intellettuali (dis)impegnati
Uno scrittore, che altro? Parla Alessandro Piperno
Non s’intende di Europa, di scuola, di politica. Di più: se ne infischia. Ora però soffre per la guerra, e di fronte al clima che s’è creato dopo il 7 ottobre si sente “per la prima volta integralmente ebreo”. Intervista con lo scrittore romano
Poco dopo essermi seduto davanti ad Alessandro Piperno, al tavolo di un hotel di Torino, mi accorgo che c’è in lui qualcosa di anomalo. Ha sempre l’aspetto di un romanziere dell’Ottocento, la giacca doppiopetto a quadretti, il fumo della pipa che sale dalla bocca, il sovrano e ironico distacco della ragione. Però stavolta si avverte l’incontrollabile palpito di una questione personale. La prima volta accenna a un “dolore” che gli consiglia di stare zitto di fronte a chi la pensa diversamente da lui. La seconda volta aggiunge che la “sofferenza” che prova lo mette in una posizione di squilibrio rispetto a chi ha idee differenti dalle sue. La terza volta lascia cadere ogni remora e racconta precisamente di cosa si tratta.
“Di fronte al clima che si è creato dopo il 7 ottobre e la guerra di Israele – dice –, mi sono sentito, per la prima volta, integralmente ebreo. Io sono nato da un matrimonio misto. Mia madre è cattolica, mio padre ebreo. Mi sono sempre percepito come un meticcio, metà l’uno, metà l’altro. Ora la situazione è cambiata radicalmente. Di recente, dopo una mia conferenza, una signora si è alzata dal fondo della sala e mi ha chiesto di schierarmi sulla guerra in corso in qualità di ‘ebreo’, come se avessi l’obbligo di prendere le distanze da ciò che fa il governo di Israele. Mi ha chiesto cioè di parlare non come individuo, ma come un ebreo tra gli altri, uno del mucchio. Ha detto che loro in passato sono sempre stati solidali con gli ebrei, con le sofferenze che hanno patito, e che ora toccava a noi. Ma ‘noi’ chi? Come si permette questa signora? Io sono una persona, e in quanto tale rispondo solo dei miei atti. Ho capito in quel momento cosa intendesse Jean-Paul Sartre quando scriveva che è l’antisemita a creare l’ebreo e non il contrario. Ho amici in Francia costretti a cambiare il proprio nome su Uber per terrore di essere insolentiti dai tassisti. Ne ho altri che mandano i figli a scuola senza kippah per non trasformarli in bersagli. Non ho mai creduto che l’antisemitismo potesse essere eliminato dalla storia. Ora posso dire che non mi sbagliavo. Sono caduti tutti i freni inibitori che avevano retto dalla fine della Seconda guerra mondiale in poi. Non dico che le proteste per la Palestina siano in sé antisemite, penso però che abbiano offerto agli antisemiti la possibilità di rimettere fuori la testa, senza più ritegno. E anche io che ho sempre esitato a dirmi completamente ebreo, oggi lo dico”.
E’ strano notare che nell’ultimo romanzo di Piperno, Aria di famiglia (Mondadori), succede qualcosa di simile: il protagonista diventa padre senza averlo mai voluto, costretto dalle circostanze. “Nei confronti di Israele non ho opinioni – dice – ma solo sentimenti. Guardo le immagini che arrivano da Gaza – immagini di bambini uccisi, di bambini che soffocano intrappolati sotto le macerie, bambini portati di corsa in ospedale ricoperti di sangue – e ne sono straziato. Ascolto i racconti dei sopravvissuti del 7 ottobre (sono incapace di reggere le immagini) e sono altrettanto straziato. Come si fa, davanti a tutto ciò, a dividere nettamente il bene dal male, il giusto dall’ingiusto? Io penso una cosa terribile da dire. Penso che il conflitto israelo-palestinese sia sostanzialmente irrisolvibile. Perché sia gli uni sia gli altri hanno ragioni sacrosante dalla propria parte, e torti non meno marchiani. Il guaio è che in entrambi gli schieramenti i soli ad avere voce in capitolo sono gli estremisti. Per questo, di fronte alle vicende di questi giorni, provo una sterminata tristezza. Siamo di fronte a una tragedia annunciata. Eppure c’è gente che scende in piazza, che parla in pubblico, che scrive, convinta che i torti siano tutti da una parte e le ragioni dall’altra, qui il bene, lì il male. Ma come si fa? Chi dà loro tante certezze?”.
Cinquantadue anni, fin dal romanzo d’esordio – Con le peggiori intenzioni – Piperno ha narrato la borghesia italiana, soprattutto ebraica, mantenendosi a distanza dalle questioni politiche. Ma oggi sembra che la politica sia entrata nella sua vita. “Il grande critico letterario George Steiner sosteneva che Israele è un ‘miracolo triste’. Lo credo anch’io. Considero i crimini che i governi israeliani hanno commesso, soprattutto nei territori occupati, un insulto all’umanità. Ciononostante, Israele rimane un miracolo. Un Paese capace di trasformare un lembo di deserto in una terra fertile. Di allevare, dal nulla, generazioni di scrittori, registi, artisti meravigliosi. Ha creato una democrazia più multietnica della nostra, in un luogo geografico, il Medio Oriente, in cui è merce rara. Ma tutto ciò è pressoché scomparso dalla discussione pubblica, e, al suo posto, è rimasto soltanto il marcio. In piazza urlano: ‘Israele nazista, stato terrorista’. E sia chiaro: io stesso penso che Netanyahu sia il capo di un governo che sta allevando, con la sua inettitudine e la sua crudeltà, generazioni di jihadisti. Ma non è questo il punto. In piazza, Israele viene rifiutata in blocco, a cominciare dalle sue favolose università. Perché ha la sfortuna di essere rappresentata secondo lo schema manicheo che divide il mondo in due blocchi contrapposti: gli sfruttati e gli sfruttatori, i colonizzati e i colonizzatori. E messe così le cose, chi non starebbe con i deboli contro i forti?”.
Nota Piperno che quella di Gaza non è l’unica guerra attualmente in corso. “Eppure, non ho visto gente in piazza per i civili uccisi dalle bombe russe in Ucraina. E non ho visto manifestazioni nemmeno quando una giovane donna iraniana, nel settembre del 2022, è stata uccisa dalla polizia per una ciocca di capelli che le usciva fuori dal velo”.
Ma c’è anche un’altra contraddizione che Piperno nota, più sottile. Nella prima parte del suo romanzo, il protagonista viene rimosso dell’insegnamento di letteratura francese in seguito alla citazione di una frase misogina di Flaubert che scatena la protesta delle studentesse. Dice: “E’ singolare che l’antisemitismo venga sdoganato in un periodo storico come il nostro in cui va imponendosi un controllo ossessivo del linguaggio, una vera e propria campagna per l’igiene verbale. Nelle nostre società, è aumentato significativamente il numero di cose che è sconsigliabile dire. Alcune rischiano di farti incorrere in guai molto seri. Negli Stati Uniti, un mio amico italianista è stato invitato dalle autorità accademiche al prepensionamento perché aveva avuto l’imprudenza di confessare a una ricercatrice della stessa università di essersi innamorato di lei. Aveva moglie e figli, e questa è stata considerata un’aggravante. Grazie al cielo l’Italia ha una cultura cattolica e certi peccati, benché formalmente condannati, vengono di fatto perdonati. Mentre l’impronta puritana degli Stati Uniti, settaria, inflessibile, a volte stupida, non lascia scampo. Nonostante ciò, anche nel nostro Paese sta dilagando un’ipocrita forma di censura su argomenti considerati sensibili. Io stesso tendo ad autocensurarmi in contesti sociali e professionali. Anche in Italia è possibile finire macellati dalla gogna. Magari non per uno scandalo sessuale. Ma per reati di opinione sì, eccome”.
Secondo Piperno, tutto ciò è responsabilità di una classe accademica e intellettuale che “ha insegnato a vedere nella civiltà occidentale soltanto la sporcizia”. E’ da qui che nasce l’incitazione alla rivolta purificatrice che ambisce alla pulizia delle parole, alla sovversione delle strutture sociali, alla manomissione della storia. “Sono battaglie che si combattono esibendo la bandiera della giustizia. Ma, in fin dei conti, ciò cui aspira chi le sventola è il potere. Non nego che in parecchi siano in buona fede e coltivino un sentimento genuino di giustizia. Ma penso che non ci sia rivoluzione, neanche la più progressista, che non rischi di sbandare a destra. E’ una legge ferrea della storia. Penso ai giacobini che hanno abbattuto l’aristocrazia francese per poi instaurare il Terrore. Ai bolscevichi che hanno rimosso la zar per sostituirlo in seguito con un regime non meno dispotico. Ecco perché certe volte mi viene il sospetto che un potere valga l’altro”.
E’ per questo che Piperno non lotta per scongiurare il peggio? “Io sono uno scrittore. Non ho la presunzione di pensarmi più giusto o ragionevole di chiunque altro. Non aspiro a cambiare il mondo. Anzi, trovo deliranti gli artisti che si classificano in base all’appartenenza politica. Che senso ha prendere partito fuori dai propri libri? Ne L’educazione sentimentale, Flaubert mette in scena sia i rivoluzionari che i contro-rivoluzionari gettando su entrambi il suo sguardo perplesso e satirico. Di fatto non si schiera né da una parte né dall’altra. Si limita a osservare e a registrare con spirito critico la realtà. E’ questo sguardo obliquo a rendere quel romanzo un capolavoro, non certo le opinioni del suo autore, che peraltro non ci è dato di conoscere”.
Dopo la censura del monologo su Giacomo Matteotti a Rai 3, lo scrittore Antonio Scurati ha detto che in Italia è in atto “una svolta illiberale”, accusando gli intellettuali moderati e liberali che scrivono sul Corriere della Sera di normalizzare ciò che sta avvenendo, così come è già accaduto cento anni fa con il fascismo. “Che vuole che le dica? Conosco Scurati da tanti anni, siamo amici, non so dirle se ce l’avesse con me ma tenderei a escluderlo”, dice Piperno. “Quel che so è che non c’è posizione politica che possa contenere ciò che sento e soprattutto ciò che sono. Non firmo appelli, non sventolo bandiere, non faccio marce di protesta”.
Da quando è al governo Giorgia Meloni, una parte degli intellettuali italiani sente il dovere di resisterle, e ogni giorno è in allerta ad auscultare i progressi della svolta autoritaria. Ma anche la destra ci mette del suo, agitando continuamente lo spettro dell’egemonia culturale. Piperno invece è prevalentemente estraneo a tutto ciò. Per lui la letteratura è un rito. “Mi sveglio presto, mezz’ora dopo sono in metropolitana diretto in studio, dove dedico quattro o cinque ore alla scrittura”. Per il resto, esaurito il lavoro all’Università, dove insegna Letteratura francese, ha un appuntamento fisso con la tv spazzatura. “Passo interi pomeriggi in preda a un delirio catodico”. Ma quando gli chiedono se ha paura o no del fascismo cosa risponde? “C’è un bellissimo racconto dei Sillabari di Goffredo Parise che si intitola Antipatia. E’ un ritratto satirico di un personaggio dalla faccia ossuta a forma di pugno, chiaramente ispirato a Pier Paolo Pasolini. E’ un intellettuale che sente continuamente il dovere di schierarsi su questo o quell’argomento e chiede al suo interlocutore di fare altrettanto, di schierarsi al suo fianco. Ma il Narratore di Parise, dopo aver ascoltato l’accorato appello, risponde sempre: ‘Può darsi, ma non me ne intendo’. Come lui, nemmeno io mi intendo di Europa, di scuola, di vaccini, di riforme della giustizia o di assetti istituzionali. Di più: me ne infischio dell’Europa, della scuola, dei vaccini, delle riforme della giustizia, degli assetti istituzionali”.
Non tutti gli intellettuali impegnati sono uguali, però. Nemmeno per Piperno. “Confesso di avere un debole per Sartre. Non per ragioni ideologiche, naturalmente, ma stilistiche. Adoro la sua prosa piena di energia. E’ così evidente che avesse torto quasi su tutto, a cominciare dalle sue simpatie sovietiche. Eppure la sua scrittura insolente e spregiudicata mi suscita un moto di simpatia incontrollabile. Del resto, Sartre incarna una strana contraddizione. Se come narratore è passato di moda, come maître à penser continua a offrire a qualsiasi scrittore di terz’ordine la scappatoia della buona causa dietro cui nascondere la propria modestia. E’ un curioso paradosso: i suoi romanzi languono sugli scaffali delle biblioteche mentre la sua militanza fa proseliti. In suo nome agiscono i burocrati della protesta, secondo cui il dovere di chi scrive è schierarsi, prendere posizione, scegliere la parte giusta della storia e scagliarsi contro quella sbagliata. Ecco: io, semplicemente, preferisco di no, grazie”.
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