FACCE DISPARI

La poetessa e traduttrice Rossella Pretto: “Siamo tornati nella Terra desolata di un secolo fa”

Francesco Palmieri

Tra T.S Eliot e suo nonno Elio Chinol, illustre anglista. "Viviamo anche noi in una società del frammento e stiamo assistendo a eventi traumatici simili a quelli che patì l’Europa d'allora. L'Ucraina e il Covid riverberano tutto questo insieme al senso di una crisi individuale e collettiva"

Siamo tornati, cent’anni dopo che T.S. Eliot la scrisse, nelle atmosfere della “Terra desolata” e cerchiamo nuovamente, riaccostando gli sparsi frammenti, di puntellare le nostre rovine. È all’ombra del grande autore americano che guardò all’Europa; è seguendo le tracce del nonno Elio Chinol, illustre anglista; è inseguendo lo spettro tragico di Macbeth per la Scozia che Rossella Pretto, poetessa e traduttrice, svolge il filo della sua ricerca nella quiete decentrata di Vicenza, dove è nata e vive adesso dopo diversi anni di assenza. Si ritiene “una depositaria delle storie, quasi tutte non mie”, e se le va a pescare per la maggior parte fra i poeti morti, ultimo in lista il Nobel irlandese Seamus Heaney di cui ricorrerà ad agosto il decennale della morte.

 

Poetessa è parola perigliosa. Forse va specificata meglio.
È la possibilità di ritrovare voci sparse nel buio, è la ricerca delle tracce da percorrere mettendo i piedi sulle orme che hanno la stessa dimensione delle mie. Un tempo ho fatto l’attrice prestando il corpo alle parole perché potessero accadere, poi ho pensato che potevo scriverle io stessa perché altri corpi le reinterpretassero.

 

Nel maelstrom di adesso “fare” il personaggio conta quanto i contenuti.
Ammiro molto chi s’atteggia a personaggio. Ci vuole carattere e forse non ne ho ancora abbastanza. Mi sento una vecchia signora da quando avevo 25 anni, e ormai 20 da allora ne sono trascorsi.

Si veste a lutto? Esibisce qualche estrosità? Magari beve? Ha tatuaggi? Fa perlomeno un po’ di yoga?
Non ho tatuaggi, non bevo e mi vesto normale. Non pratico yoga perché mi basta e avanza portare il cagnolino a passeggio. Come poetessa sono dunque messa male?


Nemmeno è iscritta alla societas dello schwa? Ai Fridays for future? O se ne frega di tutt*?
Per carità. Appoggio le rivendicazioni femminili ma non la contrapposizione come elemento di scontro a ogni costo. L’aggressività diffusa, a partire dai social, è la spia di una società di massa molto impaurita, molto impoverita. L’ossessiva difesa di ogni diversità è la prima nemica di chi coltiva le vere differenze.

Lei ha curato l’anno scorso l’edizione della “Terra desolata”, tradotta da suo nonno Elio Chinol. Ci ritrova, in quel capolavoro del 1922, un ritratto del mondo di oggi?
Il grande punto di contatto è nel gioco compositivo con cui Eliot accostando frammenti genera significati. Viviamo anche noi in una società del frammento e stiamo assistendo a eventi traumatici simili a quelli che patì l’Europa d’allora, sul grande campo di battaglia della Prima guerra mondiale e con la terribile epidemia di spagnola. Il conflitto in Ucraina, il covid e i lockdown riverberano tutto questo e con questo anche il senso di una crisi individuale e collettiva, l’ansia di una visione che offra un futuro, la speranza della pace. Il poemetto di Eliot si chiudeva con quell’invocazione delle Upanishad che vale anche oggi: “Shantih shantih shantih”.

Il suo ultimo libro, “La vita incauta” (Editoriale Scientifica), è dedicato come “Nerotonia” del 2020, alla sinistra figura shakespeariana di Macbeth, con un viaggio alla ricerca della sua tomba. Perché questo fantasma la ossessiona?
C’è un Macbeth in ciascuno di noi perché siamo tutti alla ricerca di un posto nel mondo e tutti incontriamo le streghe interiori che ci spingono a realizzare gli scopi. Però che senso ha se dovrà avere un termine? È meglio agire o accettare serenamente la propria vita come una sorta di predestinazione? Macbeth è terrificante, ma ognuno con le sue azioni porta male nel mondo in misura diversa. Lui resta preda dei suoi fantasmi a differenza di Lady Macbeth, che ha le mani sporche di sangue come le sue ma dice “io mi vergognerei di avere un cuore così bianco”. Lo esorta a superare i rimorsi e a governare per cercare uno spiraglio di redenzione attraverso nuove azioni. Un messaggio inascoltato, e anche con questo ci confrontiamo tutti.

La “memoria di Shakespeare”, che in un racconto di Borges può diventare un incubo, e che per Bloom è il cardine del “Canone”, può essere valorizzata da un soggettivo approccio poetico?
Credo a quel che affermava Pessoa negli scritti esoterici. Quando c’è stata una profonda comunicazione con certe anime, non necessariamente per averle incontrate in altre vite ma perché viaggiano nel tempo e nello spazio, possiamo percepirle nostre contemporanee. Sentirle contigue per questa ragione. Come nel caso di Shakespeare.

È un invito alle esperienze immaginali?
La vita è intessuta di connessioni che talvolta si manifestano con eventi straordinari e più spesso rimangono sottese, ma è un fatto che dialoghiamo con le generazioni del passato al di là della loro presenza fisica. Tempo e spazio sono interconnessi, perché il tempo in fondo non è che un tentativo di accasarsi trovando il posto giusto. Un giorno, quando abitavo a Roma, mi capitò camminando vicino al Colosseo di sentire la polvere dei secoli che mi si adagiava addosso, ebbi proprio la percezione fisica del Tempo che mi stava sfiorando. Per provarlo bisogna lasciare la porta aperta allo stupore, che è una delle parole chiave riecheggianti dal buio.

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