Unsplash

FACCE DISPARI

“L'esprit di Napoli cattura i francesi”. Intervista allo scrittore Philippe Vilain

Francesco Palmieri

"Sono assolutamente d’accordo con Luciano De Crescenzo, quando diceva che la città partenopea è l’ultima speranza. C’è un forte desiderio in Francia di esplorare la città e la cultura napoletana, specialmente nella musica e nella pittura dell’umanità", dice il letterato francese

Convinto, come Pino Daniele e parecchi di noi, che Napoli abbia mille colori, Philippe Vilain intitolò così – ‘Mille couleurs de Naples’ – il suo penultimo libro, quasi una lettera d’amore a una città da cui gli intellettuali francesi restano sedotti forse più degli altri. Tanto da farne, come Jean-Noël Schifano, costante ispirazione della propria produzione narrativa ovvero da andarci a vivere come nel caso di Vilain, prolifico letterato che ha ispirato anche il cinema e il teatro. È una empatia culturale che torna utile anche alla
diplomazia dopo certe periodiche burrasche politiche. Lo ha testimoniato la visita del capo dello Stato, Sergio Mattarella, per l’inaugurazione della mostra ‘Naples à Paris’ al Museo del Louvre assieme al presidente france Emmanuel Macron.

Vilain intanto non tralascia i colori più forti, e anche cupi, del prisma napolitain, pubblicando per Gremese (che ha tradotto anche altre sue opere) il romanzo ‘Pupetta’, incentrato sulla vera storia di Assunta Maresca, la lady camorra scomparsa due anni fa e protagonista mediatica dell’ultimo cinquantennio del secolo scorso, raccontata in film e fiction tv già quando era viva.
 

Lei, francese di Rouen, ha scritto: “Non sono mai andato a Napoli, ci sono ritornato”. Cosa intende?
Napoli è la città che aspettavo nella mia vita. Non potrei spiegare perché mi ci sia sentito subito a casa né perché abbia fraternizzato rapidamente con i napoletani. Ma non c’è dubbio che ho ritrovato in questo popolo le qualità umane che amo: la solidarietà e l’autenticità. Sono assolutamente d’accordo con Luciano De Crescenzo, quando diceva che Napoli è l’ultima speranza
dell’umanità.

 

Poiché a volte contano anche le coincidenze, Napoli ha svolto con la mostra al Louvre un ruolo utile alle relazioni tra Parigi e Roma dopo le recenti tensioni. Cosa rappresenta questa città per i francesi?

Occupa un posto via via più importante nel cuore dei francesi. C’è un forte desiderio di esplorare la città e la cultura napoletana, specialmente nella musica e nella pittura. C’è voglia di passeggiare nei luoghi del Caravaggio e in quelli dove risuonano ancora le voci dei cantanti castrati come Farinelli. E poi, Napoli è attraente perché resiste alla mondializzazione e introduce alla
sua autenticità culturale in maniera entusiasmante e barocca.

 

Lei cita la musica e la pittura. L’impressione è che i lettori francesi, malgrado si siano moltiplicati negli ultimi anni gli autori italiani tradotti, possano attingere ancora di più dalla nostra letteratura.

I lettori francesi leggono molto la propria letteratura, forse perché la sua storia tanto ricca, combinata a una intensa produzione corrente, fa sì che ci s’interessi meno di quanto si dovrebbe alla narrativa straniera.

Quali sono i suoi libri italiani preferiti?
‘La noia’ di Moravia, ‘La bella estate’ di Pavese, ‘Se questo è un uomo’ di Primo Levi, ‘Ragazzi di vita’ e ‘Petrolio’ di Pasolini.

 

Perché ha voluto scrivere la storia di Pupetta Maresca?

È una delle prime che mi hanno raccontato quando mi sono stabilito in città: una vicenda romanzesca, così incredibile da rappresentare un regalo per uno scrittore. Al di là delle valutazioni morali, Pupetta per il suo carattere tragico non è molto diversa, ai miei occhi, da certe eroine greche come Medea, Elettra o Antigone: una giovane donna che non si sottomette, vittima di una ingiustizia, che non esita a sacrificarsi per lavare l’onta e salvare l’onore.


Pupetta balzò alla fama quando giovanissima e incinta vendicò la morte del marito, un guappo del mercato ortofrutticolo, uccidendo il suo assassino.

Questa donna ci rimanda a un dilemma insolubile: commette un omicidio, l’atto più riprovevole in assoluto, ma lo fa per fedeltà all’amore sacrificando una parte della propria vita. È un gesto incondizionato e lei è l’eroina che in una sorta di trascendenza si fa grande personaggio da romanzo, dotata paradossalmente di un suo ideale di giustizia.

 

Potremmo difficilmente immaginarla nata a Cuneo o a Rovigo. Sembra quasi inevitabilmente figlia della Sirena Partenope.

È una potente incarnazione del popolo napoletano, di carattere forte, passionale, personaggio della dismisura e dell’irrazionalità, una madonna spontanea priva di calcolo, che non teme niente e nessuno. Non si fa dettare legge dagli altri. Sì, in qualche misura rispecchia la stessa Napoli, che malgrado le tante dominazioni straniere non si è lasciata sottomettere. Pupetta come Napoli ci obbliga a ridefinire la rappresentazione ordinaria e manicheista di Bene contro Male, di buoni contro cattivi. Non c’è più un rapporto tra opposti, ma una relazione associativa, di complementarietà incestuosa. Il Bene con il Male.

Però in letteratura, negli ultimi tempi, Napoli è rappresentata con dovizia da una corriva produzione giallistica.

È un problema più generale cui ho dedicato due saggi: ‘La passion d’Orphée’ e ‘La littérature sans idéal’. Si tende sempre più alla
commercializzazione, anche in Francia. Chiunque possieda una storia pensa che ciò basti per essere scrittore.

Come Céline, lei dice che è lo stile a fare uno scrittore?

Sicuramente. Una buona storia non basta. Ce l’hanno tutti. Quel che conta è il modo di raccontarla. È il modo, che fa la letteratura.
 

Di più su questi argomenti: