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Siamo un paese di letterati. Perché della tecnologia ci manca persino l'abc

Antonio Pascale

Il progresso tecnologico ha reso il mondo un posto migliore ma diverso dal nostro ambiente di routine (lavorare la terra). Per questo serve un grande sforzo di adattamento per metterci alla pari e colmare il mismatch

Il sostantivo mismatch non va molto di moda, non stimola chissà quali riflessioni, eppure è uno dei quattro pilastri che fondano la natura umana (gli altri tre sono: sintomi, trade off e precursori naturali). Però che peccato, eh. Ci applichiamo alla cronaca spicciola, siamo combattivi per facezie e dimentichiamo l’essenziale. Il mismatch segnala una dissonanza. Sì, una dissonanza esistenziale tra noi e l’ambiente, nel senso che noi rimaniamo i soliti idioti ma l’ambiente cambia molto e più cambia, più abbiamo difficoltà a capirlo. Più diventiamo idioti, più lasciamo libero spazio a certi psicologi (spopolano sul web) che ci spiegano come fare a diventare meno idioti (naturalmente seguendo il loro corso personalizzato). Il fatto è che la tecnologia ha reso il mondo un posto migliore ma diverso dal nostro ambiente di routine (lavorare la terra). Dovremmo quindi fare un grande sforzo di adattamento per metterci alla pari, cosa alquanto difficile, da qui il mismatch. Molto probabilmente, la nostra mente così pigra per allenarsi dovrebbe imparare l’abc tecnologico: sarebbe un insegnamento fondamentale. Può sembrare strano ma ci sono invenzioni che usiamo con grande naturalezza e di cui, non dico ignoriamo la portata (e per forza, è una conseguenza del mismatch) ma non sappiamo nemmeno identificarle (poi, è chiaro sarebbe utile provare a capire come funzionano). 

Di recente, lo scrittore Charlie Warzel ha scritto sull’Atlantic un elogio del numero di telefono: è qui con noi dal 1879 e resiste a tutto, cambiano i formati video, cambiano i software, gira il mondo ma il numero di telefono no, è come un agricoltore che produce il grano e da questa pianta erbacea ricava il pane, l’essenziale. Comunque, già è bello che uno scrittore come  Warzel diriga una newsletter di tecnologia. Perlomeno segnala una differenza. Noi letterati italiani ci definiamo letterati solo se facciamo abbondante uso della retorica dell’apocalisse (chissà perché ci sentiamo così speciali da vedere ’sta fine del mondo) o citiamo Pasolini o altri: siamo poco interessati alla cultura tecnologica. Non la capiamo proprio. Chiaro, la usiamo a man bassa, però sotto sotto facciamo nei convegni penitenza: ci accusiamo l’un l’altro di hybris (gli specialisti del genere tracotanza umana sono molto ricercati dai media). Insomma, risultato? Interrogati su alcune questioni tecnologiche non sappiamo niente, ci manca proprio l’abc. Vabbè, voi dite, che ci frega a noi di TikTok?  E no, è chiaro, pure io nei convegni me la prendo con la piattaforma cinese  che abolisce la nostra poetica, e pure parlo di Pasolini che aveva previsto tutto, ma intendo che non sappiamo niente di alcune cose essenziali che la tecnologia ha reso possibili: tipo l’energia. Che ne sappiamo di turbine a vapore? Dei trasformatori, dei motori elettrici? Non ne sappiamo niente, perché ci siamo persi l’essenziale, e cioè, per esempio, gli ultimi vent’anni dell’Ottocento,  nei quali si è inventato gran parte delle cose che rendono questo mondo migliore ma anche diverso (dai registratori di cassa, agli ascensori elettrici, al ferro da stiro, all’energia idroelettrica, ai deodoranti, alle lampadine a prezzi accessibili, per non parlare della scoperta e dell’uso delle onde elettromagnetiche). Così ci perdiamo in chiacchiere effimere e litighiamo con tweet non così rimarchevoli. Risultato? Mettiamo su grandi sistemi di pensiero, l’erba voglio insomma, senza fare i conti con l’energia (la sinistra ne sa qualcosa). Parliamo di cultura classica, dei nostri tesori nazionali e via con la retorica. Pochi di noi si pongono obiettivi seri, come per esempio migliorare le turbine a gas o migliorare la capacità di stoccaggio dell’energia con batterie più efficienti e più grandi. Come finisce? Finisce, faccio per dire, che dal 2007 metà della popolazione urbana vive in grandi città, dunque necessita di grandi carichi di energia (e ancora oggi dobbiamo dire grazie alle grandi centrali idroelettriche) e invece di applicarci noi parliamo di borghi abbandonati dove ritrovare noi stessi. Dissonanze, tipiche di chi ignora l’abc tecnologico, numeri di telefoni e turbine e altro ancora che tra l’altro ci fanno essere noi stessi. Poi dite che non dobbiamo parlare di mismatch.