(foto Wikipedia)

il foglio del weekend

Il paradosso Ivan il'in, il filosofo amato da Putin

Maurizio Stefanini

Era anti bolscevico e fu esiliato da Lenin. Un personaggio controverso raccontato dalla studiosa Olga Strada

Il 29 settembre 1922 l’incrociatore “Oberbürgermeister Haken” salpò da Pietroburgo verso l’allora tedesca Stettino con a bordo un carico di professori, ingegneri e pensatori. Intellettuali che si erano rivelati assolutamente inadatti a essere integrati nel nuovo modello sovietico in costruzione dopo la Rivoluzione d’Ottobre, ma che Lenin preferì mandare in esilio piuttosto che nei gulag o davanti ai plotoni di esecuzione. “Piroscafo dei filosofi” fu chiamato, assieme a un altro che salpò il successivo 16 novembre. Non si sa esattamente quanti furono, ma la cifra più riferita è 272. Esattamente un secolo dopo, il 30 settembre 2022 Putin, nella sua guerra di aggressione all’Ucraina, con un discorso ha annunciato l’annessione al corpo della Federazione russa di quattro territori ucraini: Donetsk, Luhansk, le regioni di Kerson e Zaporižžja. 

 

Entrambi sono gesti che esprimono un potere autoritario, ma in chiave quasi opposta. I “piroscafi dei filosofi”, infatti, rappresentavano un regime che si percepiva talmente debole da sentirsi costretto a espellere dalla comunità dei russi gente di qualità che avrebbe voluto continuare a farne parte. Le annessioni esprimono invece un regime che si percepisce talmente forte da potersi permettere di includere a forza nella comunità dei russi gente che ha resistito per non farne parte. Eppure, tra i due eventi c’è un elemento in comune. Tra i “filosofi” espulsi il 29 settembre 1922, infatti, c’era, Ivan Aleksandrovic Il’in, che era nato a Mosca il 9 aprile 1883, e sarebbe morto esule a Zollikon (Cantone di Zurigo) il 21 dicembre 1954. E il discorso di Putin del 30 settembre 2022 si concludeva proprio con una citazione di Il’in. “Se considero la Russia come la mia Patria, significa che amo, rifletto e penso secondo lo spirito russo, canto e parlo in russo; ho fiducia nelle forze spirituali del popolo russo. Il suo spirito è il mio spirito; il suo destino è il mio destino; le sue sofferenze sono il mio dolore, il suo rigoglio è la mia gioia”.


L’arrivo del “piroscafo dei filosofi” a Stettino, con gli intellettuali che Lenin preferì mandare in esilio piuttosto che a morte o nei gulag


“E’ una frase dal testo di Il’in del 1937: ‘Per una Russia nazionale. Il manifesto del movimento russo’”, ci conferma Olga Strada. Figlia del Vittorio Strada che fu forse il più grande slavista italiano del XX secolo, a sua volta nota esperta di cose russe e dal 2015 al 2019 direttrice dell’Istituto Italiano di Cultura di Mosca, Olga Strada è la curatrice di “Ivan Il’in e il discorso politico di Putin”: volume appena pubblicato da Aspis, con prefazione di Olga Strada e un saggio conclusivo di Aldo Ferrari, (120 pp., 20 euro), che raccoglie altri due suoi scritti. Uno è “Sulla Russia. Tre discorsi”, pubblicato per la prima volta nel 1934 a Sofia, dopo essere stato pronunciato nel 1926 a Berlino in occasione della Giornata della cultura russa che ogni anno veniva celebrata tra gli emigrati il giorno dell’anniversario del poeta Aleksandr Puškin. L’altro è “Cosa riserverà al mondo lo smembramento della Russia”, scritto nel 1950, e poi incluso nel 1956 nella raccolta di articoli “I nostri compiti”. Due saggi che, spiega Olga Strada nella prefazione, “costituiscono motivo di interesse per comprendere, dopo il crollo dell’Unione sovietica, l’attenzione che in Russia si è accesa nei confronti dei suoi interventi dedicati alle problematiche che il paese avrebbe dovuto affrontare nel momento di un inesorabile cambiamento”.

 

“Alla fine del discorso, Putin ha citato Ivan Il’in, un teorico anticomunista che era stato esiliato in Svizzera”, commentò anche il Washington Post, spiegando senza troppe perifrasi che “gli storici spesso si riferiscono a Il’in come fascista. E’ noto per una visione del mondo idiosincratica che combinava visioni cristiane e monarchiche più tradizionali con teorie del complotto e visioni quasi mistiche del potere dei leader”. “Ed è successo: Putin ha appena citato il filosofo fascista Il’in”, twittò Christo Grozev: il giornalista investigativo bulgaro di Bellingcat che il ministero degli Affari interni russo ha inserito nella lista dei ricercati. Ma già il discorso con cui a febbraio Putin aveva annunciato l’aggressione era stato infarcito di riferimenti per cui ad esempio a marzo anche il Corriere della Sera aveva dedicato un ritratto a “Ivan Il’in, il filosofo (fascista) più citato da Putin”. Di Il’in come ideologo del “fascismo di Putin” parla anche anche Slavoj Žižek: il filosofo sloveno che una certa nuova sinistra aveva eletto a proprio guru, prima di demonizzarlo quando ha scritto che all’aggressione di Putin si può rispondere solo con le armi. E già nel 2018 proprio sul Foglio Giulio Meotti lo aveva ricordato come uno dei pensatori che Putin raccomandava di leggere ai membri del suo partito. “Un pensatore che negli ultimi anni ha conosciuto una certa notorietà come ‘filosofo di Putin del fascismo russo’ e ‘primo amore filosofico del presidente’” lo presenta Aldo Ferrari in “Ivan Il’in e il discorso politico di Putin”: saggio che conclude appunto questo volume ora uscito.


Grande conoscitore di Hegel e Kant, scrive “l’opera principale di tutta la scuola del liberalismo russo”. Poi la conversione a destra


Anche l’ultimo discorso di Putin di lunedì, peraltro, attinge a Il’in con larghezza. “Qui voglio parlare del carattere del nostro popolo. Si è sempre distinto per generosità, ampiezza d’animo, misericordia e compassione. E la Russia come paese riflette pienamente queste caratteristiche”, ha detto il presidente russo secondo la Tass. “Ci è stato dato come pegno, come promessa, come graziosa testimonianza del fatto che, nella nostra ampiezza e passione, e in infinita generosità, c’è, può essere e sarà trovata e creata una forma talmente perfetta, talmente completa, quale ogni nazione ha sempre vagheggiato e continuerà a vagheggiare per sé medesima”, si trova a pagina 53 di questa antologia.   

 

In realtà, ci ricordano le note biografiche riportate nel libro, pur figlio di un aristocratico impiegato nell’avvocatura dello stato, Il’in non era neanche russo al 100 per cento, avendo una madre tedesca e luterana. Grazie alla perfetta conoscenza della lingua materna fu un grande conoscitore di Hegel e Kant, e nel 1918 la sua tesi di dottorato “La filosofia di Hegel come dottrina della concretezza di Dio e dell’uomo” gli valse non solo il titolo di Dottore delle scienze e l’ordinariato, ma anche il prestigio di autore di quella che viene considerato “l’opera principale di tutta la scuola del liberalismo russo”. Un liberalismo che dopo la Rivoluzione di Febbraio ha peraltro già piegato verso i Socialisti rivoluzionari di Kerenskij. Ma intanto c’è stata anche la Rivoluzione di Ottobre, e nella guerra civile che segue Il’in sterza a destra, diventando un ideologo dei Bianchi del generale Pëtr Vrangel’. Elabora dunque una visione che in pratica propugna il ritorno a uno zarismo più efficiente, con un capo incontrastato aureolato di una investitura popolare ma più nel senso carismatico di Weber che democratico, e un nuovo impero russo capace di farsi strumento della irrinunciabile missione spirituale del popolo russo nel mondo. 

 

Al suo interno, anche etnie minori potranno trovare un giusto riconoscimento della propria identità, a patto ovviamente di riconoscere il ruolo guida del popolo russo, e di rinunciare a sogni di indipendenza assurdi. “Non ci vengano a dire poi che le ‘minoranze nazionali della Russia erano assoggettate alla parte maggioritaria russa e ai suoi Sovrani”, scrive. “Questa non è che una fantasia priva di senso e fondamento. La Russia imperiale non ha mai denazionalizzato le sue minoranze etniche, a differenza, ad esempio, dei tedeschi in Europa occidentale”. Esule anticomunista e antisovietico, Il’in però avverte: “Dobbiamo essere preparati al fatto che i fautori dello smembramento della Russia cercheranno di portare avanti la loro azione ostile e insensata anche nel caos post-bolscevico, presentandola in modo insidioso come il massimo trionfo della ‘libertà’, della ‘democrazia’ e del ‘federalismo’: perché le popolazioni e le etnie russe si estinguano, gli avventurieri a amati di carriera politica ‘prosperino, i nemici della Russia trionfino. Dovremo essere pronti a questo, in primo luogo, perché la propaganda tedesca ha investito troppi denari e sforzi nel separatismo ucraino (e forse non solo ucraino); in secondo luogo, perché la psicosi della pseudo ‘democrazia’ e del pseudo ‘federalismo ha incorporato ampie cerchie di ambiziosi post-rivoluzionari e carrieristi; in terzo luogo, perché il mondo che si muove dietro le quinte, determinato a smembrare la Russia, verrà meno alla sua decisione solo di fronte al totale tracollo dei suoi progetti”.


“La propaganda tedesca ha investito troppi denari e sforzi nel separatismo ucraino. Un mondo determinato a smembrare la Russia”


Ripetiamo: scritto nel 1950! “E così, quando, dopo la disfatta dei bolscevichi, la propaganda mondiale lancerà nel caos panrusso lo slogan ‘Popoli dell’ex Russia, separatevi!’, ci troveremo di fronte a due possibilità: la prima che in seno alla Russia prenderà piede una dittatura nazionale russa, che afferrerà le ‘redini’ del potere nelle sue forti mani, disattiverà questo fatale slogan e condurrà la Russia all’unità, troncando tutti e ogni genere di movimento separatista nel paese”. Putin! “La seconda che una simile dittatura non avrà luogo, dando vita a un caos senza precedenti fatto di dislocazioni, ritorni, vendette, disordini, collasso dei sistemi di trasporto, disoccupazione, fame, freddo e vuoti di potere. In questo caso la Russia sarà inghiottita dall’anarchia e si consegnerà ai suoi nemici nazionali, militari, politici e religiosi. La Russia cadrà in quel turbinio di sommosse e disordini”. E ricorda il modo in cui sono ricordati gli anni di Eltsin. 

 

“Pare che Lenin tenesse in alta considerazione Il’in, in particolar modo per i suoi studi dedicati a Hegel”, ricorda Olga Strada nella prefazione. “Il leader bolscevico stesso, dopo l’ennesimo arresto subito dal filosofo nel settembre del 1922, ne ordina la scarcerazione e la partenza, entro sette giorni, a bordo del ‘piroscafo dei filosofi’”. Appunto perfettamente bilingue in tedesco, stabilitosi con la moglie a Berlino, Ivan Il’in si inserisce subito nella vita culturale e lavorativa, assumendo il ruolo di docente presso l’Istituto scientifico russo, creato dalla diaspora russa nel febbraio del 1923. E’ lui stesso a teorizzare una affinità tra il fascismo e il movimento bianco, che dopo l’ascesa di Hitler al potere viene tranquillamente esteso al nazismo. Ma col nazismo si rivela presto impossibile convivere, Il’in viene arrestato, e deve infine esiliarsi in Svizzera, dove rimarrà fino alla morte. Nel 2005 le sue spoglie torneranno però in Russia per essere traslate al monastero Donskoj di Mosca, con una cerimonia di risepoltura voluta da Putin in persona. 

 

Di questa fascinazione si è occupato anche Owen Matthews: un londinese che per molti anni è stato corrispondente per Newsweek dalla Russia, cui comunque è legato per una illustre discendenza materna. Già onnipresente nei talk show russi ed abbastanza popolare da essere scritturato per interpretare un ambasciatore Usa in una serie tv, Matthews subito dopo l’inizio della guerra iniziò a scrivere “Overreach: The Inside Story of Putin and Russia’s War Against Ukraine”. Vi spiega che una passione per Il’in la aveva in realtà Yuri Kovalchuk: l’oligarca settantenne descritto dal governo degli Stati Uniti come “stretto consigliere” di Putin e “banchiere personale” durante il 2014. Secondo una fonte vicina al Cremlino, i due sono stati “quasi inseparabili” nel periodo di forte isolamento cui Putin si è sottoposto durante la pandemia, per una paura paranoica del contagio virale che in molti hanno letto come strettamente collegata al suo timore per i contagi ideologici. Kovalchuk, attraverso la sua holding National Media Group, ha un controllo sulle notizie che arrivano ai russi. Secondo Matthews, sarebbe stato lui a far conoscere Il’in a Putin.

 

“Per immaginarsi un quadro chiaro della Russia in una condizione di tale prolungata follia, è sufficiente immaginare il destino dell’Ucraina Indipendente”, ha scritto anche Il’in. “Questo stato dovrà prima di tutto creare una nuova linea difensiva da Ovruc a Kursk e poi attraverso Char’kov a Bakhmut e Mariupol. Di conseguenza, sia la Grande Russia che la Repubblica del Don (Donskoe Vojsko) dovranno fare fronte comune contro l’Ucraina. Entrambi i paesi confinanti sapranno che l’Ucraina è dipendente dalla Germania ed è il suo satellite”. Previsione o ispirazione? “Da tutto ciò si evince che il piano volto allo smembramento della Russia ha il suo limite nel reale interesse della Russia e dell’umanità intera”. 


“Ma è tutto decontestualizzato da parte di Putin. Il’in vedeva la salvezza della Russia in una dittatura nazionale al di sopra delle classi”


“Ovviamente è tutto decontestualizzato da parte di Putin”, osserva però Olga Strada. “Perché quando Il’in scrive questo testo uno dei pilastri del manifesto era un forte anti bolscevismo e anticomunismo. Il’in vedeva la salvezza della Russia in una dittatura nazionale al di sopra delle classi, una sorta di fascismo”. Ma chi è, insomma, Ivan Il’in? “Prima di tutto era uno studioso di filosofia, un esegeta del pensiero di Hegel. I suoi studi dedicati al filosofo tedesco sono da considerarsi fondamentali. Secondariamente, soprattutto nella parte della sua vita passata da emigrato, era un patriota che si è battuto per una Russia libera dai bolscevichi e per immaginare un futuro geopolitico del paese quando l’esperimento comunista sarebbe giunto a termine”. E qual è il senso di riproporlo in italiano oggi? “E’ un pensatore poco conosciuto ma del quale si è parlato molto. I due testi proposti nella versione italiana permettono al lettore di inquadrare in modo più ampio la questione dialettica Russia-occidente e fornire qualche strumento storico-critico in più per capire la contingenza in atto”. Ma qual è il suo esatto rapporto con Putin? “Spesso Putin nei suoi discorsi ufficiali si è avvalso di citazioni tratte dagli scritti di Il’in, sopratutto da ‘I nostri compiti’. Diciamo che alcune riflessioni di Il’in si sono inserite organicamente nella dottrina sul particolare cammino della Russia elaborata dagli ideologi del Cremlino”. E in che modo è “tornato alla moda”? “Già all’inizio degli anni 90, in Russia gli scritti di Il’in sono tornati in auge. Dapprima alcune pubblicazioni di testi sparsi, quindi l’edizione della sua opera omnia. Non solo Il’in, ma anche tutta una serie di pensatori vissuti in emigrazione il cui pensiero era bandito in Urss”.

 

Proprio perché semplifica molto il quadro, è sempre una tentazione forte leggere gli autori russi nella chiave di una contrapposizione tra slavofili e occidentalisti. Ma secondo Olga Strada “più che nel contesto di questo dibattito che storicamente  si era sviluppato prima, il pensiero di Il’in si è inserito nel contesto dell’emigrazione russa, meno compatta di quello che si potrebbe immaginare. Si pensi ad esempio al fenomeno dell’eurasismo, che esaltava i valori culturali e spirituali del mondo asiatico, o del Tramonto dell’occidente. Il’in pure era portavoce di questo pensiero, ma da posizioni politiche diverse”.

 

Ma a questo punto viene l’altra domanda più generale: è corretto inserire il dibattito slavofili-occidentalisti nel più generale dibattito tra omologhi di queste opzioni che si sono avute in tutte le aree del mondo diverse dall’occidente, in reazione alla grande espansione politica e economica dell’occidente stesso: dall’America Latina alla Cina passando per l’islam o l’India…? “Sicuramente il modello Europa è andato in crisi più volte nel corso della storia, nel 900 e nel nostro secolo con maggiore intensità. Le nuove realtà geopolitiche hanno maturato i propri motivi di ‘distacco’ da tale modello, che tuttavia riesce sempre a rinnovarsi e a superare gli attacchi a cui è sottoposto. Bisogna vedere se gli anticorpi di cui esso è dotato saranno in grado, ancora una volta, di rinnovarlo”. Dunque? “In questo senso, forzando i confini della diatriba slavofili-occidentalisti, tale dibattito può essere inserito in questo contesto. Ma solo in parte”.

Di più su questi argomenti: