Enrico Baj - foto via Getty Images

Arte

Nei libri d'artista tutte le affinità elettive di Enrico Baj. Una mostra

Francesca Amé

L'Accademia di Belle Arti di Brera e la Biblioteca Nazionale Braidense celebrano il pittore, scultore e saggista italiano attraverso gli aneddoti della sua vita, del suo lavoro e della sua maestà artistica

Se l’aneddoto può essere la misura di qualcosa, questa mostra milanese che la Biblioteca nazionale Braidense e l’Accademia di Belle Arti di Brera – per la prima volta al lavoro insieme: annotiamo – confezionano su “Baj. Libri in libertà” ne cela di tantissimi sotto le teche. Sono figli dei ricordi di Roberta Cerini, moglie e compagna di scorribande artistiche di Enrico Baj (1924-2003), appassionata custode dell’Archivio nella villa di Vergiate, nel varesotto (“una grande casa che nel tempo si è svuotata di persone e riempita di cose”), di cui ha concesso venti libri d’artista sui cinquantasei realizzati da Baj dagli anni Cinquanta fino alla morte, che si uniscono in mostra ai cinque della collezione della Braidense e a un esemplare della biblioteca dell’Accademia. Aneddoti, dicevamo.
 

Prima teca, prima storia: per realizzare il “De Rerum Natura” (trentasei acqueforti, con un testo di Roberto Sanesi, una cinquantina di esemplari per Schwarz editore), Baj pensa di far da sé. Ma eccede con l’acido e s’intossica. È il 1958, ancora non è sbocciato il sodalizio con Giorgio Upiglio, stampatore con cui realizzerà alcuni dei suoi più pregiati lavori. Quell’acido che brucia tutto, a Baj – incendiario nel fondare movimenti, come l’Arte Nucleare, bravo a partecipare ad altri, come il Surrealismo, e a scrivere sui giornali, a coltivare tra Milano e Parigi amicizie profonde, ad animare circoli e circolini, muovendosi tra anarchia e patafisica, tra impegno politico e caustico distacco – a uno così, insomma, l’ “effetto acido” su pagina, con quelle sporcature, piace parecchio. Stacanovista di maniacale perizia, Enrico Baj non ha mai considerato la grafica un’arte minore: ai libri d’artista dedica tempo e talenti e questa mostra, curata da Angela Sanna, Michele Tavola e Marina Zetti e visitabile fino al 6 luglio, lo testimonia. Per realizzare “Les Incongruités Monumentales” (altra teca, altro aneddoto) passa i pomeriggi a sperimentare in stamperia dal parigino Michel Cassé, ché l’equilibrio tra testo e immagine, creatività e tecnica, è delicato. Upiglio stesso ribadiva che a Baj piaceva creare “matrici sul posto”. A cento anni dalla nascita, Milano finalmente si ricorda del papà di Dame e Generali, Meccani e Ultracorpi che hanno cambiato l’alfabeto visivo dell’arte italiana del Novecento: a ottobre ci sarà un’ampia mostra a Palazzo Reale, curata da Roberta Cerini e Chiara Gatti, nel frattempo, sarebbe bello avere notizie de “I funerali dell’anarchico Pinelli” (inizialmente pensato per Palazzo Citterio, andrà poi al Museo del Novecento?).
 

Alla Braidense, in Sala Maria Teresa, si celebrano attraverso questi libri d’artista le affinità elettive di Baj: teca dopo teca, scopriamo libri-scultura nei materiali più svariati (alluminio, plastica, tappezzerie, passamaneria, tappi) che ci parlano dei rapporti di Baj con Raymond Queneau (che chicca il loro ”Meccano”), con Jorge Luis Borges (“Manuale di zoologia fantastica”: altra chicca). “Le sue opere seguono questa politropa predisposizione a cogliere gli aspetti più grotteschi e ironici della società che gli fu contemporanea”, chiosa Angelo Crespi, direttore generale della Pinacoteca di Brera e della Braidense, e in effetti nelle dieci sezioni in cui è ben allestita la mostra si passa, in tutta libertà, dai bestiari agli “epigrammi nucleari”, dai nudi con merletto ai robot di metallo, dai disegni apocalittici a una cravatta-scultura (La cravatte ne vaut pas una médaille, con cover in mattoncini Lego, serigrafie e un coloratissimo multiplo è tra i pezzi più goduriosi). Il percorso si chiude su alcuni libri-scultura, tra cui il sessantottino The biggest Artbook in the world, Do it bai your self, gioco di parole e irriverenze con Edoardo Sanguinetti, dieci tavole e una dozzina cubetti di legno componili. Ci dovremmo commuovere – in fondo è uno dei suoi ultimi lavori – davanti a Sull’acqua, realizzato con Giovanni Raboni, ma ce lo impedisce l’ironia de La donna idraulica, con l’imbuto al posto del naso. Lo facciamo davanti a Baj Merini: lui le fa il ritratto, lei gli regala una poesia dedicata al di lui figlio Angelo (“tu che sei rampollo felice/ di una dinastia di eccelsi”), il volume è impreziosito da decori in alluminio. Un libro d’artista in cui il quotidiano si fa poesia: nasce – ultimo aneddoto – in uno dei tanti pranzi a Vergiate in cui Alda Merini, ospite più o meno fissa, si faceva portare a tavola la macchina da scrivere per fissare i pensieri in versi. Deve essere stato bello essere Baj, e anche essergli stato amico.

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