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il commento

Una ragionevole apologia dell'osceno: su Sgarbi e Morgan al Maxxi

Andrea Venanzoni

Nonostante il video integrale sia reperibile facilmente, al rutilante mondo progressista interessano solo quei due minuti di avanspettacolo trash. Da Céline a Roth, dal conservatorismo alla distinzione con il pensiero reazionario, nel colloquio tra i due c'è molto altro

“La nostra origine è oscena, la nostra fine è macabra”.

Lo scriveva Andrea Emo nei suoi poderosi Quaderni di metafisica: è frase che viene subito alla mente riguardando l’intero video e non solo quel filmatino postumo di due/tre minuti con protagonisti Morgan e Sgarbi al Maxxi, polo museale in apparenza trasformato, stando a certe ricostruzioni mediatiche, in set cinematografico di Nando Cicero e subito solcato da battagliere lettere aperte, richieste di dimissioni e cagnara politicante e un po' quacchera sollevata dal rutilante mondo progressista, Calenda incluso. Perché circolano i frame video con le parolacce, gli strepiti, le battute grevi, il sessismo, absit iniura verbis, e allora ci si intorta nel gorgo cieco delle reminiscenze e ce la si prende pure con Maurizio Costanzo, pace all’anima sua, ‘reo’ di aver lanciato lo Sgarbi-personaggio. Qualcuno però, qualcuno di quelli che frignano, piagnucolano, minacciano la carta intestata o peggio quella bollata, agitano lettere aperte in differita, circolate come il video dieci giorni dopo il solstizio d’estate, data in cui tutto è avvenuto, saprebbe dire davvero di cosa abbiano parlato Morgan e Sgarbi in tutto il restante, assai ampio, tempo?

Perché il video integrale è ben visibile, dura un’ora e trenta e non è sprofondato nel dark web cambogiano, eppure sembra non interessare proprio nessuno. Interessano solo, e non sembra difficile comprendere perché, quei due minuti di avanspettacolo trash, con tanto di siparietto telefonico stile Magnotta: a corto di qualunque argomento politico o sociale, a sinistra si sono voluti ringalluzzire gonfiando il petto al grido di ‘quando c’eravamo noi, le mostre arrivavano sempre in orario’, esaltando il nitore intriso di geometrica potenza del Museo sotto la ragionieristica gestione del tempo che fu. Da qui la dimenticanza fatata, la singolare amnesia, della restante parte della conversazione in cui Morgan e Sgarbi hanno colloquiato di e su Céline, del quale da poco in libreria ha visto la luce ‘Guerra’ per la Adelphi, Carlo Michelstaedter, Roth, Salinger, e di tanto altro di cui diremo più oltre. E proprio Michelstaedter sembra aver descritto con mirabile precisione la reazione prevalente tra le istituzioni governate dalla destra, a fronte della polemica insorta e della circolazione del filmatino, “il rimorso per un determinato fatto commesso, che non è pentimento finito per quel fatto, ma il terrore per la propria vita distrutta nell'irrevocabile passato, per cui uno si sente vivo ancora e impotente di fronte al futuro, è il cruccio infinito che rode il cuore”.

A destra, nel corollario pirotecnico di crucci, scuse, giustificazioni, ‘tengo famiglia’, si è fatto come se quella intera serata non fosse consistita di altro che di quei due minuti, abboccando all’amo e invocando un contegno morale che a ben vedere è nemico giurato di qualunque arte, antica o contemporanea che sia. Perché d’altronde, se uno desse retta al furore moralizzatore, a corrente debitamente alternata, della sinistra, verrebbe da far detonare con la dinamite qualunque museo di arte contemporanea degna di tal nome. In fondo, al governo c’era la sinistra quando nel 2016 si pensò bene di inscatolare le statue per non turbare la vista della delegazione iraniana in visita e quindi potrebbe pure darsi che ci sia del vero, purissimo moralismo in tutto questo. Verrebbe da chiedere loro, arrivati a questo punto e avendo appurato che si ritiene più grave qualche parolaccia dell’aver occultato delle nudità marmoree, da chi preferite cominciare nella vostra furbetta iconoclastia?

Dagli azionisti viennesi con il loro sangue, le loro ferite reali, l’urina e le feci spalmate addosso o sulle bandiere, o che so, dalle foto di autentici cadaveri di Andres Serrano, in ‘Morgue’, o dai nudi porno e sadomaso di Robert Mapplethorpe, o dal Chris Burden di ‘Shoot’, spoiler: si fece sparare davvero addosso con una pistola, o di ‘747’, ripreso qui mentre sparava, pure qui sul serio, contro un aereo in fase di decollo? O preferite mettere al bando Marina Abramovich o Carolee Schneemann con la sua performance ‘Meat Joy’ o Marc Quinn con la sua testa decapitata riempita del suo stesso, realissimo, sangue a litri? O perché, già che ci siamo, non bandire per sempre la carnografia purpurea di dolore, morte e macabri destini narrata dalle foto di Teresa Margolles? Mica vorremo lasciare a piede libero poi Marcus Harvey che ebbe la baldanza di realizzare un ritratto della famigerata serial killer Myra Hindley, amante e complice di Ian Brady, composto con impronte digitali di bambino? Sin troppo semplice ripensare poi alla manzoniana merda d’artista, da far raccogliere e smaltire all’AMA, senza dubbio.

Immaginate se qualcuno di questi artisti, e di decine, centinaia di altri, avesse dovuto chiedere scusa per aver pronunciato, creato, realizzato o solo pensato qualcosa di sconveniente o di osceno o di ripugnante per il senso comune. Proprio per questo non esiste alcun caso Sgarbi/Morgan, se non nella strumentalità della bagarre politica. Guardatevela quell’ora e mezza, integrale, tutta bella spiattellata su YouTube. Sentiteli parlare del potere, ‘il potere si manifesta nel dire no a priori’, del conservatorismo e della distinzione con il pensiero reazionario, di Savinio, della Adelphi, di Leopardi, di Hofmannsthal, oltre che degli autori già citati sopra. Guardate tutto con mente scevra di pregiudizio, e se poi alla fine riterrete il tutto ancora sconveniente, osceno, disgustoso, prendete coscienza del fatto che per voi arte al massimo può essere la fotografia che vi siete scattati al mare e che avete postato su Instagram, corredata dalla citazione di qualche libro che non avete mai letto.

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