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la giornalista in numeri

Matilde Serao, la “Signora dei giornali” fu anche più prolifica di quanto raccontano le biografie

Francesco Palmieri

“Scrivere, scrivere, e scrivere. Questo è il mio mestiere. Questo il mio destino. Scrivere fino alla morte”. E così è stato, per la prima donna a fondare e guidare un quotidiano. Fu anche la scrittrice italiana più famosa nel mondo. E poi moglie e socia di Edoardo Scarfoglio, con cui rivoluzionò la maniera di raccontare le notizie. Una mostra e un libro

Chi l’aveva conosciuta bene come Giovanni Artieri, redattore notturno a 300 lire al mese del Giorno, provò a riassumere nei numeri la biografia professionale di Matilde Serao. Calcolò che avesse scritto almeno tremila parole quotidianamente in cinquantacinque anni per un totale approssimativo di 52 milioni. Esclusa, s’intende, l’opera letteraria che comprende decine di novelle e romanzi brevi o lunghi di maggiore o minor fortuna. Può divertirsi, il lettore, a cercarli in ristampa o in edizioni rare senza che un Meridiano Mondadori gli mortifichi il piacere venatorio. Può cercarli magari partendo da Piccole anime, che include il raccontino Una fioraia prediletto da Muammar Gheddafi, il quale esaltò la grandezza di Matilde Serao dinanzi a una perplessa platea di ragazze romane ignare del nome e delle opere del mancato Nobel per la letteratura 1926 (il duce, che pure stimava l’autrice, si oppose e il premio fu assegnato a Grazia Deledda); ragazze ignare, come il pubblico mainstream, della prima donna che fondò e guidò un quotidiano; della scrittrice italiana che fu più famosa nel mondo; della moglie e socia di Edoardo Scarfoglio, che rivoluzionò assieme a lui la maniera di fare i giornali; ignare e ignari, quasi tutti, che fu lei a spiegare ai lettori cosa fossero le “bufale” cent’anni prima di chiamarle fake news; ignare e ignari della più effettiva femminista in pratica e della più feroce nemica del femminismo teorico.

Fu la titolare della più fragorosa, contagiosa e indimenticabile risata d’Italia; fu la brutta più bella dell’epoca (“tanto brutta nella vita comune e tanto bella nei momenti dell’amore”, confidò Scarfoglio quando se ne innamorò). Fu l’unica vera amica di Eleonora Duse; l’autrice del più potente libro di denuncia sociale nella storia del giornalismo italiano, Il ventre di Napoli; fu “la Signora” per antonomasia ma scalò la carriera dal punto più basso (“un capolavoro artistico ed esistenziale” secondo Antonio Ghirelli): “Quattrini pochi – Scuola Normale dal ‘71 al ‘74 – Scolara di cattiva condotta, con scarsi punti in tutte le scienze esatte, eccellenti nel resto – Diploma inferiore e superiore, tirocinio ma non insegnamento – Concorso al telegrafo; riuscita la seconda, rimastavi dal ‘74 al ‘77 – Cattiva impiegata per la condotta, ottima pel lavoro – In un anno 43.000 dispacci e 80 lire di gratificazione – ottanta lire di mesata – Uscita nel ‘77 – Incominciava a scrivere nel Novelliere, nel ‘78”. Di sé telegraficamente riassunse così, citando anche lei numeri e date.

 

Perché di numeri e date più che di occulta o spersa documentazione consistono le verità biografiche mancanti della “Signora”, a lungo ignorate benché esposte in evidenza, per qualche inesplicabile o esplicabile motivo: sciatteria degli studiosi, cataratte aritmetiche, inconfessata pruderie. Solo adesso si riconsiderano – e cose nuove raccontano – numeri e date, grazie a una ricerca dell’Emeroteca Biblioteca Tucci di Napoli, l’istituzione in cui si fusero nel 1907, tuttora perdurando, il dna dei telegrafisti e dei corrispondenti di giornali: Le verità ignorate su Matilde Serao raccoglie quei segreti solari in un volume illustrato che è stato oggetto di convegno a fine giugno e da cui è tratta una mostra che occupa quaranta bacheche e resterà visitabile fino al 31 luglio nel monumentale Palazzo delle Poste.

La prima verità è che donna Matilde fu addirittura più operosa di quanto calcolassero Artieri e le sue biografie, inesatte per cospicuo difetto compresa la più celebre redatta da Anna Banti. L’altra verità, trasparente da oltre un secolo ma contraffatta finora, è che la “Signora” non fu vittima passiva dei tradimenti di Scarfoglio, che alimentarono ai tempi persino la cronaca nera, ma amò molto più di quanto gli studiosi pensassero o volessero pensare.

Procediamo per ordine, se uno mai ve ne fu in quella sua disordinata, avventurosa vita Belle époque da “romanzo giornalistico”, quando Scarfoglio e D’Annunzio, che oggi duellerebbero solo a colpi di tweet, incrociavano le sciabole malgrado l’amicizia. A quel mondo della carta stampata Serao consacrò un libro attuale perché immancabilmente rivalutato da chi lo riscopre: Vita e avventure di Riccardo Joanna, dedicato “ai giornalisti d’Italia”. Ma al mestiere consacrò soprattutto se stessa, come ribadì alla figlia Eleonora in una lettera scovata dalla “seraista” Donatella Trotta pochi anni fa: “Tu sai che, sempre, il rimorso dell’ozio mi tortura segretamente. Io, è inutile, sono grafomane… e la carta, la penna e il calamaio sono le sole cose che mi avvincono, fra tutti gli oggetti di questa terra”. Già lo aveva detto giovanissima incontrando il drammaturgo Roberto Bracco, in coda alla risata che rintronò in un’angusta redazione “col clamore di dieci risate contemporanee e unisone”: “Scrivere, scrivere, e scrivere. Questo è il mio mestiere. Questo il mio destino. Scrivere fino alla morte”. Aderì davvero all’intento, calando per sempre il capo su un foglio la sera del 25 luglio 1927, nella casa alla Riviera di Chiaia dove aveva traslocato dopo la separazione coniugale e professionale da Edoardo, morto dieci anni prima ma di cui aveva serbato la penna d’argento scivolatale tra le dita in quell’estrema routinaria fatica.

Censirono in numero di trenta le testate cui collaborò donna Matilde i volumi di Anna Banti e di Marie-Gracieuse Martin-Gistucci, ma la cifra risultò più che raddoppiata da una prima tranche di ricerche svolte all’Emeroteca Tucci, dove nel 2016 se ne accertarono settanta. Neppure era così. Nei sette anni seguenti il presidente Salvatore Maffei, con la collaborazione di Stefania De Bonis, si è inoltrato sempre più “nel bosco sconfinato della ricerca seraiana” fino a scovare la sua firma su 201 giornali diversi: italiani, francesi, austriaci, tedeschi, inglesi, danesi, irlandesi, statunitensi. Testate maggiori e minori, notissime e oscurissime, tuttora attive o estinte da quel dì: da Le Figaro a Frugolino, da Die Gegenwart a La Voce del cuore, da L’Ora di Palermo a Gran Mondo, da La Stampa a The Irish Monthly, dal Messaggero a Mater Suavissima.

 

“Scrivere, scrivere, e scrivere”. Non vinse il Nobel, ma se ci fosse una pagina del Guinness per chi ha collaborato con più giornali gliela intesterebbero, anche perché l’elenco attuale, avvertono i ricercatori, non è definitivo. Dimenticati articoli della “Signora” potrebbero celarsi negli ossari cartacei del giornalismo sudamericano o nei meandri disertati di altre emeroteche europee. Insomma, 201 è un’ulteriore cifra di partenza.
Nemmeno un po’ la rese ricca tale febbrile attività. Spese con la copiosità con cui scrisse e intervenne direttamente per sostenere nei frangenti critici il Mattino fondato dal marito, tanto che una sera fu costretta a chiedere un prestito d’urgenza a un conoscente. Episodio minimo lievitato in scandalo quando la Commissione Saredo, indagando sulla corruzione a Napoli, precipitò donna Matilde nell’inchiesta con l’accusa di aver preteso i soldi da quel tale, che lavorava come guardia municipale, per caldeggiarne la promozione. Fu scagionata grazie alla scrupolosità del procuratore titolare del caso, il quale rinvenne tra le “uscite” del Mattino la restituzione della somma. La scrittrice aveva avuto immediato bisogno di contanti perché un fornitore di cliché, negando all’improvviso il credito, minacciava di bloccare la composizione del giornale.

 

Nemmeno guastò, la sua febbrile attività, la mano alla scrittrice: ne era convinto Michele Prisco, ma apprezzando più la narratrice della Napoli “consunta e invecchiata” (suo apice Il paese di cuccagna) che quella degli ambienti salottieri fra gli intrecci di casistiche amorose. Eppure questi intrecci lei li visse in prima persona e ne patì per il tragico caso della soubrette Gabrielle Bessard. Amante scaricata da Scarfoglio da cui aveva appena avuto una figlia adulterina, il 29 agosto 1894 bussò a casa di Edoardo e Matilde e si sparò sull’uscio. Morì dopo una settimana di agonia e la Serao, madre già di quattro maschi, adottò la neonata come se fosse sua. Scarfoglio, per impudente ammissione, in quel periodo era troppo occupato col suo yacht Fantasia, battezzato così in omaggio a un romanzo di Matilde che aveva peraltro spietatamente stroncato (“una materia inorganica, una minestra fatta di tutti gli avanzi di un banchetto copioso”). Lei non fu tuttavia l’eroina indulgente e passiva che è stata dipinta né attese la separazione legale per vagheggiare altri amori. La ricerca all’Emeroteca Tucci svela una circostanza che i biografi non hanno mai voluto vedere: donna Matilde ebbe l’ultima figlia Eleonora, concepita con l’avvocato Giuseppe Natale, quando era ancora sposata a Scarfoglio e lavorava al Mattino.

 

La nascita di Eleonora è datata 1904 dalla Banti e 1905 dalla Martin-Gistucci, quando cioè la scrittrice aveva 48 anni suonati ed era separata dal 1902. Clamorosa inesattezza, come attestano diverse prove. La prima è un rarissimo cartoncino di partecipazione alle nozze tra Eleonora e Pietro Taglioni, celebrate l’11 giugno 1919: stando alle biografie, la ragazza si sarebbe dunque sposata a 14 o 15 anni. Impossibile. La vera età di Eleonora la riportava invece il quotidiano materno Il Giorno dando notizia del matrimonio: vent’anni, come ribadì nel brindisi nuziale papà Giuseppe Natale. E altre prove s’aggiungono: una fotografia scattata nel 1904 presso lo studio parigino Boissons e Taponier ritrae la Serao con Eleonora non poppante, ma dall’apparente età di cinque o sei anni. L’immagine non salta fuori adesso: fu pubblicata in quello stesso anno sul Secolo XX. Una verità sotto gli occhi di tutti, ma nessuno fece due più due (sciatteria degli studiosi, cataratte aritmetiche, inconfessata pruderie). Ancora: in una intervista del settembre 1913 al Piccolo di Trieste, donna Matilde in vacanza a St. Moritz presentò “la figliuola quattordicenne” chiamata Eleonora come la Duse, sua madrina di battesimo. La Serao stessa non faceva più nulla per nascondere il “peccato” extraconiugale: la bambina nacque senz’ombra di dubbio nel 1899. Risulta agevole, scavando nella vita di Scarfoglio, datare anche il concepimento: tra il 12 maggio e il 2 agosto 1898, quando il direttore del Mattino latitava in Svizzera per sfuggire all’ordine di cattura spiccato nei suoi confronti dopo gli articoli a sostegno delle rivolte del pane e contro il governo di Rudinì, mentre a Milano il generale Bava Beccaris sparava sulla folla e a Napoli veniva dichiarato lo stato d’assedio con ventidue cannoni puntati su strade e piazze principali. Stavolta, nei frangenti più duri del giornale, Matilde si rifugiò nell’amore cedendo all’elegante e più giovane avvocato Natale (quattordici anni meno di lei). Perciò, fatto inconsueto, tra agosto 1898 e maggio ’99 l’instancabile firma delle 201 testate scomparve da ogni pagina, tranne che per un articolo sulle bellezze dell’Egitto perché aveva intrapreso, per celare la gravidanza e il parto, alcuni viaggi all’estero.

 

Ma non fu, quello per l’avvocato Natale, il solo amore che tinse la vita coniugale di donna Matilde. Il professore calabrese Luigi Vento ha ritrovato e pubblicato nel 2006 le missive della Serao a Mario Giobbe, poeta che sarebbe dimenticato da un pezzo se non fosse per la sua traduzione del Cyrano de Bergerac, tuttora ristampata nella Bur e secondo alcuni persino più bella dell’originale di Rostand. La passione fu quasi a senso unico: il nevrastenico e gracile Giobbe non corrispose con lo stesso ardore. La parziale datazione delle lettere lascia intuire che l’altalenante flirt si sviluppò mentre Scarfoglio intesseva la relazione con Gabrielle Bessard. Matilde invaghita altalenava anche nell’uso dei pronomi trascorrendo dal “tu” al “voi”: “Mario mio, domani, se non hai nulla di meglio a fare – pochissime cose migliori, Mario, di andare con una donna che vi vuole bene – vieni alle tre, all’angolo di via Pontano, dove io sarò con la solita nostra carrozza e ce ne andremo a fare una passeggiata, dove tu vorrai”. La ritrosia di Giobbe era dovuta non tanto a scarso interesse, ma a uno stato depressivo sempre più grave che lo avrebbe spinto nel 1906, a 43 anni, a porre fine alla vita gettandosi da una finestra.

Molti anni dopo lei avrebbe ripetuto le passeggiate sullo stesso tragitto, ordinando al cocchiere di percorrere il corso Vittorio Emanuele “quasi ogni pomeriggio”. Per ripensare forse a Giobbe, a Scarfoglio e alla Belle époque che non c’erano più. Era tra il 1919 e il 1921 e apprendiamo della solitaria abitudine di donna Matilde dallo scrittore Carlo Bernari allora bambino, che s’appostava sul balcone per colpire la “Signora” con coppetti di carta riempiti di acqua “o di altro liquido”. Un giorno finalmente la centrò sull’ombrellino di seta viola e vi produsse “una gran macchia nera”. Lei si guardò intorno poi volse gli occhi verso l’alto, ma il bimbo s’era nascosto. Le popolane al pianterreno, che parevano uscite dai vecchi romanzi della scrittrice, si scusarono per lui: “Dovete compatire. Sono screanzati… Sono signori, ma son pure screanzati!”. E Matilde quella volta non rise.

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