realizzato su commissione del geniale studio milanese BBPR. Questi graffiti oggi cancellati da un improvvido restauro restano così visibili attraverso lo sguardo di Ugo Mulas che li ha ritratti in splendide fotografie oggi esposte nel nuovo allestimento di Camera, il  Centro Italiano per la Fotografia di Torino che ha riaperto i battenti il 14 febbraio con l’inaugurazione della mostra Ugo Mulas / I graffiti di Saul Steinberg a Milano (fino al 14 aprile). Poco più di una decina di scatti che illuminano sull’arte di Steinberg e di Mulas, su quella Milano che va riscoperta sempre più in una chiave propositiva e non certo nostalgica. E forse aiuta questo dislocamento torinese della mostra a non rimpiangere quegli anni che furono certamente ruggenti, ma anche decisamente più poveri e duri degli attuali che forse appaiono respingenti, ma che richiedono più che altro una duttilità e un’apertura per una complessità inedita e ancora tutta realmente da esplorare.
 

A cura di Archivio Ugo Mulas e Walter Guadagnini, la mostra permette di osservare da vicino il segno e il tratto inciso a mano libera da Steinberg che raffigura il labirinto di una Milano proiettata nella modernità. Mulas si mette totalmente al servizio di Steinberg esaltando così il ruolo di fotografo come testimone, anche di un’epoca che lo iniziava a considerare come tra i più grandi fotografi del tempo. Quello tra Steinberg e Mulas è un dialogo a distanza che vive sulle cose, su una dinamicità molto milanese e anche molto ricca di contraddizioni: il labirinto rappresenta sia un’intrepida vitalità, ma anche un caos pericoloso e difficile da governare. Siamo nel 1961, pochi anni dopo la strage di piazza Fontana lascerà un segno drammatico e decisivo, Mulas e Steinberg troveranno, in modi diversi, negli Stati Uniti uno spazio inedito e vitale, restando così vivi ben oltre le imbarazzanti rimozioni di fine secolo.

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