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sfortuna e caratteraccio

Guido Morselli: il silenzio e la solitudine dell'agricoltore geniale

Valentina Fortichiari

La lotta titanica dello scrittore con gli editori poco attenti. Stanco del mondo che gli andava stretto, l'ha fatta finita il 31 luglio di 49 anni fa

Ogni anno, avvicinandosi la data del 31 luglio, non posso fare a meno di pensare a Guido Morselli: quel giorno – “stanco di questo mondo e di questa vita” – decise di scomparire. Ovvero di eliminare i propri simili, un suicidio a rovescio come immaginò nel romanzo Dissipatio Humani Generis. Tra un anno saranno 50 anni dal suo gesto e insieme dal suo ultimo messaggio narrativo all’umanità: l’immagine di un mondo deserto, desolato.


Il destino dello scrittore Guido Morselli (1912-73) fu segnato piuttosto precocemente. A otto anni leggeva il giornale e aveva cominciato un romanzo dal titolo La mia vita. Una sonora bocciatura in matematica all’esame di maturità (1928) presso il liceo classico Parini evidenzia in lui – inequivocabilmente – una refrattarietà alle scienze esatte.

 

Cultore da subito di buone letture, durante gli anni universitari (Milano, Università Statale, 1930-34) esordisce nella pratica giornalistica, senza pubblicare, tenendo d’occhio la situazione politica in Europa e in oriente. Alieno a qualsivoglia ideologia, in Libro e Moschetto, rivista dei Gruppi universitari fascisti, trova una testata per i primi lavori: tre articoli nel 1933 (I vecchi e i giovani, Stazione di Firenze, Le tre battaglie del Piave) e il primo raccontino, La dodicesima battaglia (1934). La strada nel mondo della scrittura e delle lettere è tracciata, anche se svogliatamente Morselli prende la laurea in Giurisprudenza, solo per accontentare il padre.

 

Il critico Geno Pampaloni gli restituisce un manoscritto dopo 7 mesi. Dal carteggio trapela il carattere non facile di Morselli: ombroso, suscettibile

 

Rampollo della buona borghesia, perfeziona la conoscenza delle lingue straniere con un Grand Tour in Inghilterra, Scandinavia, più tardi in Germania. Allievo ufficiale all’Accademia di Modena, inviato successivamente a Cala Gonone, nel nuorese sardo, avamposto sul mare privo per lui di attrattive, nel tempo libero alla compagnia dei commilitoni preferisce meditare in solitudine, compilando note diaristiche (pratica che proseguirà per l’intera vita) e abbozzando un breve saggio sui “fondamenti della moralità”, Filosofia sotto la tenda, che riprenderà più tardi. Nel 1955 infatti sottoporrà per la prima volta il manoscritto al giudizio di un autorevole critico, Geno Pampaloni, allora direttore delle Edizioni di Comunità. L’incontro epistolare si sarebbe rivelato uno scontro fra un Morselli ormai quarantenne, indignato per il ritardo nella restituzione del manoscritto (7 mesi anziché i canonici, a suo dire, 15 giorni), che dà lezioni di etica a un Pampaloni, il quale, sia pure strapazzato, non perde il proprio aplomb, anzi reagisce con garbo e attenzioni.

 

Dal carteggio fra i due trapela subito il carattere non facile di Guido Morselli: ombroso, suscettibile, difetti che certo non avrebbero contribuito – anni dopo – a facilitare i contatti editoriali. Questo outsider solitario, consapevole di valere, in parte sfortunato, si sarebbe ammorbidito con l’esperienza, la maturità, e la sequela drammatica dei No che avrebbe collezionato senza arrendersi. 


Con la guerra, Guido Morselli finisce al sud, in Calabria, dove porta con sé un bagaglio costituito soprattutto di libri. Insofferente alla disciplina militare, riveste panni borghesi (ovvero diserta), va a vivere presso un’anziana signora e paga l’ospitalità dando lezioni di italiano e di inglese. Non fa altro che scrivere: per tenersi “allenato” recensisce i testi che si è portato con sé; riempie quaderni di un “diario di guerra”; abbozza due testi futuri, il saggio filosofico Realismo e fantasia, e il primo romanzo Uomini e amori. Porta a compimento un saggio critico, Proust o del sentimento: è il primo parto letterario che, da lontano, il padre a sue spese gli fa pubblicare nel 1943 da Garzanti. Guido non potrà assaporare la gioia di tenere tra le mani il suo primo libro, esordio a 31 anni salutato da lettere al padre e congratulazioni di amici e noti letterati e accolto con entusiasmo dal Corriere della Sera e dalla Stampa.

 

Quando nel 1945 rientra fortunosamente a casa a Varese, dove la famiglia era sfollata da Milano, Morselli deve organizzare la propria vita. Sceglie una libertà fatta di solitudine e di silenzio: a nulla valgono le pressioni paterne per un impiego in ufficio. Finita la stagione di cinema, teatri, circoli culturali, sport e amori (era un giovane colto, affascinante, galante), l’ozio scelto da Guido, un ozio produttivo, caratterizza le sue giornate fatte di letture di classici e di contemporanei. Nei dintorni di Varese, a Santa Trinità di Gavirate, su un rialzo erboso, e con vista sul Monte Rosa, Morselli individuerà il luogo ideale per la scrittura, il suo buen retiro: una casetta che si disegnerà da solo, e farà dipingere di rosa. Zeffirina, comprata dal padre alla fiera di Verona, sarà compagna di lunghe cavalcate.

 

Arnoldo Mondadori accampò difficoltà legate alla impossibilità di individuare una collana nella quale l'opera potesse "degnamente figurare"

 

A detta di Maria Bruna Bassi, che gli fu madre, musa, compagna matura e consigliera, Guido sembrava ancora “un ragazzo, così fragile e sottile. Aveva un carattere difficile estroso instabile: alternava momenti di gioia festosa ad altri di cupa depressione. Infantile a volte, a volte serio, grave, più maturo della sua età. Soffriva di tetre malinconie”. Sintomi bipolari perfetti per assecondare una propensione all’interiorità, alla scrittura, sia pure destinata a fallimenti drammatici sul piano delle pubblicazioni.

 

Il padre, generoso oltre misura, conscio delle ferite sentimentali di un ragazzino che aveva perduto la madre a 12 anni, gli assicura un futuro decente attraverso una rendita e alcuni ettari di terra da coltivare nel bolognese. Non è tutto: questa volta paga ai fratelli Bocca (1947) le spese di pubblicazione del saggio Realismo e fantasia, abbozzato in Calabria; il sottotitolo recita “Dialoghi con Sereno”, ma il libro è piuttosto un monologo in parte autobiografico, un passo a due fra Sereno e il suo alter ego, ovvero le due facce dello stesso Morselli. Guido lo aveva proposto invano ad Arnoldo Mondadori, che accampò difficoltà legate alla impossibilità di individuare una collana nella quale l’opera potesse “degnamente figurare” (giustificazione destinata a diventare nel tempo un refrain tristemente noto); e poi a Feltrinelli, Marzocco, Rizzoli, Frassinelli, Sperling & Kupfer, Longanesi, Vallecchi, Neri Pozza, La Nuova Italia.

 

E’ l’inizio di una interminabile trafila: detestando ricorrere a raccomandazioni, Morselli busserà senza tregua alle porte degli editori in cerca di una “casa” accogliente, adatta ai propri lavori che avrebbero spaziato nei generi, nelle tematiche, assecondando un mercato che seguirà con assidua pignoleria, pervicacemente convinto in cuor suo di essere scrittore “coi galloni”.  Perché da subito destinato al fallimento? Con i due saggi, Proust o del sentimento e Realismo e fantasia, Guido Morselli era riuscito a pubblicare i soli due libri – in vita – della sua carriera, esaurendo il debutto in campo editoriale: l’intera produzione letteraria successiva uscirà postuma.

 

A partire dal dopoguerra il mondo della cultura italiana si organizza, sviluppando in parallelo i mezzi di comunicazione e incrementando l’industria editoriale, dove emergono ai posti di comando personaggi illustri che ne faranno la storia sino al periodo del boom economico negli anni 60, la stagione più felice della produzione morselliana, per quanto non possa dirsi felice sotto il profilo editoriale. Non c’è nei suoi confronti e non ci sarà nessun accanimento del destino; c’è il suo “caratteraccio” (“originalone” era l’epiteto in famiglia).

 

Ci saranno una serie di coincidenze fortuite a suo sfavore, per esempio un cambio di direzione editoriale che comporta quasi sempre la cancellazione del programma antecedente: il romanzo Il comunista era addirittura in bozza, nel 1966, da Rizzoli, ma Sergio Pautasso, che successe a Giorgio Cesarano, ne invalidò la pubblicazione (non esiste nesso, tuttavia il poeta Cesarano sarebbe morto suicida due anni dopo Morselli, nel 1975).  


Dalla fine degli anni 50 e prima della grande stagione dei romanzi maturi, con fiuto e antenne sensibili, Morselli cerca di darsi visibilità al pubblico sui giornali: ci prova invano con Rizzoli al quale propone il progetto di una rivista mensile d’informazione culturale; si offre di collaborare con articoli a un giovane Spadolini, allora direttore del Resto del Carlino, ma gli unici a dargli udienza e spazi saranno Mario Pannunzio su Il Mondo e Guido Calogero su La Cultura. Non abbandona nel frattempo la scrittura narrativa, racconti soprattutto, che manda in giro e a volte riesce a pubblicare su piccole testate.

 

I due saggi "Proust del sentimento" e "Realismo e fantasia" sono gli unici pubblicati in vita: la produzione letteraria successiva uscirà postuma

 

Non ha ancora realizzato che la misura breve non gli è congeniale: ha bisogno piuttosto di distendersi, di costruire un meccanismo romanzesco complesso, articolato e a fiato lungo. Tuttavia il primo romanzo, abbozzato in Calabria, Uomini e amori, viene da lui stesso ripudiato, valutandolo immaturo, il che non lo esime dall’offrirne comunque un estratto, “Capitolo di romanzo”, alla “Provincia di Varese”.


Si cimenta in generi diversi, il teatro per esempio: da una costola di Incontro col comunista, a metà fra un racconto lungo e un romanzo breve (preparatorio in parte a Il comunista), che resta nel cassetto, deduce una commedia teatrale in tre atti, L’amante di Ilaria che propone a Giorgio Albertazzi.

 

Scriverà quattro commedie: la più significativa e originale, Marx ovvero “rottura verso l’uomo”, sarà offerta invano alla compagnia Morelli-Stoppa, a Luchino Visconti, a Gassman. Non avranno esito fortunato neppure tre soggetti cinematografici. Teatro e cinema non sono il suo campo. La radio gli piace, ascolta musica e dibattiti culturali, ha in mente un “Saggio per una lettura radiofonica di tipo divulgativo”, che Rizzoli mostra di non gradire. La fotografia sarà una passione assecondata con metodo scientifico, una forma di scrittura alternativa per non lasciarsi sfuggire scampoli di realtà, di natura, di umanità.

 

Una fervida fantasia non mancava a Morselli che certamente aveva saggiato molteplici e differenti strade artistiche per farsi notare, per emergere. E dunque dove sta l’errore, dove si colloca il passo sbagliato? Quale il senso della sua sconfitta? Certo in un carattere non facile, come si è detto, pronto a scaldarsi. Un esempio per tutti: prima che avesse inizio la processione questuante per i romanzi della maturità, Morselli propone a Einaudi il saggio Fede e critica che finisce nelle mani di Luciano Foà, proprio l’editore che, dopo la morte di Morselli, lo avrebbe finalmente accasato in Adelphi (cominciando dal romanzo Roma senza papa, volutamente scelto per onorare l’anno santo 1974, a un anno di distanza dalla scomparsa dello scrittore).

 

Il manoscritto di Fede e critica, più volte richiesto in restituzione, va perduto, e dopo mesi e mesi di affannose ricerche salterà fuori dalla scrivania di un distratto collaboratore esterno. Troppo tardi: la vicenda ormai ha assunto i tratti di una commedia grottesca che si è protratta oltre un anno, dal gennaio ’56 a fine ’57. Morselli è sempre più indignato: “Vi significo la mia protesta pel modo onde vien trattato chi Vi offre il prodotto della propria intelligenza, contro quelle norme di urbanità che vigono nei più comuni rapporti commerciali…”.

 

La cartella dei Rapporti con gli Editori reca in copertina un piccolo fiasco disegnato a matita, sigillo più eloquente delle parole

 

Di fronte alle scuse imbarazzate di Foà, Morselli ne calcolerà addirittura il danno materiale (25 mila lire per carta e trascrizione dattilografata, seguita dal proprio lavoro di revisione) e la beffa morale (un intero anno di inutili speranze e attese). 


Siamo di fronte a casi di suscettibilità, in parte comprensibili, accompagnati dalla consapevolezza di Morselli di essere per gli editori un “signor nessuno”, un perfetto sconosciuto che lotta contro mulini a vento. Con il tempo, con l’esperienza, con l’approdo a una maturità più assennata, l’uomo e lo scrittore sarebbero radicalmente mutati. Affamato di umanità, di rapporti umani, di amicizie e di dialogo nel mondo della cultura, sapeva aprirsi alla  gentilezza affettuosa, ospitale, generosa, ogniqualvolta si imbattesse in persone disposte ad ascoltarlo, a prestargli attenzione, a tendergli la mano.

 

Non trovò mai vere “sponde” nel mondo editoriale, sodali, consiglieri di cui fidarsi e ai quali affidarsi, salvo rarissime eccezioni, come nel caso di Italo Calvino e soprattutto di Vittorio Sereni negli anni 60-70, i quali – scrittori loro stessi e non solo funzionari al vertice di case editrici – si sarebbero presi cura dei suoi lavori, commentandoli, dando consigli, proponendo ipotesi di intervento, che tuttavia non avrebbero sortito mai risultati concreti. Con studio e applicazione strenua sui meccanismi narrativi, con la sua ispirazione duttile, con il corredo di una formidabile immaginazione, Guido Morselli toccò punte di perfezione nei suoi romanzi, capolavori quali Il comunista, Roma senza Papa, Contro-passato prossimo, Divertimento 1889, degni di collocarsi nell’Olimpo del Novecento letterario italiano.

 

Eppure, la cartella dei Rapporti con gli Editori reca in copertina un piccolo fiasco disegnato a matita, sigillo più eloquente delle parole che conserva a perenne memoria.
Di fatto Guido Morselli era e restò un uomo solo, solitario e scontroso, timido e orgoglioso, stanco alla fine, fiaccato oltre misura per non essere riuscito a dimostrare al mondo i frutti del proprio lavoro, l’unico che sapeva fare (a parte l’“agricoltore”, grottesco titolo esibito sulla carta di identità), per aver fallito nel desiderio di toccare il cuore di un pubblico interamente “suo”. Accadrà tutto dopo la morte che si diede da solo il 31 luglio del 1973, all’età di 61 anni. Chissà se per un istante lo avrà sfiorato il pensiero che con quel gesto clamoroso per sfuggire all’umanità (Dissipatio H.G.), per porre fine all’infelicità, sarebbe soprattutto riuscito a ribaltare il destino delle sue opere, creando un “caso” Morselli enigmatico e paradigmatico come davvero è stato.

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