diario di vita

Ed Templeton e il ritratto intimo della sottocultura dello skateboarding

Luca Fiore

Un viaggio visivo nel mondo dello skate. Ribellione e autenticità raccontate attraverso lo sguardo affascinante di un artista poliedrico

Ed Templeton è un fotografo, pittore, graphic designer californiano, nato nel 1972 a Garden Grove, a sud di Los Angeles. È anche un’icona dello skateboard, campione mondiale appena diciannovenne e inserito nella Hall of Fame della disciplina nel 2016. Della tavola a quattro ruote ha fatto la sua professione dal 1990 al 2012. Nel frattempo, con al collo una Leica M6, ha documentato la vita della sua crew, la Toy Machine, durante i tour promozionali in giro per gli Stati Uniti. Templeton ha alle spalle oltre una ventina di libri e mostre al Palais de Tokyo, a Parigi, e al Man di Nuoro. Ora Aperture, tra gli editori di fotografia più prestigiosi, ha deciso di raccogliere il suo lavoro attorno al mondo degli skateboarder in un volume intitolato “Wires Crossed”.

 

Il libro si apre con il ritratto di un ragazzo con le spalle appoggiate a un muro di mattoni. Accanto a sé ha la sua tavola, decorata con un piccolo stancil di un AK-73. Una coppola in testa, jeans, e una camicia con scritto: “Be reasonable, demand the impossibile”. Il frontespizio, scritto a mano dall’autore, recita: “Un’indagine fotografica non lineare durata diciassette anni, a cavallo tra lo spazio intermedio tra soggettivo e oggettivo, sulla sottocultura dello sketeboarding e sulle sue usanze e riti endemici”. Seguono oltre 260 pagine fitte di fotografie a colori, in bianco e nero, polaroid, disegni, mappe, appunti, didascalie scritte a mano, interviste ai protagonisti di quegli anni. Alle immagini delle acrobazie si alternano quelle dei momenti di riposo: le sigarette, le birre, i baci, i bagni nei fiumi, i viaggi in furgone, gli hamburger, le canne, le docce. Ma anche gli episodi di bagarre con la polizia. E tanti lividi, punti di sutura, nasi rotti. Templeton ci mostra la lastra del suo collo rotto e quella con i chiodi per tenere insieme tibia e perone, che sentenziò la fine della sua carriera di skater professionista. Il libro è attraversato dall’energia della giovinezza. I corpi, gli sguardi. Il brivido di stare sul crinale tra libertà ed evasione. In un dialogo tra Templeton e Elissa Steamer, la prima ragazza della storia ad essere diventata skater professionista, lui dice: “Quasi tutti gli skater con cui ero amico al liceo provenivano da una famiglia disastrata. Credo che molte delle persone attratte da questa disciplina a metà degli anni Ottanta fossero ragazzi disagiati che non si adattavano a nessun altro ambiente”.

 

“Wires Crossed” si inserisce in una tradizione precisa della fotografia americana che parte da “Teenage Lust” di Larry Clark, del 1968, passa per “The ballad of sexual dependency” di Nan Goldin, del 1986: diari visivi che intrecciano intimità, trasgressione e struggimento. Sono opere di documentazione della vita di comunità circoscritte di giovani, di solito marginali, di solito molto disinibiti, la cui energia è consumata dal tempo. La forte componente diaristica autobiografia, ed è il caso anche del libro di Templeton, è una lama a doppio taglio. La presa diretta, il punto di vista interno al gruppo, permette di raggiungere profondi gradi di spontaneità. Tuttavia, il risultato è fortemente legato al luogo e al periodo storico e l’aspetto documentario rischia di prevalere su quello poetico. Di questo sembra essere consapevole Templeton, che sottolinea, di questo lavoro, soprattutto il contributo di testimonianza.

Il fotografo presenterà il libro a Micamera, a Milano, oggi. 

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